FC & THE ASSASSINS "Black Poker" - Recensione di Alberto Bazzurro - il:2019-12-03
Un'altra recensione di Alberto Bazzurro sul cd FC & THE ASSASSINS "Black Poker", con Giulio Stermieri Flavio Zanuttini Giovanni Benvenuti il sottoscritto, e special guest Duccio Bertini. Uscito per Clean Feed nel 2018. "Un altro batterista-leader (nonché, come Fioravanti, prolifico compositore) è il siciliano Francesco Cusa che in Black Poker (Clean Feed) abbina il suo quartetto The Assassins agli archi del Florence Art Quartet. Ne vien fuori un album di ottimo livello, equilibrato e intelligente, lontano dalle pastoie mielose o meramente virtuosistiche di tanti cocktail jazz/archi. Qui i due emisferi ora s’incontrano e ora si evitano (nel senso che suonano separati) dando al totale un sicuro spessore, che non è solo cerebral-concettuale, ma anche fattivo. Album di grande maturità".
Decennale di ALTAI. Wu Ming scrive... - il:2019-11-19
Nel decennale del libro “Altai”, Wu Ming dedica buona parte del suo articolo al nostro album “Altai”, realizzato nel 2010 per Improvvisatore Involontario con Skinshout - Gaia Mattiuzzi e Francesco Cusa -, e guest Xabier Iriondo.
L’album è stato reso disponibile all’ascolto.
Ricordo bene il mio approccio alla stesura progettare di questo lavoro. Avevo scelto dei frammenti del romanzo per creare delle evocazioni e suggestioni all’improvvisazione, che sarebbe stata condizionata dal canovaccio stesso del testo scelto.
3. Il taglio e l’urlo della pelle

Gaia Mattiuzzi
L’album Altai fu realizzato dal duo Skinshout (Francesco Cusa alla batteria e Gaia Mattiuzzi alla voce), con la collaborazione del polistrumentista Xabier Iriondo (chitarrista degli Afterhours, all’epoca in procinto di rientrare nella band dopo un intervallo di alcuni anni). Tutti i brani furono registrati e mixati da Iriondo nello studio Metak Zulo il 22 giugno 2010.
L’etichetta era Improvvisatore Involontario, ben più di una label discografica indipendente: casa-madre dell’improvvisazione radicale italiana (e non solo), collettivo espanso, network di musicisti e sobillatori, fucina di accadimenti sonori della cui importanza e radicalità ci si può render conto visitando → il sito ufficiale.
Le liner notes dell’album le scrivemmo noi. Le riproponiamo qui, intervallate dall’ascolto in streaming traccia per traccia.
Note di copertina – di Wu Ming

Xabier Iriondo
Sì, è davvero un «urlo della pelle» quello del duo Skinshout, qui in combutta con Xabier Iriondo e i suoi strumenti inauditi (come il Mahai Metak, subdolo bouzouki dell’inferno). E come suol dirsi, tutto torna: il nostro Altai è infatti un romanzo di grida ed epidermidi urlanti, di scuoiamenti, di uscite di serpenti dalla propria pelle. Questa possibile colonna sonora del libro rende udibile lo skin shout del protagonista, Manuel Cardoso, durante la sua muta, la sua uscita dalla crisalide europea. Metamorfosi che, da bruco, lo trasforma in… un altro bruco. Dalle foci del Po verso oriente, la fuga non è un volo di farfalla, ma uno strisciare ventre a terra. Solo a Costantinopoli si guadagnerà l’ammissione ai vertebrati, nella classe degli uccelli, famiglia dei falconidi. E scoprirà che non basta.
Vm P
d Fuga da Venezia – 2:50
Settembre 1569, fuga da Venezia. Rumore di passi, sospiri, vocalizzi reali e immaginati. Manuel si aggira per le calli all’imbrunire, braccato dagli sgherri che egli stesso comandava fino a poche ore prima. Una gondola lo porta via, le voci si allontanano nella bruma insieme a San Marco. Sfilano i palazzi, seminascosti dalla tenebra. Più che distinguerli con nettezza, ne avvertiamo la mole. La memoria riempie i vuoti dove gli occhi non colgono. Dissolvimento, dissolvenza.
Vm
Pd Verso Salonicco – 2:00
Attraverso i Balcani, ancora in fuga, sempre tra acque e terra. Sul fiume Axios attraverso la Macedonia, fino all’Estuario che sbocca nell’Egeo. Stavolta Manuel non è solo, invano chiede dove lo stiano portando. La voce è remota: è l’eco dell’inseguimento veneziano rimasta nelle orecchie? Oppure è ciò che attende più avanti? L’acqua intorno a noi è quella del Golfo Termaico. Benvenuti a Salonicco.
Vm
Pd Il mercato di Salonicco – 2:15
Il mercato: richiami di venditrici, «Berendjenas! Guevos! Poyo! Sevoya!» Musichette giungono dal fondo della piazza, si insinuano curiose tra le bancarelle, fanno da bordone ai rumori di mille mestieri, stappare di contenitori, cigolii di arnesi di legno.
Vm
Pd Le mura di Costantinopoli – 1:47
Costantinopoli, dicembre 1569. Entriamo dal mare, la giornata è fredda e turbinosa. Il ritmo è quello di un avvicinamento, come un «Bydlo» di Mussorgsky dall’incedere estenuato. Puzzo di morte, escrementi, urina: il nostro arrivo è salutato come si conviene. L’ultima notte di sonno risale a chissà quando.
Vm
Pd I tre venti che flagellano Costantinopoli – 2:42
I venti che sferzano Istanbul, agguato di tre flagellatori. Sentiamo gli schiocchi dei loro scudisci e, per la prima volta, quelle che udiamo sono parole, passiamo in rassegna interi mondi: italiani a crocchi, veneti e genovesi, olandesi rubizzi, francesi, moscoviti foderati di pelliccia…
Vm
Pd Altai – 2:34
Altai. La title-track raduna tutti i significati del nome: la catena degli Altai, i «monti d’oro». I popoli altaici e le loro lingue. Il luogo di origine del falco altaicus. Siamo sospesi in volo, a testa in giù e circondati d’azzurro, nell’istante di stallo che precede la picchiata. Le voci giungono da sotto, dalla pelle del pianeta, e il rumore del mondo è soltanto un brusìo… Poi inizia la picchiata.
Vm
Pd Arrivo a Famagosta – 1:43
Pezzi di Famagosta ci vengono incontro. L’arrivo in una città agonizzante, spezzata da un anno di assedio, è accolto da rottami, assi annerite, botti sfondate. Una veste femminile galleggia sulle onde, insieme a uno stendardo sfilacciato e crivellato di colpi.
Vm
Pd Il bombardiere di Famagosta – 1:27
Una scena vastissima, immane. I cannoni battono la città, incessanti, simili a giganteschi fabbri ferrai, nudi e sudati, come sulla moneta da cinquanta lire. Un mare di bandiere garrisce nel vento e la musica di guerra suona, monotona e stridente.
Vm
Pd La battaglia di Lepanto (Schieramento delle navi) – 2:49
Lepanto, o meglio: Isole Echinadi. Suona il bouzouki dell’Ade, le flotte sono ancora lontane ma la tragedia è imminente. Vedi? Laggiù ci sono tutti i migliori capitani. C’è Ucciali, il calabrese. C’è Caracoggia, c’è il comandante Scirocco. C’è il figlio del Muezzin, il coraggio non gli manca di certo. E ci sarà anche Mimi Reis, all’anima di chi v’ha mmuerte.
Vm
Pd La battaglia di Lepanto (Galleggiare di vivi, di morti e di detriti) – 1:54
L’ultima traccia è post-orgasmica: sul mare di sborra di guerra si macerano, frolli, i resti dello scontro. Et stetit mare a fervore suo, sazio del sacrificio di migliaia. Ottobre 1571.

Francesco Cusa, da molti anni nostro complice di scorribande e agguati sonori.
In diversi dialetti dell’Italia settentrionale «al tai» significa «il taglio». Taglio netto (illusorio, vagheggiato, vaneggiato) col passato, con la madre, con le radici, e poi nell’altra direzione: con l’occidente, con l’Europa. Questa musica riproduce il «taglio», lo rappresenta acusticamente. È una musica di cesura, coupure, contrasto netto, la voce è una lama che opera tagli in più direzioni, fende i suoni da est e da ovest. La voce è il conflitto. La voce è un’impotenza che cerca un impossibile, un punto fermo su cui insistere. Ma non lo trova. L’urlo della pelle di Manuel è tutto in queste tracce. E non c’è consolazione. Cusa, Mattiuzzi e Iriondo non portano pace: portano una spada.
E un bouzouki.

Scarica l’album Altai di Skinshout e Xabier Iriondo (Improvvisatore Involontario, 2010). Cartella zippata con tracce in formato mp3, 320k.
Recensione di Altai apparsa su All About Jazz, 7 luglio 2011:

Gli Skinshout in concerto a Cracovia nel 2013.
Le dieci tracce che ascolterete dimostrano ancora una volta – se ce ne fosse stata la necessità – come la comunicazione orale (o più in generale la phonè) possieda una potenza narrativa che supera di gran lunga quella della parola scritta. Altai è un romanzo storico di Wu Ming ambientato a Venezia, Costantinopoli, Cipro e altri luoghi sparsi nel XVI secolo e risulta molto di più che una semplice ispirazione. Dopo Caribbean Songs il duo acquista per l’occasione la presenza di Xabier Iriondo. Fuga da Venezia parte con un drone prolungato che descrive la tensione sonora di un uomo che scappa, nell’angoscia di essere catturato, tra le fosche nebbie del Po. La voce di Gaia Mattiuzzi canta semplicemente il successo apparente di una fuga. È infatti uno strumento aggiunto all’interno della narrazione acustica, proprio come la batteria di Francesco Cusa racconta passi, incedere e battito cardiaco. Per Xabier Iriondo sembra più facile utilizzare strumenti sconosciuti, autoconcepiti e autocostruiti come il taisho koto e il mahai metak, per immergere lo spettatore (non più oramai semplice ascoltatore, ma vero e proprio spettatore audiovisivo) nelle vicende del romanzo. A questo punto il nostro tentativo di descrivere, raccontare la musica patisce già un notevole ritardo rispetto allo svolgersi degli eventi sonori. I tre venti che flagellano Costantinopoli è il primo brano in cui la cantante recita in una lingua vera, l’italiano, con importante capacità vocale, intesa a farci vedere le strade di Costantinopoli, la gente di tutte le razze, mentre Iriondo e Cusa suonano gli spostamenti d’aria e i venti. Xabier Iriondo suona spesso sporcando l’aria, sporcando il bianco dello sfondo acustico, Francesco Cusa è più attento al corporeo, alla materialità degli uomini, degli animali, delle strutture sceniche (La battaglia di Lepanto). Nella storiografia, cosa c’è di più importante e sostanziale della capacità del narratore, del messaggero, di convincere i suoi ascoltatori della veridicità degli accadimenti? Ma questi accadimenti, sono poi davvero successi?
Un’altra interessante recensione, a tratti costernata, → uscì su Jazzitalia a firma di Gianni Montano.
Uno scritto su WET CATS di Patrizio De Santis. - il:2019-11-18
lunedì 18 novembre 2019
La Stanza della Musica : Gianni Lenoci e Francesco Cusa - Wet Cats ( Amirami Records /July, 2017) + C'era una volta Gianni Lenoci (1963/2019)
”Dal mio punto di vista, la maggior parte dei musicisti di jazz italiani e non (in particolare quelli più in vista e che quindi dovrebbero essere di esempio) non fa jazz ma semplice pop music. O perlomeno usano procedure jazzistiche per improvvisare ornamenti su canzoncine et similia. Ma il risultato estetico (ed anche l’atteggiamento etico, perché no?) è prossimo al pop. In realtà tutto ciò non fa altro che celebrarne il disamore e l’estinzione (del jazz). Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Capisco perfettamente che questa formula pop è remunerativa in termini economici, ma credo sia limitante dal punto di vista della propria ricerca estetica e dei contributi che si possono dare a quest’Arte. L’importante è che ogni fiume scorra nel proprio letto. Capisco che il postmodernismo ha contribuito a mischiare “l’alto” con il “basso”, ma ora più che mai credo che si debba prendere coscienza dei limiti di questa visione. Da parte di molti c’è stata una sorta di rimozione collettiva verso il jazz nella sua componente di ricerca, o comunque c’è un atteggiamento acritico verso la Storia. Se l’ultimo Coltrane (solo per fare un esempio) ha portato il linguaggio in una certa area 40 anni fa, forse è il caso di rifletterci e non rimuovere il tutto come se fosse stato il sogno di un pazzo visionario. Il valore sociale di un’artista risiede nel suo diritto ad essere esoterico”.
Gianni Lenoci.
" E adesso?
Adesso ricostruiamo sulle macerie
quelle che tu calpestavi con dolore
e con la santa indignazione
di chi non può piegarsi più del necessario
al baccanale degli osceni sorci. "
Francesco Cusa
[ - La Stanza della Musica : la rubrica di approfondimenti e recensioni musicali di Patrizio De Santis ospita il mondo di Gianni Lenoci e Francesco Cusa, con il cd Wet Cats - Amirani Records - ]
Ritorna la rubrica di approfondimento "La Stanza della Musica" da me concepita per parlare di tutte quelle incisioni discografiche che negli ultimi anni hanno fatto la differenza, per quel che concerne l'originalità, l'innovazione e la validità del contenuto musicale. E' nata come un Focus; il pretesto del supporto fonografico è necessario per descrivere un'emozione in musica - più tosto personale - ma nel contempo mi permette di lavorare su di uno specifico musicista in maniera completa ed esaustiva.
Nel corso del tempo mi sono prefisso di supportare tutti quei musicisti di cui ho stima, cercando di "raccontare" la loro musica In un periodo dove il disco non ha più un grande valore, se non per la promozione dei concerti
( oppure come oggetto feticcio per i nostalgici del vinile, nel mercato del vintage rock)
Non necessariamente mi occupo delle novità dell'ultimo momento, al contrario voglio dare una nuova luce a tutto ciò che è stato poco visibile. In genere cerco di non allontanarmi troppo dal presente perché penso che sia essenziale capire cosa possa offrire oggi la musica - dal punto di vista dei contenuti - considerando che stiamo attraversando un'epoca dove il concetto di post moderno tende a frammentare gli stili e i generi, non ultimo le stesse scuole - con i loro manifesti - omologando il tutto in un calderone "Pop" alla lunga indigesto ed esteticamente inutile, buono a favorire più che altro la tendenza della "retromania" ( B.A.M e Kamasi Washington)
Il post moderno nel Jazz è stato più un danno che un bene, sopratutto per chi ha studiato tutta una vita la nota blu per sviluppare dei nuovi linguaggi da applicare nella composizione e nell'improvvisazione, poiché si è chiuso il mercato delle avanguardie, sopratutto dei concerti, dei festival e delle rassegne di settore. La cultura alta che incontra quella bassa, andando a incorporare stili e approcci Pop, in alcuni - ma circoscritti - casi, può essere un bene, poi bisogna saper filtrare ogni contenuto perché si corre il rischio dell'eccesso, e nel corso del tempo si creano degli equivoci storici, sopratutto dove regna l'assenza di una reale competenza. Non sempre ciò che è ibrido funziona: spesso è superfluo, nonché dannoso. Ci sono una serie di problematiche che andrebbero affrontate con una certa onestà intellettuale, sia da parte della critica, sia da chi lavora nel dietro le quinte, gestendo il circuito della musica dal vivo ( management, organizzatori, associazioni culturali) Purtroppo c'è chi si adegua al diktat del momento, e chi invece cerca coraggiosamente di non sottostare alle pressioni del mercato con le sue politiche economiche. Il Web - sopratutto attraverso il mondo dei Blogger - può essere una fonte utile per creare una rete di sopporto, ma anche un limite; un approccio semplicistico, da appassionato è controproducente, se non si cerca di studiare la materia a fondo, stando a stretto contatto con i diretti interessati: i musicisti oggetto della nostra scrittura.
Nel mio specifico caso voglio scrivere una recensione per un lavoro che si chiama Wet Cats, un meraviglioso CD del pianista Gianni Lenoci e del batterista Francesco Cusa. Lo farò confondendo un po le acque, perché è un pretesto per salutare e ricordare un'artista che non c'è più, almeno come presenza fisica. Complice Francesco Cusa, che mi ha spesso coinvolto in preziose conversazioni private, si è pensato di fare qualcosa per mantenere viva l'attenzione sulla grande arte del maestro Lenoci. Mi è pervenuto in dono questo eccellente e intenso disco di musica improvvisata, che è sopratutto un lavoro figlio della grande tradizione Jazz del novecento; per me è un gradito pensiero, nonché onore, ma anche una possibilità di crescere come ascoltatore e scrittore.
Gianni Lenoci ha asserito che l'arte si insegna con l'esempio, perché tutti i grandi insegnamenti possiedono una forte componente esoterica, ed è in virtù di ciò che bisogna essere predisposti alla condivisione delle esperienze con grande semplicità e naturalezza.
[ - Gianni Lenoci / Francesco Cusa duo - salone del Conservatorio " Nino Rota" di Monopoli - Italia - settembre, 30 / 2015. Duo Improvisatin : Fagan (Lenoci) Fire Waltz(Waldron) - ]
Wet Cats non più come una performance istantanea, ma come un progetto che è prima di ogni cosa - una possibilità alchemica - per confrontarsi e celebrare la sacra trinità di vita, amore e morte. Entrambi gli strumentisti hanno alle spalle anni di indipendenza artistica e musicale, ma anche la progettualità e l'insegnamento, e una buona sintesi delle tradizioni e delle avanguardie Jazz. Lenoci, maestro, compositore e improvvisatore Jazz incontra un batterista, compositore, improvvisatore ma sopratutto anarchico agitatore culturale, Francesco Cusa. Questa unione musicale è stata documentata in un cd, a cui sono seguiti tanti progetti e eventi live.
Wet Cats nasce sopratutto come un atto di grande amicizia, ed è il frutto di un interplay particolarmente raro, intenso, avvolgente. Questa musica è la sementa di un legame esoterico e spirituale di grande profondità culturale, che spesso ha toccato dei vertici di eccelsa improvvisazione. Un vivere la vita stessa nel sentimento emotivo - emozionale - della " nota blu" che si manifesta in forma totalizzante perfino nell'interscambio dei pensieri e nelle discussioni, infine nel ricordo post mortem - " Il nostro perenne, costante dialogo, si nutriva di ogni tipologia di argomento, ma aveva sempre come fulcro questa ipotesi del trapasso. Solo adesso realizzo che il ruotare delle nostre azioni aveva come cardine il cambiamento assoluto di ogni prospettiva, il sondare il mistero della morte " - ( Francesco Cusa in una recente intervista per Jazzit http://www.jazzit.it/gianni-lenoci-lessenza-tangibile/)
Per chi fosse interessato propongo l'estratto di una brillante intervista che vi consiglio di leggere : " Jazz è una parola “illegale”. I Maestri ed Innovatori di questa pratica hanno sempre costruito da loro stessi i propri regolamenti. Il “brigantaggio” è quindi una necessità. " - di Gianni Lenoci ( : http://www.jazzit.it/fra-regola-e-liberta-intervista-a-gia…/)
Extra Video [ - Gianni Lenoci / Francesco Cusa Duo - Live Altamura 31-05-2018 - ]
Wet Cats è stata descritta - e presentata - come un'unica composizione istantanea di 51 minuti e mezzo, nata principalmente dalla necessità di mettere a frutto un'idea di free improvisation emotiva, sfruttando l'interplay del momento. Wet Cats è un'improvvisazione senza "rete" ma nel contempo descrittiva - introspettiva - e molto passionale. Il duo per pianoforte e batteria è in grado di offrire più di una suggestione, ma anche di ravvivare un genere che è da sempre più prossimo alla forma d'arte totale, più tosto che a qualsiasi altro stile musicale cristallizzato dalle necessità commerciali dell'industria del disco e dello spettacolo. Nel caso di questa incisione abbiamo la possibilità di ascoltare una progressione di note - scaturite da mille rivoli creativi - in una densità sonora che cresce all'interno dei piani della consapevolezza, poi espressa in quadri sonori metafisici - proprio come se le gesta degli esecutori fossero gli elementi danzanti di una pittura in musica. Nella prima parte di Wet Cats c'è il lessico della scuola post free, ma anche un legato astratto, una capacità esoterica che delinea le direzioni sonore dei due improvvisatori. Il brumoso sperimentalismo - misterico - lascia il passo all'alchimia geniale di un momento di mirabile lirismo, intorno al ventesimo minuto, quando il free e il blues si dissolvono in ectoplasmi silenziosi, le percussioni rallentano e Gianni Lenoci - toccato da uno stato di grazia assoluta - si prodiga in uno struggente canto melodico intriso di romantico pathos, che Cusa segue e valorizza con grande rispetto e sinergia [ ...] proprio ora avviene un piccolo miracolo : Il quadro sonoro si dipinge del passaggio di una "musa", come se dinanzi al pianista facesse capolino la visione di una melanconica dama del 900, a metà strada tra l'immaginario di Sergio Leone in "C'era una colta in America " oppure del Tornatore de "La leggenda del pianista sull'oceano" Siamo nel territorio di un'avanguardia dove la tradizione è ben assimilata, come si evince nelle sezioni minimali e dilatate, quando emerge il sunto melodico e armonico del verbo afroamericano e della scuola europea. Il cd documenta un blocco di musica indispensabile, contraddistinto da estensioni, silenzi e impulsi atonali, ma resta complessivamente fruibile, uno sperimentalismo intenso ma godibilissimo, a tal punto che durante i ripetuti ascolti ho visivamente immaginato una piece per danza, forse memore di certe performance storiche dell'avanguardia del 900 : i lavori dell'associazione B.A.G di St.Louis
[ In generale il drumming di Francesco Cusa è potente e dinamico, mutuato anche dalle contaminazioni tra il Jazz e il Rock, oltre che dal ricco background fatto di sperimentazioni e percorsi alternativi conseguiti tra la fine degli anni ottanta e gran parte dei novanta nell'associazione Basse Sfere di Bologna, di cui è stato il fondatore. Il batterista nel nuovo millennio offre il meglio di se, avviandosi all'autogestione musicale, fondando la label "Improvvisatore Involontario", e lavorando all'innovativo metodo per conductions orchestrali Naked Musician, che promuove in giro per il mondo. Gianni Lenoci ha avuto modo di formarsi nelle scuole e negli workshop dei pianisti storici, quali Mal Waldron e Paul Bley, ma sopratutto di condividere molti progetti musicali eterogenei e di grande prestigio internazionale, tra cui diversi lavori con Markus Stockhausen, Kent Carter, Joelle Léandre, William Parker, Massimo Urbani, Eugenio Colombo, Bruno Tommaso. Wet Cats è dunque il punto di incontro ideale per due maestri, nonché amici, uniti dalle tematiche di Friedrich Nietzsche, ma nel contempo figli del presente, legati nel concetto della nuova insurrezione esoterico - cristiana - spirituale del teologo, poeta e filosofo Marco Guzzi. ]
Wet Cats è l'unica registrazione che documenta una suite del tutto improvvisata, eseguita a Monopoli nel 2015 - ma conservata negli archivi di Gianni Lenoci - fino a quando una realtà indipendente - la Amirani Records - decide di realizzare un cd, con il titolo coniato dallo stesso titolare. Gianni Lenoci suona un pianoforte classico, alternandosi ad uno "preparato", ritagliandosi anche degli spazi per dei brevi interventi di flauto in legno. Francesco Cusa ricopre una vasta gamma di suoni attraverso un utilizzo della batteria così creativo e inventivo da conferire all'impianto della musica un vigore espressivo affascinante. Il pianista rievoca la figura di Bley e rende memoria agli anni della scuola, per poi infondere al flusso dei suoni l'originalità propria di un concetto di bellezza del tutto personale. Ciò che di rimando restituisce il batterista è un drumming "pensoso" e funzionale - dove l'improvvisazione diviene un mezzo esoterico per la struttura del suono - un legato che va oltre il "costrutto istantaneo" di sostegno alla performance - e sembra che riveli anche un profondo e sentito dialogo spirituale " coltraniano".
Come spesso ha dichiarato Cusa, egli ha bisogno di instaurare un legame di amicizia per ogni progetto, o evento musicale. Discorrendo con il musicista ho compreso che questa musica è diversa da tutte le altre; per fare del buon Jazz sono necessari tanti aspetti della vita comune, spesso sono le parole dette nei discorsi che avvengono nel privato a dare vita al suono, come la condivisione di un pensiero, di una lettura, o di un film, oppure l'esigenza di una più ovvia necessità di "cazzeggio" A mio avviso questo cd merita molto, perché potrebbe benissimo piacere al neofita, e nel contempo restituire all'abituale fruitore della musica d'avanguardia una visione più calda e avvolgente di improvvisazione Jazz.
[ Vi allego il link della casa discografica (https://www.amiranirecords.com/editions/wetcats) facendo presente che i video che ho estratto da YouTube non corrispondono al contenuto integrale di questo cd ma alla sigla Wet Cats che ha preso vita dall'originario progetto del 2015. Nel sito della Amirani, di rimando sarete invitati a Discogs, iTunes e Spotify ]
A NIght for Gianni Lenoci - Catania ( 4/10 - 2019) In ricordo di Gianni Lenoci
Ricordo di Gianni Lenoci - Testimonianze di Francesco Gennaro e Alice Ferlito (nessuno dei due conosceva personalmente Gianni Lenoci) - Ritorno a casa. Alice Ferlito voce narrante, Francesco Cusa batteria. Le musiche che sentite in sottofondo sono tratte dall’album "Morton Feldman - for Bunita Marcus", suonate da Gianni Lenoci al piano. In memoria di un grande artista, uomo, pensatore: Gianni Lenoci: (1963-2019).
Extra Video : WET CATS Gianni Lenoci / Francesco Cusa Duo Live @Sala Sinopoli in Messina (Italy) October 26, 2017
WET CATS
Gianni Lenoci piano
Francesco Cusa drums
Live @Sala Sinopoli in Messina (Italy)
October 26, 2017
Playlist
1) WET CATS 1(You don't know what love is)
2 WET CATS 2 (Monk's Dream)
3) SOLOKUSA (Impro Drums)
4) SOLOLENOX (Ida Lupino)
5) WET CATS 3 (Blue Monk)
C'era una volta Gianni Lenoci, pianista e compositore italiano - In Memorium ( Monopoli, 6 giugno 1963 - San Giovanni Rotondo, 30 settembre 2019)
“Una perdita immensa. Una voragine che si apre nel mondo della cultura, dell’arte, dello spirito del mondo. Se ne va un fratello. Un Maestro. Ma Gianni Lenoci ha ali grandi. Molto grandi. Grazie per tutto. Grazie infinite”
(Estratto da https://www.siciliareport.it/commemorazioni/il-mio-omaggio-al-grande-amico-pianista-mentore-gianni-lenoci/ Ancora più notizie su https://www.siciliareport.it)
Per ricordare Gianni Lenoci ho scelto una poesia di Francesco Cusa, a cui ho chiesto la cortesia di utilizzo. E' stata scritta dal musicista in un attimo di cordoglio emotivamente sentito, per quello che è stato un congedo improvviso. Cusa aveva appena costituito un trio con il maestro e amico Lenoci, ma c'era sopratutto l'idea di un progetto molto interessante in cantiere: un secondo cd in duo incentrato sulla rilettura sperimentale degli standard del Jazz tradizionale. Questo servizio mi ritorna utile per scrivere due righe personali. Nello specifico mi rammarico di aver conosciuto troppo tardi la musica di questo geniale pianista e compositore italiano, come al solito attraverso un disco dal forte richiamo internazionale Gianni Lenoci 4tet feat William Parker - Secret Garden, licenziato dalla Silta records nel 2011. Ho indubbiamente poca conoscenza e memoria storica, a differenza del percorso artistico di Cusa, che ricordo fin dai tempi degli Open Quartet della cantante Cristina Zavalloni, e nelle Basse Sfere, collettivo e scena musicale di Bologna, di cui era titolare e agitatore culturale. Perciò ammetto di aver approfondito molto nel social network Facebook, consultando con interesse la pagina del pianista. Lenoci era un contatto in comune con Francesco.
Mi fa piacere che abbia acconsentito a questa particolare richiesta [...] Ringrazio Francesco per lo sprono, ma sopratutto per avermi insegnato molte cose, al di là di questo argomento. My Ideal Blog è uno spazio che cresce grazie ai suoi buoni maestri; Cusa è anche un giornalista, blogger, scrittore, poeta ma sopratutto un uomo molto generoso.
" C'era una volta Gianni Lenoci "
Fosti.
E già questo non è pensabile.
La tua dipartita è una detonazione muta
che adesso vibra per uno spazio privo di tempo.
In realtà la tua morte fu cristica, passionale
intrisa nella sofferenza di un Golgota chimico,
ma lo si sa, quando si assottigliano i limiti
tra caducità ed eternità
il messaggio degli déi giunge più facilmente
e corre sulle ali del tuo essere Hermes
per vortici e creste oceaniche.
Celata dalle forme della storia
v’era in te quell’essenza primordiale
che scolpisce, dispone dei terrestri
e riveste d’epitelio la magia dell’esistenza.
Essa pulsava di saggezza preolimpica
e ti regalava sprazzi d’una fanciullezza divina
nella danza muta della dimenticanza
che era propria di certi tuoi gesti,
quando eri distratto e non sottostavi
alle briglie di Psiche e Crono
nei momenti immensi della sacralità del de-pensarsi.
E adesso?
Adesso ricostruiamo sulle macerie
quelle che tu calpestavi con dolore
e con la santa indignazione
di chi non può piegarsi più del necessario
al baccanale degli osceni sorci.
Il vuoto che hai generato col tuo eclissarti
ridisegna nuove gerarchie per risonanza:
dalle sfere più basse alle superne
lo squittir dei sorci
l’assurdo canto dei Troni
l’unico abbraccio sonoro
esperibile e non manifesto.
Noi rimaniamo ancora confinati
nella “Regione della Brame”
a dannarci di dottrine
a scannarci in nome di un’etica
che non può più appartenere
a chi è in viaggio verso altri
anelli di congiunzione.
Assistiamo attoniti
alla tua celebrazione postuma
da parte dei molti sciacalli
di quelli che con sferzante invettiva
al tuo tempo canzonavi.
E questo assurdo che si costituisce
del fatto che tu non ci sei più
occorrerà pur servirlo
a tavola quando divoreremo
il corpo di Argos dai mille occhi
per farti rinascere in altre forme
ibride e mutevoli, oltre il limite dell’amorfo
come si conviene alle leggi del karma.
Per quel che concerne il mio quotidiano miserabile
beh, non è neanche questione di musica e di arti.
Perdo il mio confidente più prossimo
il mio interlocutore più fidato
io, che mai mi son sentito solo,
rimango intrappolato alle catene dei tuoi tag.
Essi partono in automatico
quando digito la “L”
nell’immane universo dei social
che ci univa sideralmente
per chat private e condivise
che custodirò come reliquia
dense di perle rare
come solo la ciarla può offrire
nel tempo della civiltà lussureggiante.
Così ti salutiamo, amico mio,
e davvero si può dire che
“C’era una volta Gianni Lenoci”
anche se fa male all’anima il perenne svanire
dei tuoi immensi arti di fantasma.
Per paradosso, la tua repentina assenza
- te che eri restio e ti facevi trascinare
per ogni esperimento collettivo
come un barone tirato giù dal letto
dalle rogne della servitù -
ha generato una comunità “lenociana”
figlia di una stella che collassa
ancella del tuo Sole Cieco.
Eh, quante risate ti starai facendo
nel constatare che cosa hai combinato.
Questa nuova setta di seguaci
gente dalla dura scorza e dal sorriso difficile
ti appartiene sai? E’ frutto del tuo senno.
La si riconosce da quel fiore blu
che sgorga a tratti dai liquori dell’anima
e macchia il bavero d’inverno
di giovani e vecchi senza età.
Quella è la tua gente.
Te lo avevo detto, maledetto “Uncle”
che la tua volontà di potenza
avrebbe superato l’ordine delle cose
e ti avrebbe avvolto nel mantello
del battito d’ali del mistero.
Così sei sparito, come l’illusionista che eri
nel "puf"della nuvoletta da prestigiatore
francese della "Belle Epoque".
Fuori, nelle terre di Sicilia, si scatena una tempesta.
Recensione di Gianni Montano del mio ultimo cd FC & THE ASSASSINS "Black Poker" - il:2019-10-28
Francesco Cusa, a quattro anni di distanza da "Love", pubblica un nuovo album con The Assassins. Questa volta, però, al sax tenore compare Giovanni Benvenuti al posto di Cristiano Arcelli e in più si aggiunge il "Florence art quartet" sotto la direzione di Duccio Bertini a completare l'ensemble. Non è mai agevole integrare un quartetto d'archi con un gruppo jazz con lo stesso numero di componenti, ma Cusa supera brillantemente la prova, riuscendo a valorizzare l'apporto dei musicisti classici accanto al contributo dei competenti "assassini" al suo servizio. L'interazione fra i due blocchi si materializza in diverse modalità, con pari efficacia. Ci sono parti riservate ai soli archi, in particolare nei due brani a firma di Duccio Bertini, in cui semplicemente gli altri strumenti tacciono. In determinati frangenti si verifica, invece, un dialogo contrappuntistico fra tromba o sassofono e violini, viola e violoncello. In certi casi il tema e le elaborazioni delle arie vengono portate avanti da Benvenuti e Zanuttini e gli archi si limitano a colorare gli sfondi con pennellate confacenti. In differenti situazioni, ancora, si alternano le sezioni con sequenze separate, fino a incontrarsi e a procedere tutti insieme appassionatamente. Pure il quartetto jazz si scompone, all'occorrenza, in duetti o in trii per brevi tratti del tragitto. Insomma le combinazioni possibili sono parecchie e il leader non è certo il tipo di appiattirsi su una unica soluzione. Non staremmo parlando della band di Francesco Cusa, altrimenti….
La musica che si ascolta è contraddistinta da motivi piuttosto semplici che si fanno strada e si impongono, su cui, poi, si accavallano nuovi spunti e stimoli che trascinano l'ottetto altrove, con parentesi free tumultuose, momenti, per contrasto, quasi lirici e assoli di sassofono e tromba marcati da una sintassi piuttosto libera permeata da note raddoppiate, sovracuti, incrocio o scontro di suoni non proprio ortodossi. Dopo una circumnavigazione piuttosto ampia si ritorna, alla fine, al punto di partenza per mezzo di calibrate giravolte musicali.
Va dato atto, innanzitutto, all'istrionico artista catanese di saper scegliere con acume i suoi compagni di avventura. Benvenuti, al tenore, è un perfetto contraltare di Zanuttini e non fa rimpiangere, cioè, il pur valente Arcelli. Il resto della formazione espande adeguatamente le indicazioni, i suggerimenti approntati dal batterista siciliano e fila in modo risoluto verso le rotte zigzaganti immaginate a monte.
Non ci resta, in conclusione, che citare l'eclettico scrittore Riccardo Pazzaglia in versione "Quelli della notte". Se il quartetto protagonista dell'incisione è di questo livello:"Siamo tutti assassini.-Nous sommes tous des assassins...Come diceva Jean Gabin!-
Gianni Montano per Jazzitalia
Una recensione di Vincenzo Fugaldi su due miei concerti al festival Roccella Jonica. JAZZITALIA - il:2019-10-21
Una recensione di Vincenzo Fugaldi su due miei concerti al festival Roccella Jonica. “Da citare a parte il nuovo trio di Claudio Cojaniz, pianista che risiede per una parte dell'anno a Roccella, che ha chiamato dal Friuli il fido conterraneo Alessandro Turchet al contrabbasso e dalla Sicilia il batterista Francesco Cusa. Al trio si è affiancata la voce recitante di Domenico Campolo, che introduceva i brani declamando con enfasi testi poetici in italiano, calabrese e greco. I brani originali, nella quasi totalità di recente composizione, tutti profondi e poetici, sono stati eseguiti con una classe senza pari, con il pianoforte e il contrabbasso che si integravano alla perfezione, mentre Cusa interagiva da par suo con la consueta creatività, con ritmi mai banali e colori ottenuti mediante l'utilizzo di oggettini di ogni genere. Tra influenze provenienti dalle origini balcaniche, da un Africa vissuta in prima persona, e soprattutto dal blues, linguaggio che Cojaniz padroneggia come pochi, e dall'amato Thelonious Monk, il concerto si è concluso tra meritatissimi applausi”.
Recensione di "Wet Cats" a cura di Federico Fini. - il:2019-10-07
Wet Cats - Gianni Lenoci, Francesco Cusa
Una di queste sere, una di quelle dove tiro tardi dopo una giornata di lavoro, scorro distrattamente la newsfeed di Facebook, quando leggo un post di Giovanni Benvenuti (ottimo e giovane sax tenore e soprano). "Ho appena saputo che Gianni Lenoci, non solo uno dei musicisti più profondi coi quali ho avuto il privilegio di suonare e registrare ma anche una persona meravigliosa e di rara gentilezza, non ce l'ha fatta. Ci lascia un pianista straordinario e dalla personalità unica." Da lì in poi sulla newsfeed piovono una quantità di testimonianze e memorie comuni. Data 30 settembre 2019. Vado su Wiki per farmi un'idea, nonostante avessi Gianni Lenoci tra gli amici di Facebook. Leggo. Musicista classe '63 con fior di collaborazioni, tra cui Rava, Grossman, ha studiato con Mal Waldron e Paul Bley, etc. "Forse mi sono perso qualcosa" penso.
Sento al telefono Francesco Cusa (batterista jazz, compositore, sperimentatore, musicista, scrittore, critico cinematografico di rara sensibilità in ognuna delle discipline in cui si applica). Gianni e lui hanno suonato spesso insieme. Nell'intervista che Musica Jazz gli ha dedicato a settembre Francesco aveva parlato dei suoi due gruppi (FCTrio, ovvero Gianni Lenoci, Ferdinando Romano e Giovanni Benvenuti, e FC & the Assassins, composto da Valerio Sturba, Giovanni Benvenuti e Ferdinando Romano) affermando che per lui è molto importante vivere i suoi progetti (e le sue discrasie) con persone fidate e amici veri. C'era affetto, stima profonda, un sentire comune tra i due. Gli faccio qualche domanda. Francesco accelera l'eloquio per coprire lo sconquasso dei sentimenti, quasi non avesse ancora messo a fuoco. Mi domanda se ho ascoltato qualcosa di Gianni. La mia ignoranza mi protegge come al solito. Consiglia Wet Cats.
Prima di ascoltare cerco qualche recensione. Su Musica Jazz trattano la materia con rispetto, ma senza entusiasmo. Su All About Jazz si parla de "l'incanto di musica complessa, ma tutt'altro che difficile". Ho ancora qualche curiosità. Mando qualche messaggio a Francesco per capire meglio. Lui mi chiama. Wet Cats è un'unica suite di 51 minuti e mezzo, registrata a Monopoli nel 2015. Il titolo lo ha coniato Gianni Lenoci. Nessuna preparazione prima di incidere. Nessun obiettivo. Si tratta di composizione istantanea. "Dopo che vi siete detti?" gli chiedo. "Siamo andati a mangiare una pizza e abbiamo cazzeggiato." Restiamo un attimo in silenzio. Ho imparato che il silenzio serve a disseppellire. "Dovevamo fare un progetto suonando standard.." Aggiunge. "A ricordarlo ora mi viene una rabbia.. Ma come fai a pensare che ti lasci con un ciao e poi non ti rivedi più..." Riattacca a parlare veloce. Mi dice che si è reso conto per caso che Wet Cats è del 2015. Pensava di averlo registrato lo scorso anno, scherzi del cervello. Poi mi parla di Marco Guzzi, un poeta e filosofo che ha messo Nietzsche al centro della sua opera e del proprio pensiero. "Si somigliavano lui e Gianni.. Sia come carattere che fisicamente.." Riattacco. Mi metto a guardare 2 ore di lezione di Marco Guzzi Su Cristo e Anticristo in Nietzsche. Formidabile, limpido, cristallino. Afferma che l'archetipo, per quanto desideri abbatterlo, comunque ingaggia con chi lo affronti un tale duello che, pur abbattuto diviene parte di te. Si odia e si ama solo quanto è importante, il resto inevitabilmente lo si perde.
Wet Cats. tutto è iniziato da lì. Anzi, no, è cominciato su Facebook, con la morte di Gianni Lenoci e con la mia proverbiale ignoranza. Poi ci si è infilato Nietzsche e le moto Guzzi, associazione di idee che avevo usato al telefono per trattenere a mente il nome del poeta e filosofo a me sconosciuto. Gatti bagnati. I gatti detestano l'acqua, eppure ne sono attratti. Il mio gatto Berlinguer , ad esempio, lo trovo sovente nel lavandino che prova a lappare un filo liquido colante dal rubinetto. Apro Spotify, La piattaforma online riporta come data del progetto il 2017. Forse aveva ragione Francesco, forse non era stato uno scherzo della mente a fargli pensare che la registrazione fosse recente. 51'36''. Il tempo resta a scandire l'effimero. L'unità di misura più vana presa a misura del reale. Bisogna essere pazzi, davvero pazzi.
Inizio l'ascolto. Conosco lo stile di Francesco Cusa. Mi aspetto il suo modo di suonare ricco di divagazioni, strumenti estemporanei, percussioni di passaggio, ma Francesco comincia la suite con un preciso, cristallino lavorio sui piatti. E' il modo che ha scelto per dialogare con le note alte di Lenoci. Non una giustapposizione di suoni, ma il preciso scalpellio dell'artista per estrarre bellezza. Il pianoforte adesso diviene ritmico, inquietante. Francesco è duale. Ha un proprio percorso, una propria idea ma abbraccia anche quella dell'altro. E' come se sentissi la guida monade di Lenoci e il dualismo di Cusa. Reiterano delle idee, trattengono palla in attesa che l'uno o l'altro si smarchi. Avviene sempre. A volte come un tracciante giunge il passaggio, altre è un semplice farsi da parte perché il compagno prenda la guida del fraseggio. Altre volte ancora suonano all'unisono la stessa sensibilità, ma frasi diverse, raccordandosi a istinto, lasciando dialogare culture simili.
Mi torna in mente una frase di Francesco: "Gianni aveva una cultura musicale pazzesca. Catalogava, conosceva, ascoltava ... Forse solo Stefano Zenni arriva al suo livello.." La mia ignoranza mi protegge sempre. Non lascia che riconosca le influenze, consentendomi di "sentire" solo la musica, senza che l'emozione possa essere mediata da lucida analisi. La definirei la fortuna dell'analfabeta che voglia leggere Tolstoj. Rammento la cena a seguito della presentazione del mio romanzo Chiedi a Coltrane. Ero con Francesco Cusa, Stefano Zenni, Alessandro Panatteri, altro fine musicista che dirige la Alexander's Ragtime Band e l'amico scrittore Paolo Vanacore. Tornai a casa pensando sinceramente che nemmeno se mi fossi reincarnato dieci volte avrei potuto trattenere quella sapienza. Molti hanno condiviso post su Lenoci nei giorni a seguire, componendo sostanzialmente un coro che ha intonato l'ammissione dei peccati. Il più grande? Non averlo compreso fino in fondo. Si dice sempre così.
Intorno al ventesimo minuto della suite Francesco e Gianni si trasferiscono dall'inconscio alle stanze contigue della lieve nostalgia, quasi il riaffiorare a quota periscopica delle loro sensibilità. Avverto il tempo che scorre, memorie care. Le memorie dei vivi che immaginano di perdere tutto, persino la vita stessa, un annientamento impossibile da esprimere a parole, qualcosa che solo la musica o la pittura possono, abitando più della narrazione le stanze dell'inconscio. Alla letteratura mancano, invece, i vocaboli, le sillabe sono mattoni mai liberi di costruire le infinite combinazioni, non possono avventurarsi verso la ricerca dell'ignoto che puntualmente riprende già dal venticinquesimo minuto.
Ripenso alla telefonata. Francesco aveva indugiato prima di dirmi: "Sai è stata una roba tipo, Hey man andiamo a suonare! Abbiamo cercato il bello che potevamo e poi l'abbiamo lasciato lì, nel senso che ognuno ci vede quello che vuole.." Intorno al trentunesimo minuto la musica si spegne. Restano dei suoni metallici a scandire qualcosa di ancestrale, poche note di Lenoci. Probabilmente occorre sempre passare dall'infanzia per capirci qualcosa o dal rumore del mare. L'ascolto adesso è persino di chi suona. Poche pochissime note, alcune gravi e l'eco come di un tuono lontano. E' la fine o l'inizio che vengono resi tangibili. La musica è un tutto che non ha bisogno di scandire le singole parti. non ha né capo, né coda, come la vita e la morte che sono una.
Al trentacinquesimo minuto Lenoci e Cusa tornano al presente. Narrano di emozioni quotidiane. E' un passaggio molto bello, godibile, emotivo che consente di abbracciare la parte più semplice e immediata delle nostre sensibilità. A volte mi distraggo, penso ad altro mentre ascolto. L'operazione di Lenoci sembrava essere andata bene, poi non ho capito cosa non ha quadrato. Ho sempre immaginato i jazzisti come i personaggi descritti dall'iconografia americana, schiavi degli eccessi. Gli individui che conosco sono tutti dei salutisti, gentili molto più dei vecchi che fanno la spesa il sabato alla Coop. Niente che lasciasse presagire il peggio. Niente. La morte è un fulmine. A volte vorrei essere il mio gatto Berlinguer. Lui non sa che deve perire. Teme il pericolo, non si getterebbe mai dal quarto piano, però non sa che i suoi giorni avranno fine. Forse proprio per questo i gatti non sono musicisti.
Giunto al quarantaseiesimo minuto mi perdo in un furioso percorrere di scale acute. Francesco lascia che Lenoci si arrampichi come vuole. Lo sorveglia paterno dal basso, gli protegge le spalle come Butch Cassidy a Billy the Kid nel film di Roy Hill. Lo sanno che è un gioco a perdere, che finirà male e l'esercito messicano avrà la meglio, ma chi se ne frega? E' questa la forza del tutto, dell'incessante fluire. Poi un suono dolce, più calmo, spegne l'ansia nella quiete, come l'acqua il fuoco. Si annida nelle sonagliere di Cusa, nel gioco sottile dei piatti cristallini. Il rullante offre gli ultimi strappi e con esso il piano percosso. Odo il suono lontano di una voce, forse una segreteria, una radio malfunzionante. Mi ricorda l'epilogo di un film di Jaco Van Dormael, "Toto Le héros", dove il protagonista, percorrendo la sua vita, sbagliata o giusta che fosse, giunge alla sua stessa dipartita e l'ultima frase che pronuncia è: "Tutto qui?"
L'archetipo alla fine o lo si accetta o lo si respinge, come afferma Marco Guzzi, Si giunge al Cristo o all'Anticristo di Nietzsche, ma il jazz risiede ancora più in alto di ciò, perché è uno, è sentire, è tutto, come la vita e come la morte, è arte. Credo, dunque, in Wet Cats, credo in un'unica suite, in un unico viaggio. Sì, credo nello splendore del "tutto qui" interamente reso da Francesco Cusa e Gianni Lenoci e credo nella mia inesauribile ignoranza che non potendo descrivere Wet Cats ha avuto almeno la furbizia di provare a renderlo adattando l'arte del recensire alla composizione istantanea, al flusso di coscienza. Il mio è un maldestro, onesto tentativo del quale chiedo perdono di offrire omaggio, ma quello inciso dai due musicisti è bellezza che resta offerta per sempre alla nostra sensibilità e interpretazione e ognuno può sentirci ciò che vuole, ciò che è.
Clicca qui per ascoltare Wet Cats di Gianni Lenoci e Francesco Cusa.
La recensione di Vincenzo Fugaldi del mio concerto con "Solomovie" al festival "Oltremente" diretto dal nobile Alessandro Nobile. - il:2019-10-07
"Sherlock Jr. è un film del 1924 diretto e interpretato da Buster Keaton. Una ventina d'anni fa Francesco Cusa, dietro commissione, ha progettato una colonna sonora da eseguire dal vivo a commento della proiezione della pellicola. "Solomovie" è frutto della passione per il cinema del creativo ed eclettico musicista siciliano (che è anche valido scrittore). Durante i circa cinquanta minuti della proiezione del film, Cusa usa un file pre registrato con musiche di diversi generi, montate appositamente a commento delle varie sequenze, e interviene con il suo set di batteria arricchito da oggettini di ogni sorta, per dare colore e sottolineare la narrazione cinematografica. Un lavoro che ha avuto centinaia di repliche, e risulta sempre valido e godibile, perché davvero ben concepito ed eseguito".
Recensione FC & THE ASSASSINS "Black Poker" -Musica Jazz a cura di Libero Farné.(sett 2019) - il:2019-09-23
Intervista a Francesco Cusa per Musica Jazz, a cura di Alceste Ayroldi - il:2019-09-23
FRANCESCO CUSA & THE ASSASSINS MEETS DUCCIO BERTINI.A cura di Nicola Barin per Sound Contest. - il:2019-09-10
Black Poker
Clean Feed, 2019
Black Poker
«Se comporre significa trovare un’idea e giraci più volte attorno in compagnia di se stessi, come diceva Erik Satie, allora il compositore di oggi deve moltiplicare esponenzialmente il numero dei giri per le possibilità che ci vengono offerte dalla tecnologia.»
Carlo Boccadoro
Francesco Cusa è sempre stato un enfant terrible nel mondo del jazz. Lo si potrebbe definire un agitatore culturale che non si occupa solo di musica, ma anche di letteratura, filosofia e arte. Nei suoi progetti ritroviamo tutto ciò.
“Black Poker” è sicuramente un progetto particolare nel quale il batterista catanese tenta di tessere trame inedite tra il suo gruppo, The Assasins, e il Florence Art Quartet, un quartetto d’archi di stampo classico. Alla guida troviamo Duccio Bertini, compositore e direttore d’orchestra, che qui troviamo in qualità di arrangiatore delle composizioni scritte da Cusa.
L’incontro è travolgente, il connubio tra le due formazioni funziona perfettamente. Il Florence Quartet si muove con disinvoltura tra il Novecento, partendo da Schönberg per arrivare a Penderecki e Ligeti. Gli archi non abbelliscono la melodia jazz (siamo lontani da Charlie Parker with strings), i due ensemble si integrano, dialogano, creano connessioni inedite. L’intento del progetto pare la costruzione di un “corpo senza organi”, citando il filosofo Gilles Deleuze “[…] Disfare l’organismo non ha mai voluto dire uccidersi ma aprire il corpo a connessioni che suppongono tutto un concatenamento, circuiti, congiunzioni, suddivisioni, e soglie, passaggi e distribuzioni d’intensità, territori, e deterritorializzazioni…”
Spades/Picche trova il giusto equilibrio tra archi e improvvisazione con un fantastico Cusa che si rende godibile fin da subito per poi sviluppare un drumming più ricercato, afasico, che dialoga con il sassofono di Giovanni Benvenuti e la creatività di Giulio Stermieri al piano.
In The Act of Killing Music (The King) il chorus è perfettamente costruito e magnificamente accattivante, sa integrare gli archi con un beat semplice ed efficace; la successiva improvvisazione collettiva si chiude con una melanconia di fondo non indifferente.
In Clubs/Fiori la tromba di Flavio Zanuttini si fa apprezzare lasciando man mano spazio al piano che continua un’improvvisazione forsennata sostenuta dalla batteria di Cusa che satura l’ambiente.
Diamonds/Quadri si apre con un fast tempo che improvvisamente muta per offrire la possibilità agli archi di tessere una ariosa melodia.
Elegia è un brano minimale, le piccole cellule melodiche vengono ripetute, si sovrappongono, Bertini alla tastiera contribuisce alla timbrica.
Un progetto dinamico, importante che permette di dare nuova linfa ai brani di Cusa: uno scontro infinito, la volontà di “…fare rizoma e non mettere radici”, per citare ancora Deleuze, per una musica molteplice, eterogenea, che sa proliferare senza avere una struttura gerarchica ma reticolare, diffusiva, che non mette radici: “[…] seguendo l’intuito del pokerista, sempre in bilico tra azzardo e parsimonia”, come ricorda Cusa nelle note di copertina dell’album.
Musicisti:
Francesco Cusa, batteria
Giulio Stermieri, pianoforte, organo Hammond
Flavio Zanuttini, tromba, elettronica
Giovanni Benvenuti, sassofono tenore
Florence Art Quartet:
Daniele Iannaccone, violino
Lorenzo Borneo, violino
Agostino Mattioni, viola
Cristiano Sacchi, violoncello
Duccio Bertini, tastiere in “Elegia”
Brani:
01. Spades/Picche
02. The Act Of Killing Music (The King)
03. Clubs/Fiori
04. Dr. Akagi (The Queen)
05. Interludio
06. Diamonds/Quadri
07. Kirtimukha (Hearts/Cuori)
08. Elegia
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