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Francesco Cusa - Official Website - Press

NAKED MUSICIANS - il:2012-02-08


Con quest’episodio si conclude la ‘Trilogia Nera’ di Improvvisatore Involontario. Dopo questa stazione il viaggio del collettivo proseguirà con itinerari sempre nuovi. Bodyhammer è un trio che vede all’opera Emiliano Cinquerrui e Carlo Natoli all’elettronica e Francesco Cusa alla batteria. L’originalità della formazione, davvero insolita, conferma la regola dell’imprevedibilità del collettivo II, capace di produzioni estremamente diverse tra loro eppure legate da un filo conduttore comune: l’uso dell’elettronica, non meccanica e ciclica ma fattasi elemento ‘umano’, si unisce in questo caso al drumming ‘fisico’ creando atmosfere sinistre ed ambienti sonori rischiosi, tortuosi ed impervi, che riescono nella missione quasi impossibile di mettere d’accordo gli estimatori dell’improvvisazione strumentale ‘tradizionale’ con i sempre più numerosi esponenti del popolo del cosiddetto ‘impro-noise’ dalla forte accezione sintetico-elettronica. Fortemente evocativo e rumoristico, con scansioni ritmiche a tratti più regolari, il disco non vuole assolutamente essere un “prodotto facile”. Giammai. L’intenzione del trio non è quella di legarsi all’improvvisazione elettronica furbetta e stereotipata. Ogni uscita di II ci appare come il risultato di un processo di ricerca, e Bodyhammer non tradisce le attese. È difficile descrivere a parole quello che questi suoni evocano: l’ideale è tuffarsi a capofitto nei gorghi degli otto brani dell’album, Jeyo’s, Heavymetal, Broken Bitz, Lux@inferi.um, The Almighty Piano, The Almighty Pianist, Los Ferdinand Angeles, Resident Lively. È un’esperienza sonora devastante, cerebrale e fisica come suggeriscono le forti immagini di copertina. Ancora un colpo andato a segno, gente. L’Improvvisatore Involontario c’è, e la sua corsa è ormai lanciata. Provate a prenderlo se vi riesce, vi consigliamo di provarci.


Paolo Cruciani – Kathodik


http://www.kathodik.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=4164

SKINSHOUT & XABIER IRIONDO - il:2011-12-05


Le dieci tracce che ascolterete dimostrano ancora una volta - se ce ne fosse stata la necessità - come la comunicazione orale (o più in generale la phoné) possieda una potenza narrativa che supera di gran lunga quella della parola scritta. Altai è un romanzo storico di Wu Ming ambientato a Venezia, Costantinopoli, Cipro e altri luoghi sparsi nel XVI secolo e risulta molto di più che una semplice ispirazione. Dopo Caribbean Songs il duo acquista per l'occasione la presenza di Xabier Iriondo.

"Fuga da Venezia" parte con un drone prolungato che descrive la tensione sonora di un uomo che scappa, nell'angoscia di essere catturato, tra le fosche nebbie del Po. La voce di Gaia Mattiuzzi canta semplicemente il successo apparente di una fuga. E' infatti uno strumento aggiunto all'interno della narrazione acustica, proprio come la batteria di Francesco Cusa racconta passi, incedere e battito cardiaco.

Per Xabier Iriondo sembra più facile utilizzare strumenti sconosciuti, autoconcepiti e autocostruiti come il taisho koto e il mahai metak, per immergere lo spettatore (non più oramai semplice ascoltatore, ma vero e proprio spettatore audiovisivo) nelle vicende del romanzo. A questo punto il nostro tentativo di descrivere, raccontare la musica patisce già un notevole ritardo rispetto allo svolgersi degli eventi sonori.

"I tre venti che flagellano Costantinopoli" è il primo brano in cui la cantante recita in una lingua vera, l'italiano, con importante capacità vocale, intesa a farci vedere le strade di Costantinopoli, la gente di tutte le razze, mentre Iriondo e Cusa suonano gli spostamenti d'aria e i venti.

Xabier Iriondo suona spesso sporcando l'aria, sporcando il bianco dello sfondo acustico, Francesco Cusa è più attento al corporeo, alla materialità degli uomini, degli animali, delle strutture sceniche ("La battaglia di Lepanto").

Nella storiografia, cosa c'è di più importante e sostanziale della capacità del narratore, del messaggero, di convincere i suoi ascoltatori della veridicità degli accadimenti? Ma questi accadimenti, sono poi davvero successi?

Valutazione: 4 stelle


Luca Pagani – All About Jazz

web. http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=6702

"SKINSHOUT" - "Caribbean Songs", IMPROVVISATOREINVOLONTARIO I.I .0020 (2010) - il:2011-12-05


Dell'importanza storica, culturale, sociale e musicale dei field recordings di Alan Lomax (registrazioni sul campo effettuate soprattutto nelle regioni meridionali degli Stati Uniti per testimoniare le tradizioni musicali delle popolazioni autoctone) ci sono pagine e pagine in saggi e studi di etnomusicologia. Della curiosità onnivora, spiazzante, imprevedibile di Francesco Cusa (batterista, compositore, agitatore musicale, promotore culturale e molto altro ancora) ne danno testimonianza le innumerevoli registrazioni e i diversi progetti all'attivo.

Per una di quelle ragioni imperscrutabili e spesso benedette, i due campi d'azione sono entrati in rotta di collisione. Il punto d'incontro una manciata di brani provenienti dalla Alan Lomax Collection: Caribbean Voyage. Il filo interpretativo la geniale follia che contraddistingue tutta l'opera del prolifico musicista catanese. La scelta azzeccata, quella di Gaia Mattiuzzi, vocalist tra lirica, musica sperimentale e jazz già impegnata con il suo progetto Satiek (ancora Cusa più Pacorig al piano) nella rilettura di materiale di origine popolare e folklorica.

Ne risulta un disco nel quale richiami ancestrali, suoni primordiali, melodie tribali acquistano nuova vita e nuovi significati grazie alle straordinarie improvvisazioni vocali e alle continue invenzioni di Mattiuzzi e all'instancabile lavoro ritmico, poliritmico, coloristico dispensato da Cusa. Troviamo echi di canto gregoriano, il finale di "baba ori o," e il dolore misto a speranza dello spiritual in "come ye ye". "Let My People Go" è una delle due composizioni originali e suona come un etno-rap intriso di blues che piacerebbe ad Amiri Baraka, "se e gberin o" vive sul contrasto tra un tappeto percussivo folklorico e le evoluzioni vocali di Mattiuzzi sospese tra Cristina Zavalloni e Cathy Berberian. E infine gli ultimi due brani, registrati dal vivo, abbondantemente oltre i dieci minuti, in controtendenza quindi rispetto al resto del disco, che danno la possibilità ai due musicisti di far fluire come un onda in piena la grande sapienza improvvisativa colta nelle sue innumerevoli e apparentemente inconciliabili sfumature.

Valutazione: 4 stelle


Vincenzo Roggero – All About Jazz


web. http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=5727



FRANCESCO CUSA - il:2011-12-01

La “fase dello specchio”, motivo fondante degli scritti di Jacques Lacan, ha ispirato il batterista Francesco Cusa a dedicare al controverso psicanalista, indagatore di psicosi e dissociazione della personalità, quattro ironiche composizioni (con titoli come Le can can de Lacan) di compatto e introspettivo avant-jazz “strutturalista”, che si sdoppiano specularmente nella zigzagante esecuzione orchestrale di un nervoso sestetto (due chitarre, due fiati e ritmica) e in quella più audace e rockeggiante di un quartetto con percussioni, chitarra e le voci (tra fantasioso scat polifonico e ruggiti alla Galás) di Marta Raviglia e Gaia Mattiuzzi. Quest’ultima è anche protagonista con Cusa delle exotiche e virtuosistiche Caribbean Songs (da traditional documentati da Alan Lomax) del duo Skinshout, altro segno dell’alta qualità raggiunta dal laboratorio creativo di Improvvisatore Involontario.

(area: Avanguardia. Voto: 7)


Vittore Baroni – Rumore

SKINSHOUT & XABIER IRIONDO "Altai" - 0024 IMPROVVISATORE INVOLONTARIO (2011) - il:2011-11-10

Mantiene la stessa tensione che scorre lungo le pagine che gli forniscono il titolo, questo nuovo lavoro made in Improvvisatore Involontario. Le pagine sono quelle di “Altai”, splendido ritorno letterario per gli ex Luther Blissett, ora Wu Ming. Le musiche invece sono quelle, in apparenza strumentalmente povere ma incredibilmente ricche di sfumature e suggestioni, di Skinshout, sigla dietro cui si celano il batterista tuttofare Francesco Cusa (anche agli electronics) e la cantante Gaia Mattiuzzi, per l'occasione accompagnati dalle inafferrabili volute (pseudo)chitarristiche di Xabier Iriondo, alle prese coi suoi strumenti autocostruiti preferiti (mahai metak e taisho koto).

Come una colonna sonora per un romanzo di confine e di lotta, Altai vive di sketches basati, giocoforza, sui rimandi alle musiche tradizionali mediorientali (le svisate di mahai che costeggiano Verso Salonicco, i profumi da casbah evocati da Il Mercato Di Salonicco) e la prevalenza dei momenti di rottura, anche fisica, che stanno nel corpus narrativo. “Romanzo di grida ed epidermidi urlanti, di scuoiamenti, di uscite di serpenti dalla propria pelle” si legge nel booklet interno appannaggio del collettivo di scrittori bolognesi e si è totalmente d’accordo. Traducendo in termini musicali la fuga e (non)rinascita del protagonista, Altai utilizza i vocalizzi tra lirica e Diamanda Galas della Mattiuzzi (I Tre Venti Che Flagellano Costantinopoli), le pindariche atmosfere semi-ambient dell’elettronica meets drumming lievemente jazzato di Cusa (Altai), il clangore pieno del jazz-rock più corposo e trasversalmente off o avant- (Arrivo A Famagosta). L’esplosione della battaglia, finale e decisiva, si trasfigura in un trionfo di percussioni guerresche e stridolio vocale, prima (Il Bombardiere Di Farmagosta), e di lancinanti escursioni in un territorio da dopo-morte, statico, macerato, poetico (le due parti di La Battaglia Di Lepanto), poi.

Altai è esercizio di sonorizzazione ideale nel suo saper condensare in poco più di venti minuti, le suggestioni, le atmosfere, la poetica di un grande romanzo rese altrattanto liricamente dalla sensibile abilità musicale di un duo (più uno) di spicco nel panorama "jazz" italiano.

(7.2/10)

Stefano Pifferi – Sentireascoltare

web.http://www.sentireascoltare.com/recensione/9429/skinshout-altai.html#.TruUX3GWZZQ.facebook



SKINSHOUT & XABIER IRIONDO "Altai" - 0024 IMPROVVISATORE INVOLONTARIO (2011) - il:2011-09-07


Do you remember "concepts albums”? Do they still exist? Records created with an history at thei bases, a long run which to make music moving and flowing, searching for something that is not pure and simple musical talent and grey cerebral subject? It seems I can give an affermative answer listening to the ten tracks of this Altai, last recording by duo Skinshout (Gaia Mattiuzzi - vocals, Francesco Cusa - percussion & electronics) supported by a diabolical Zavier Iriondo playing his selfmade sulfur taisho koto and mahai metak instruments. In the booklet written by Wu Ming (perhaps relative of that Milos Temesvar that we find in the introduction of the book "Name of the Rose" by Umberto Eco) we read the agitated plot of an historical novel set in Venice, Constantinople, Cyprus and other different places in the XVI century. For an adopted Venetian as I’m, it is a great pleasure to listen and to “read” a piece like "Fuga da Venezia", a prolonged drone that describes the sonorous tension of a man that escapes, in the anguish to be captured, among the dark fogs of the small streets of Venice, pursued by the voice of Gaia Mattiuzzi seems to sing in a Meredith Monk’s way the apparent success of an escape, marked by the pressing footsteps of Francesco Cusa’s battery.



An immersive record where we move among the roads of Constantinople, in the middle of people of all the races, with Iriondo and Cusa playing blasts and winds, dirty white noise on the background of murders and battles, making you feel the sweat of the men, animals and machines ("La battaglia di Lepanto").



A brief record, twenty-two minutes long for a complete experience, but at the end are we really sure that all these accadimentis happened? And then where Corto Maltese and Rasputin were?



Empedocle70 – Contemporary guitars blog



web. http://contemporaryguitarsblog.blogspot.com/2011/09/girardi-senna-recchia-burk-spinoza.html



NAKED MUSICIANS "Emiliano Culastrisce" IMPROVVISATOREINVOLONTARIO I.I .0014 (2009) - il:2009-12-04

Improvvisatore involontario frantuma e reinventa. Si autoreplica. In una serie di progetti e in collettivi di vario genere che hanno il solo scopo di non avere (apparentemente) uno scopo. Tra i tanti, i Naked Musicians di Francesco Cusa. Un gruppo che fa della forma un informe sformato di genere imprecisato. Del jazz una stanza senza più pareti ma alberi. Dell'avanguardia una massa di note per masse pensanti poco massificate.

In questo terzo episodio del gruppo si incrociano voci che sono loops ad uso e consumo della ritmica (ilfunkydinoccolatoilfunky di Emiliano e Biagio in funky town), urla e battere tribale su ottoni à la Archie Shepp periodo Attica Blues (Emiliano e gli animali felici), sordine, hard bop e chitarre noise (Emiliano e il codice fiscale), samplers e nonsense in rima (Emiliano Biagio e l'incanto della sirena). Con lo scopo di sincopare testi e musica in un'entità inscindibile e al tempo stesso “involontariamente” coerente con il tema centrale del brano. Il tutto entro confini prestabiliti da particolari sonori (emblematica la ripetizione ad libitum di “piorrrrrrrea” in Emiliano e la Piorrea), sovrapposizioni di livelli, timbriche lontane anni luce tra loro, liriche che giocano sapientemente col significato e col significante musicale.

Registrato dal vivo - come del resto tradizione di Improvvisatore Involontario vuole - e realizzato in forma di concept da una ventina di musicisti di varia estrazione, Emiliano culastrisce pare un parto assai convincente, in più baciato da una “semplicità” d'uso che non diresti possibile visto il polverone anarchico sollevato dai settantatrè minuti di programma.

(7.5/10)

Fabrizio Zampighi - Sentireascoltare

web. http://www.sentireascoltare.com/recensione/6299/Naked-Musicians-emiliano-Culastrisce.html





Mia intervista per Cool Club.it - il:2009-07-13


Questo mese abbiamo il nostro viaggio nell'indie di ferma dalle parti di Improvvisatore involontario etichetta che raccoglie musiche sperimentali o meglio "dell'oggi" come preferisce definirle Francesco Cusa fondatore di questo stravagante e coraggioso collettivo.
Il vostro collettivo/etichetta è un'esperienza insolita anche nel panorama indipendente. Da dove nasce questo progetto?

È un'idea che nasce tre anni fa, sulla scorta delle mie esperienze fatte in associazioni quali Bassesfere ed ExB. Nasce da una discussione feconda tra il sottoscritto, Paolo Sorge e Carlo Natoli (entrambi parte del gruppo Francesco Cusa Skrunch), con l'idea di creare un soggetto composito e aperto a tutte le forme artistiche ed interdisciplinari, più un movimento d'opinione che una realtà associativa chiusa ed autoreferenziale. Un soggetto camaleontico e fustigatore dei consunti costumi e dei patetici cliché della proposta artistica; un osservatorio attivo e dinamico sulla disperante e monodica recita della farsa in cui versa la retorica della cultura artistica museale italiana. Quindi col tempo abbiamo accolto tanti "adepti" e la nostra famiglia è cresciuta, venendo a costruire un piccolo esercito con avamposti per ogni parte d'Italia e dell'Europa. Siamo dunque diventati label, management, distribuzione, produzione ecc.

Chi è l'improvvisatore involontario?

Improvvisatore Involontario è una sorta di Kaiser Sose (vi ricordate il film I soliti sospetti?). Succede che un giorno riceviamo una telefonata nella nostra sede da parte di un noto finanziatore internazionale che ci ha intimato di mantenere l'anonimato. Egli, interessato al nostro progetto, ha scelto di finanziarlo a fondo perduto proponendoci un insolito contratto; poche righe con la Clausola in neretto: "Il Finanziatore intende mantenere l'assoluto anonimato sulla vicenda pena la rescissione del contratto e relativa penale". Noi non siamo certo nella condizione di poter rifiutare o reagire. Quindi, per quel che ne sappiamo, il nostro benefattore potrebbe essere la Cia, il Kgb, il Mossad, Murdoch, Gelli o la fallita Semeraro Mobili.



Sicuramente le vostre pubblicazioni hanno un pubblico particolare, per non usare la parola nicchia, quanto è difficile, in Italia, produrre e promuovere musica sperimentale?

Grazie ai finanziamenti di "Kaiser Sose", come ormai abbiamo deciso affettuosamente di chiamarlo, per noi è relativamente più semplice. Dovendo esprimere un giudizio più obiettivo nei rispetti della situazione generale e verso chi è meno fortunato di noi direi che è praticamente impossibile se non essendo ricchi e facoltosi rampolli. Ci muoviamo in un regime e di conseguenza la musica "d'arte" - utilizziamo questo patetico cliché -, è annientata da leggi vessatorie che uccidono il proliferare della attività performative tramite una tassazione indecente che finisce con il favorire, paradossalmente, gli "stranieri" a discapito degli italiani. La musica "sperimentale" (poi sperimentale ‘de che'?") è vilipesa da un sistema crapulone della riscossione del diritto d'autore, leggi: Siae, è oltraggiata dal pullulare di conservatori e scuole di musica che finiscono con lo sfornare replicanti senza meta, è mortificata dall'indecente eccesso della proposta e dall'arroganza dei neofiti. Non ci si vergogna più di "darsi". Ciascuno ostenta sicumere frutto del trip egomasochista che trova in sottospecie di guitti riccioluti i modelli tragici per non dire immondi della libertà della espressione artistica (come se fosse "bello" ruttare in faccia a chiunque pur d'esprimersi). La musica sperimentale (sperimentale "de che"? Quali esperimenti di grazia?), o meglio le musiche dell'oggi, sono lo spettro angoscioso del senso di colpa e del rimosso: messa in scena del teatrino del nulla, sovente, al limite pratica masturbatoria nel migliore dei casi. Quantomeno in Italia.

Questo numero del nostro giornale è dedicato al concetto di indipendente, secondo te ha ancora un senso, è sinonimo di libertà o cosa?

Non significa più nulla nell'era della società dei consumi. Indipendente non è neanche la nostra volontà, figurarsi l'espressione della nostra nevrosi. La moderna ricerca ha annientato l'illusione del concetto di libero arbitrio, fortunatamente. Improvvisatore Involontario segue le leggi del Fato, è un simbolo, un archetipo che ci guida verso il nostro cammino pre-determinato. Come novelli Ulisse, noi abbiamo una Missione. Possiamo al massimo ingraziarci gli Dei affinché il nostro cammino sia fecondo e propizio. La libertà poi è un altro concetto chimerico giacché essa non esiste senza la prigionia. Ecco i nostri adepti sono come dei carcerati cui venisse concessa qualche ora d'aria. Quella è la libertà.

Osvaldo Piliego