Mio workshop a Odena "Naked Performers" con i ragazzi dell'Istituto Venturi. - il:2013-10-06
FRANCESCO CUSA Vocal Naked in radio: SPIRITUAL UNITY by Luca Collepiccolo - il:2013-10-04
TRY TRIO per trasmissione radio SPIRITUAL UNITY, a cura di Luca Collepiccolo - il:2013-10-04
Intervista a Debora Petrina che cita il mio lavoro con Vocal Naked. - il:2013-09-18
Il cd Nursery Four sul sit giapponese "La Chat" - il:2013-09-16
recensione di FRANCESCo CUSA "VOCAL NAKED" per la rivista russa: JAZZQUAD (only russian) - il:2013-09-10
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Francesco Cusa & "Vocal" Naked Musicians - Flowers in the Garbage
08.09.2013
Так уж сложилось, что контакты нашего сайта с итальянским джазом до сих пор были связаны в первую очередь с музыкантами и лейблами с севера Апеннин. И вот, в виде нескольких альбомов, - первое знакомство с авангардным по преимуществу джазом, издаваемым на самом юге страны, на острове Сицилия, где в Катанье работает лейбл Improvvisatore Involontario. И для начала этого знакомства - альбом барабанщика, композитора и лидера нескольких групп, очень опытного музыканта Франческо Кузы, кстати, тоже уроженца Катаньи, который здесь выступает в качестве автора всех композиций и дирижера вокального коллектива " Vocal" Naked Musicians. Запись альбома Flowers in the Garbage была сделана в одном из джаз-клубов Феррары в начале мая 2012 года.
"Vocal" Naked Musicians – чисто вокальный ансамбль смешанного состава: два мужских и пять женских голосов. Пение a capella в смешанном составе для джаза, в принципе, дело не новое. Сидя в Минске, я сразу вспомнил тоже смешанный по составу белорусский ансамбль «Камерата». С другой стороны, именно великие певцы и певицы, знаменитое бельканто составляют славу итальянской музыки. Но то, что делает "Vocal" Naked Musicians под руководством Франческо Кузы, заставляет говорить не о «Камерате» или бельканто, а, скорее, об авангардных вокальных экспериментах британца Фила Минтона. А вот возможности целой команды вокалистов-импровизаторов позволяют Кузе и его коллегам добиваться качественно иных, порой очень ярких эффектов.
То мужской голос, то женский, то дуэт из двух мужских голосов, чередуясь, выходят на первый план, в то время, как остальные выстраивают виртуозный динамический фундамент для их импровизаций. Порой в кружеве вокализов можно расслышать тень вокала классической школы, а порой оно рассыпается на вполне конкретные и не слишком музыкальные звуки, вроде хрюканья в Latte E Miele in Insalata Di Porco. Среди 17 композиций альбома вы обнаружите и коротенькие, на полминуты, эскизы типа Il Mezzogiorno Della Vedova Cieca, и развернутые, обстоятельные полотна, например, The Marriage of Lady Clorofilla, прелестную композицию, в которой средневековые мотивы переплетаются с фольклорными, один из моих персональных фаворитов альбома, или механистичная по колориту, ультра-современная FM 666. Другой мой фаворит - Il Cacciatore Di Lentiggini, где сильные стороны коллектива представлены особенно эффектно.
Ко всему вышесказанному добавьте несомненное чувство юмора, витающее в композициях Кузы (например, в Scolaresca in Gita Su Proxima Centauri), а также широкие литературные реминисценции в тематике ряда пьес – от Улисса до Монте-Кристо – и вы получите отдаленное представление о том ярком, необычном, спорном, но интересном действе, которое разворачивают перед своими слушателями Франческо Куза и его партнеры в альбоме Flowers in the Garbage. Сам дирижер и композитор говорит о проекте в liner notes так: «…Управляя этими песнопениями, я чувствовал себя словно за штурвалом пиратского корабля, среди тропических ветров, сирен, русалок и морских чудовищ из произведений Верна.» Как видите, недостатком воображения Франческо Куза не страдает. Музыка Flowers in the Garbage подтвердит этот факт.
© 2012 Francesco Cusa " Vocal" Naked Musicians / Improvvisatore Involontario
17 tks / 35 mins
(Francesco Cusa – conductor, Manuel Attanasio, Gaia Mattiuzzi, Alessia Obino, Marta Raviglia, Cristina Renzetti, Vincenzo Vasi, Cristina Zavalloni –voice;)
Диск предоставлен Improvvisatore Involontario
Леонид Аускерн
музыкальный стиль: авангард
авторы: Леонид АУСКЕРН
страна: Италия
Recensione di Tan T'ien: "The Fourth Door" per Jazz Convention a cura di Nicola Barin - il:2013-08-08
Tan T'ien - The Fourth Door
Scritto da Nicola Barin
Mercoledì 07 Agosto 2013 00:00
Improvvisatore Involontario - II0031 - 2013
Luca Dell'Anna: pianoforte, rhodes
Ivo Barbieri: contrabbasso
Francesco Cusa: batteria, percussioni
Cimentarsi nel piano trio è diventata una sfida sempre più caparbia e irraggiungibile, è difficile scovare ancora qualcuno che, nell'attuale panorama del jazz contemporaneo, abbia ancora qualcosa da dire. Ultimamente il pianismo scandinavo ha introdotto una nuova tendenza, creando fin troppi epigoni, proponendo una rielaborazione del classico piano trio introducendo tempi mutuati dal rock e un uso dell'elettronica misurato: un nome tra tutti, il compianto Esbjörn Svensson.
È un piacere quindi ascoltare un trio che si discosta da mode facili e passeggere per avventurarsi nel passato.
Luca Dell'Anna (pianoforte e rhodes) e Ivo Barbieri (contrabbasso), ai quali appartengono tutte le composizioni originali, a cui si aggiunge Francesco Cusa (batteria), costituiscono i Tan T'ien. L'espressione nella medicina tradizionale cinese indica i punti focali di energia situati nel corpo umano. Tenta di esplorare l'interazione e i conflitti tra i diversi strati della coscienza sperimentati durante la pratica della meditazione.
Si guarda agli anni '70, lasciandosi andare ad una notevole libertà compositiva con strappi e cesure improvvise. C'è la voglia però di attualizzare il genere introducendo ritmi rock e funky. Fatalmente sottile ed impalpabile è lo swingante beat di Cusa, che ben si addice alla ricerca inesauribile di Dell'Anna tra spazi e silenzi (Unconscious Material).
La poliritmicità è sempre presente e la batteria sobbolle violentemente. È una musica improvvisata, il cui senso si può cogliere solo nel suo (dis)farsi e la sua dimensione è il live. Il suo retroterra si rifà ad una certa libertà del jazz elettrico di fine anni '60, cosi libero ed alla ricerca spasmodica del parossismo. Si tratta di un pianismo concitato e percussivo, di non immediata fruibilità. In First Door la cavata potente e il suono legnoso di Barbieri ben si sposano con il piano che insiste su un paio di accordi: la tensione è quasi magmatica ed esplode in una eruzione controllata.
Piano e fender rhodes si alternano in Manifestation of Matter I: il primo disegna un breve ostinato alla fine del brano ed il secondo la fa da padrone con un suono lisergico, molto fusion, accompagnato dal contrabbasso sporco mentre la batteria mantiene un beat rock violento.
Come ricordano le note di copertina, i tre elementi del trio interagiscono in un'area comune, ognuno mantiene rigorosamente il suo ruolo all'interno di ogni brano che rappresenta il conflitto o l'armonia tra conscio, inconscio e subconscio. L'interazione degli elementi si configura come una lotta o, in alternativa, come un dialogo.
Vivacità e immediatezza caratterizzano un lavoro che si distingue per la sua originalità.
Trasversalità della musica e del canto: Francesco Cusa e Gaia Mattiuzzi - il:2013-07-17
Una delle etichette indie jazz italiane più sottovalutate, l'Improvvisatore Involontario, fondata dal siciliano percussionista Francesco Cusa, ha da tempo ospitato al proprio interno una filosofia musicale che è agli antipodi con le "normalità" del mercato discografico interno: se la stampa specializzata di settore se ne è occupata comunque rimarcando le specificità delle proposte dei musicisti, la cerchia degli organizzatori di spettacoli e i direttori artistici, sotto l'influsso della paura del rischio di flop, l'hanno indegnamente sottovalutata. E' la solita questione a cui siamo abituati purtroppo e che ha un substrato dimostrativo nell'assenza di adeguata educazione musicale, fattore che dovrebbe aver ben altri contorni ed essere migliorato partendo proprio dalla scuola dell'obbligo. Come lo stesso Cusa afferma, in Italia prevale l'intrattenimento ed è difficile la comprensione della complessa cultura musicale odierna, ma non si vede come si può migliorare se si lascia poco spazio a coloro che avendo preventivamente capito i risvolti negativi di quelle carenze, cercano di approntarne dei contributi con una ricerca quanto più ampia possibile.
Dovendo affrontare il mio atavico ritardo negli ascolti (non per mia colpa), dietro l'invito di Francesco ho cercato di anticipare l'ascolto dei suoi progetti, in vista anche di nuove produzioni discografiche appena pubblicate che penso siano di particolar pregio: tra le diverse proiezioni dell'artista, che si presenta piuttosto versatile sull'argomento (1), esplorando anche jazz, rock e colonne sonore, mi soffermo al momento solo sulla dimensione "vocale" ed "improvvisativa". In merito Cusa ha approntato un paio di collaborazioni (con relativa incisione), quella dei Skinshout, progetto variabile che parte da un duo con una delle migliori cantanti italiane, Gaia Mattiuzzi e si allarga al chitarrista Iriondo ed occasionalmente a due ballerini impostati tra tradizione e danza contemporanea (l'etiopico Melaku Belay e la messicana Jennifer Cabrera); l'altro, con formazione allargata a più voci libere, è quello dei Naked Musicians, in cui si realizza la sua "dilettantistica" conduzione (termine ironicamente da lui usato). Cusa penetra nella vocalità cercando di trarre un inedito connubio tra elementi diversi elaborando modelli stilistici del passato (2): c'è innanzitutto una passione per il recitativo e il teatro (in "Psicopatologia del serial killer" quest'aspetto era ben delineato), per le vocalità di vario genere, da quella classica (non solo per via del normale retaggio operistico delle estensioni di tonalità, ma anche in virtù dei percorsi contemporanei che hanno di fatto introdotto gemiti, ripetizioni senza significato, emissioni di suoni vocali involontari), a quella sperimentale (in cui un peso fondamentale è riservato alle nevrotiche sperimentazioni di Meredith Monk), da quella jazzistica (qui si va dal trio Ross-Lambert-Hendricks fino ai Manhattan Transfer) a quella para-jazzistica (il riferimento è alle emissioni simulatrici di vocalisti come Bobby McFerrin e similari); in "Caribbean Songs", un cd di brani ancestrali delle relative popolazioni dell'America centrale presi dai forzieri del musicologo Alain Lomax, gli abbinamenti tra il suo drumming che sembra rieccheggiare le antiche evocazioni dei fenomeni atmosferici e la voce di Mattiuzzi che incorpora dentro Berberian, Monk e Carmel sono disorientanti ed affascinanti al tempo stesso: un incursione nell'etnicità totalmente svincolata dal jazz, in cui c'è di tutto, persino una onomatopeica ricerca sul canto; "Altai", soundtrack per il libro dello scrittore Wu Ming, aumenta il raggio geografico della proposta, evidenziando ancor di più che attraverso la musica (fatta di percussioni implacabili e corde ricercate) e tutte le eccellenti sfumature umorali della voce della Mattiuzzi, si può arrivare ad una nuova capacità di rappresentazione, non imparentata necessariamente con una risaputa tonalità, ma che è moderna ed ugualmente carica di significato estetico. La dimensione improvvisativa è stata curata anche con un progetto pluridisciplinare che coinvolge voci, strumenti e danza: si tratta dei Naked Musicians, un collettivo scindibile nelle sue parti, che richiama per certi versi alla memoria le conductions di Butch Morris: Cusa interagisce con gli elementi fissando, attraverso gesti riconosciuti dagli artisti, ordini e priorità di esecuzione. Il recentissimo "Vocal - Naked Musicians", che prende in considerazione solo la parte vocale del collettivo, si muove nell'àmbito necessario di coordinate di insieme (un ensemble vocale di ordite proporzioni, vi troverete tra gli altri oltre alla Mattiuzzi, Manuel Attanasio, Marta Raviglia e Cristina Zavalloni) dove è possibile rintracciare gli acumi stilistici del leader (prima citati) al servizio di un potente lavoro di ricomposizione vocale dove poter far scorrere delle ironiche e brevi scenette su vicende, personaggi, ambientazioni che sono al limite del sarcastico, parzialmente accondiscendenti allo stile dadaista zappiano.
Rimanendo in tema di segnalazioni per Improvvisatore Involontario è da ricordare che Gaia Mattiuzzi ha recentemente pubblicato anche il suo primo cd da solista "Laut", un quartetto eccellente con Puglisi, Calcagnile e Senni, in cui tutto il bagaglio canoro formativo viene veicolato in un patchwork sonoro più vicino alle vestigia jazzistiche. Non è che il risultato sia inferiore, anzi è evidente ed utile scorgere ulteriori elementi di elaborazione oltre all'efficace duttilità della voce della cantante che rende improponibili i confronti: in presenza di uno sfondo smaccatamente jazzistico, la trasversalità qui si compie sulle fonti d'ispirazione e pesca in maniera indistinta nel mondo del canto, dal teatro di Brecht and Eisler all'oscurità dei sensi di Nina Simone, dalle Harmonie du soir di memoria Debussiana per sfrondare il tema di Baudelaire alle possibilità offerte dalle tradizioni (in questo caso ebraica e libanese), fino ad una disinibita reinvenzione della "The world feel dusty" di Copland.
Oggi sono oramai molti i canali con cui la vocalità si esprime, tuttavia gli esperimenti del gruppo di Cusa, che recentemente hanno potuto anche condividere le loro sonorità con il pubblico americano, mi sembrano unici nella loro autenticità e soprattutto vogliono rimarcare l'importanza del linguaggio orale e corporale rispetto a quello scritto.
Note:
(1) per un esame completo vedi http://www.francescocusa.it/bands.php
(2) "......io mi ritengo un tradizionalista più che un innovatore dal punto di vista dello "stile". Parto dal principio che non vi è nulla di "nuovo" da creare al momento, ma semmai da giustapporre...." Cusa in un'intervista di Enrico Bettinello su All About Jazz, maggio 2004
Recensione di Tan T'ien: "The Fourth Door" per All About Jazz - il:2013-07-12
Tan T’Ien | Improvvisatore Involontario (2013)
di Alberto Bazzurro
http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=9277#.UeAK6tQJlHw.facebook
Entrato in sala d'incisione nel maggio 2011, Tan T'Ien - termine che in medicina tradizionale cinese indica i tre punti del corpo umano in cui ha sede l'energia vitale - è di fatto una creatura del pianista Luca Dell'Anna e del bassista Ivo Barbieri (tutto loro il materiale tematico), con Fracensco Cusa che ne rappresenta una sorta di ospite di (particolare) riguardo.
Nei mare magnum dei dischi per piano trio, questo ha un grande merito: distinguersi dalla massa. I suoi parametri espressivi non sono infatti riconducibili a modelli troppo definiti (il che rappresenta un'autentica fatica di Ercole...), grazie a strutture mai ingabbianti eppure ben salde, nonché a un procedere "narrativo" che sa rendersi interessante nota dopo nota, frammento dopo frammento, senza generare noia o assuefazione.
Colpiscono - a spot - svariati elementi. Per esempio l'uso del Fender Rhodes da parte di Dell'Anna, sotto le cui dita uno strumento di regola piuttosto indigesto (al vostro recensore di sicuro) perché edulcorato, patinato, sbiascicato quasi sempre senza lo straccio di una frase che valga la pena di esser detta, si fa invece materia viva, altra cosa dal piano acustico, ma anche da tutti quei piani-giocattolo che lo strumento fa spesso venire in mente. Qui l'input è la pura ricerca sul suono e sulle dinamiche, il che ci riporta ai primi gloriosi esperimenti che, oltre quarant'anni fa, imposero (giustamente) l'electric piano fra le voci-chiave del nuovo jazz. Pensiamo a Bitches Brew e dintorni, ovviamente, alla sua forza propulsiva: ascoltare anche solo "Overcoming Spite," qui, per credere.
C'è poi la capacità di non essere mai futilmente descrittivi (anzi spesso a spigoli vivi) eppure così "cinematografici" (anche qui un esempio: "Imposition of Self," che sa tanto di tappeto per l'appostamento, o il pedinamento, in un noir coi fiocchi...).
C'è tanto altro, ovviamente. Ci sono, per esempio, gli episodi migliori del disco: "First Door," avvio plastico e sviluppo in crescendo, "Misleading Focus," di tratto gustosamente monkiano, il dittico "Illusion of Contingency"/"Manifestations of Matter II," uno più nervoso e l'altro più rotondo, secondo un'alternanza ripresa grosso modo in un secondo dittico, "Unconscious Material"/"Manifestations of Matter III," nel quale ultimo (brano) s'impone la centralità della batteria (come del resto già in "Misleading Focus").
Ci sono magari anche episodi più deboli (tipo "Manifestations of Matter I," o "The Secon Door," breve e denso ma come incompiuto) e tuttavia è il prodotto nella sua globalità che va giudicato. E in questo senso non possiamo che augurarci di vedercene recapitati parecchi, di piano trii altrettanto degni di ascolto.
Visita il sito di Tan T’Ien.
Valutazione: 3.5 stelle
Elenco dei brani:
01. Struggle Through Lucubration; 02. Imposition of Self; 03. First Door; 04. Manifestations of Matter I; 05. Overcoming Spite; 06. Misleading Focus; 07. Illusion of Contingency; 08. Manifestations of Matter II; 09. The Second Door; 10. Unconscious Material; 11. Manifestations of Matter III; 12. The Third Door.
Musicisti:
Luca Dell'Anna (pianoforte, piano elettrico); Ivo Barbieri (contrabbasso); Francesco Cusa (batteria, percussioni).
Stile: Avant
Pubblicato: 12-05-2013
Inchiesta esclusiva:per Allaboutjazz: perché nei cartelloni dei Festival mancano spesso alcuni musicisti italiani? - il:2013-06-24
Inchiesta esclusiva: perché nei cartelloni dei Festival mancano spesso alcuni musicisti italiani?
Pubblicato: June 24, 2013
di Enrico Bettinello
Come ogni anno, all'arrivo della stagione dei festival, appassionati e critici, musicisti e operatori scorrono i cartelloni per organizzarsi trasferte, vacanze, weekend o occasioni di lavoro.
Come ogni anno poi, non mancano piccole polemiche e perplessità, in particolare per quella che è diventata una vera e propria costante di questi ultimi anni, la quasi totale assenza (o per meglio dire la scarsissima presenza) nei programmi dei festival di molti giovani musicisti italiani, che pure durante l'anno sono particolarmente attivi a livello di produzione discografica, che sono spesso presenti e propositivi sui social network e che ottengono anche una notevole visibilità da parte della stampa specializzata e dai referendum annuali.
(Un discorso analogo si potrebbe fare - e magari lo faremo - per altrettanti musicisti stranieri, americani e europei, anche blasonati e con un loro seguito in Italia, che nonostante siano in tour e spesso con ingaggi tutt'altro che proibitivi, sono praticamente assenti dai Festival estivi, ma limitiamoci per ora agli italiani)
Nell'agosto del 2012, nelle pagine del mensile Musica Jazz avevo pubblicato (con i limiti di spazio della carta stampata e una certa ritrosia a avere risposte chiare da direttori artistici e operatori) un'inchiesta sul perché, ad esempio, i collettivi presenti sulla scena nazionale trovino così poco riconoscimento nei festival e nelle rassegne.
Ho pensato di proseguire l'indagine per AllAboutJazz Italia, sottoponendo a alcuni musicisti poco presenti nei festival un rapido questionario per consentire ai lettori di avere qualche dato in più sulla questione.
L'indagine non può, come è evidente, avere un carattere rappresentativo di tutta la varietà di situazioni e di dinamiche che caratterizza il mondo dello spettacolo dal vivo e le storie personali degli artisti, ma speriamo possa essere un primo passo interessante per aprire una discussione serena e costruttiva su questa che agli occhi di un osservatore esterno rimane pur sempre una forte anomalia.
L'inchiesta proseguirà nelle prossime settimane ponendo una serie di analoghe domande (alcune delle quali nascono proprio dai musicisti stessi che hanno risposto al questionario pubblicato in questo articolo) rivolte ad alcuni dei principali direttori artistici della penisola e a esponenti del mondo del management e degli uffici stampa.
Al questionario hanno risposto (e li ringraziamo moltissimo, perché talvolta li abbiamo raggiunti nel mezzo di una registrazione o di un tour, cosa che spiega qualche risposta più telegrafica da parte di qualcuno): Piero Bittolo Bon (sassofoni, clarinetti), Silvia Bolognesi (contrabbasso), Paolo Botti (viola, banjo), Francesco Cusa (batteria), Francesco Diodati (chitarra), Nicola Fazzini (sassofoni), Pasquale Mirra (vibrafono), Fabrizio Puglisi (pianoforte), Fulvio Sigurtà (tromba) e Daniele Tittarelli (sassofoni).
Buona lettura!
Sei presente in uno o più festival e rassegne estive italiane 2013 con un tuo progetto?
Bittolo Bon: No.
Bolognesi: No.
Botti: Sì, in alcune rassegne.
Cusa: No. Come ogni anno in estate.
Diodati: Si, con i Neko, a Crossroads, Iseo Jazz e Roccella Jonica.
Fazzini: Sì, con progetti a mio nome a NonSoleJazz, UbiJazz e Silejazz; con gruppi con cui collaboro in tre rassegne del centro Italia con ospite americano (Miles Okazaki).
Mirra: Solo un paio di date in duo con Hamid Drake.
Puglisi: Sono presente in festival con progetti miei e non miei.
Sigurtà: Uno, Iseo Jazz.
Tittarelli: Sì.
Fai parte di un collettivo? Se sì, quale?
Bittolo Bon: El Gallo Rojo.
Bolognesi: No.
Botti: No.
Cusa: Improvvisatore Involontario.
Diodati: No (a meno che non consideriamo la "Auand Family" un collettivo).
Fazzini: No, ma collaboro o ho collaborato esternamente con alcuni di essi.
Mirra: Collettivo Bassesfere.
Puglisi: Collettivo Bassesfere
Sigurtà: No.
Tittarelli: Agus Collective.
Quanti concerti - più o meno - hai tenuto in Italia nell'ultimo anno con un tuo progetto? E quanti come sideman? In che tipologia di luoghi (bar/jazz club/gallerie/teatri/arene etc.)?
Bittolo Bon: Una ventina da leader o co-leader, una settantina da sideman. Festival, teatri, club, bar e così via.
Bolognesi: Cinque con miei progetti e una cinquantina in gruppi altrui, prevalentemente nei club, ma anche in qualche teatro.
Botti: Direi una cinquantina, di cui dieci/quindici con miei progetti.
Cusa: Parecchi, sia come leader che come sideman: prevalentemente in piccoli club, gallerie, bar e qualche teatro (non all'estero, ove ho avuto la fortuna di suonare in ottime location).
Diodati: Negli ultimi dodici mesi, con progetti miei all'incirca una ventina, come sideman circa 50, per lo più in jazz club o bar, ma anche in qualche teatro/auditorium. < br> Fazzini: 28 come leader o co-leader, 20 come sideman, in bar, club, teatri e piazze.
Mirra: Non ho attualmente un mio progetto, ma in duo con Hamid Drake o Domenico Caliri, nonché con altri gruppi, direi una quarantina, in situazioni varie.
Puglisi: Faccio mediamente 50 concerti l'anno tra club, rassegne e festival.
Sigurtà: Sette a nome mio e una ventina con altri progetti.
Tittarelli: Una decina con progetti personali e una trentina come sideman, un po' in tutti i luoghi che citavi.
Quanti concerti - più o meno - hai tenuto all'estero nell'ultimo anno con un tuo progetto? E quanti come sideman? In che tipologia di luoghi (bar/jazz club/gallerie/teatri/arene etc.)?
Bittolo Bon: Direi una quindicina tra leader e sideman, stessa tipologia di luoghi di cui sopra.
Bolognesi: Una quindicina, prevalentemente con il trio Hear&Now nei jazzclub.
Botti: Nessun concerto all'estero quest'anno.
Cusa: Una trentina, sia come sideman che come leader.
Diodati: Con miei progetti uno, con altri circa dodici, in bar, jazz club, teatri, auditorium.
Fazzini: Dodici come sideman tra club e teatri.
Mirra: Una quindicina, in situazioni varie.
Puglisi: Nell'ultimo anno non sono andato all'estero, ma in ottobre andrò in Marocco con un mio progetto e in Portogallo con l'Instabile Orchestra.
Sigurtà: Difficile rispondere perché qui a Londra suono tutte le settimane, anche concerti piccolissimi. Con il mio progetto però molto pochi.
Tittarelli: Nessuno con il mio gruppo, ma cinque o sei come sideman.
Quanti dischi hai inciso a tuo nome (o con un gruppo di cui sei co/leader) nell'ultimo anno? Sono stati recensiti dalla stampa specializzata italiana? Se sì, come sono stati valutati?
Bittolo Bon: Per ora ne è uscito uno solo, recensito direi molto bene.
Bolognesi: Direi cinque, tutti recensiti molto bene.
Botti: Nell'ultimo anno non ho registrato dischi a mio nome.
Cusa: The American Dream con Marco Cappelli's Italian Surf Academy, The Grace and the Beauty con The Assassins, The Fourth Door con TanT'Ien, questi ultimi due per Improvvisatore Involontario. Soprattutto quello degli Assassins ha incontrato parecchi favori di critica.
Diodati: Uno da leader, Need Something Strong, recensito direi molto bene. Ma ache dischi di gruppi quali Matteo Bortone Travelers, Bobby Previte (Plutino, Auanders (uscito su Jazzit), con Alessandro Paternesi, Ada Montellanico e Giovanni Falzone. Hanno tutti avuto degli ottimi riscontri, alcuni anche all'estero (Travelers è stato disco rivelation su Jazz Man per esempio).
Fazzini: Uno, Idea F dell'XYQuartet, con recensioni e ottimi feedback.
Mirra: Uno solo, col collettivo Bassesfere, Senza Alibi.
Puglisi: In quest'ultimo anno sono presente in quattro CD, ma nessuno a mio nome, anche se sono coinvolto anche con brani miei. Recensioni entusiastiche!
Sigurtà: Nell'ultimo anno solo SPL per la CamJazz, è uscito a Aprile e forse è un po' presto per tirare le somme, ma le recensioni che ha avuto sono molto positive. Diciamo che con i dischi precedenti avevo avuto un riscontro molto più immediato.
Tittarelli: Nessun disco a mio nome nell'ultimo anno, ma in autunno ce n'è uno in uscita.
Compari in qualche classifica del Top Jazz 2012? In quale posizione?
Bittolo Bon: Si, non ricordo in che posizione tra i "nuovi talenti" e qualche altra categoria.
Bolognesi: Sono presente nella classifica come miglior musicista, non come nuovo talento perché ho già vinto in quella categoria nel 2010.
Botti: Tra i migliori nuovi talenti (sic!), non ricordo esattamente la posizione, mi sembra quinto o sesto (sesto, N.d.R.), quasi zona retrocessione...
Cusa: Fino al 2011, quando c'erano anche le categorie di strumenti, fra i primi dieci posti come batterista e compositore. Nel 2012, con l'abolizione delle categorie di strumento sto da qualche parte in basso.
Diodati: Si, miglior talento, secondo. Miglior disco e miglior gruppo (ma non fra i primi 10)
Fazzini: Qualche voto miglior nuovo talento e con CD e gruppi (Idea F del XYQuartet , Lanfranco Malaguti Galaxies).
Mirra: Non ricordo la posizione (ottavo, ndr), ma compaio nei migliori nuovi talenti.
Puglisi: Quest'anno, con il ritorno ai vecchi parametri, sono sparito dalla vista dei primi 10.
Sigurtà: Sì, ma non ricordo la posizione, non ho il giornale sottomano.
Tittarelli: Non ne ho idea.
Nell'ultimo anno sono state pubblicate dalla stampa specializzata (e non) interviste e articoli riguardanti la tua figura o il tuo lavoro? Se sì quante?
Bittolo Bon: Mi pare tre o quattro tra riviste e siti specializzati.
Bolognesi: Un paio, sì.
Botti: Due o tre interviste.
Cusa: Parecchie, non saprei rispondere "quante".
Diodati: Si, interviste e articoli su Jazzit, Musica Jazz, Jazzitalia, Andymag, Suoni e Strumenti, e su altri due, tre siti/blog.
Fazzini: Un'intervista su Jazzit.
Mirra: Due.
Puglisi: Non so quante, comunque qualche recensione di disco o concerto.
Sigurtà: Sì, quella con AllAboutJazz Italia e un'intervista in un sito di trombettisti.
Tittarelli: Anche in questo caso, non ne ho idea.
La tua musica è stata mai trasmessa da Radio3 o da altre radio italiane in questi ultimi 12 mesi?
Bittolo Bon: Sì.
Bolognesi: Sì, da Radio3 e da altre Radio.
Botti: Sì.
Cusa: Sì.
Diodati: Sì.
Fazzini: Il XYQuartet su Radio3; poi radio web e qualche radio locale.
Mirra: Sì, da Radio3.
Puglisi: Soprattutto Radio3 e qualche radio locale bolognese.
Sigurtà: Ho fatto Piazza Verdi su RadioRai in duo con Claudio Filippini qualche mese fa.
Tittarelli: Non credo, ma può essere di sì, anche se dubito accada tutti i giorni.
Hai un manager e un ufficio stampa? Se sì, ti porta dei risultati o trova delle difficoltà (quali)?
Bittolo Bon: Ho alle spalle diversi tentativi manageriali falliti per motivi più o meno analoghi. Purtroppo è difficile reperire persone con le giuste competenze che vadano oltre l'entusiasmo, ed immagino che se anche si trovassero, avrebbero molta difficoltà a sfondare il muro di gomma che si trova frapposto tra la "serie A" e la ""serie B" che ci fanno credere esista nell'ambito del jazz in Italia.
Bolognesi: Ho avuto un management per un breve periodo, ma ora non ce l'ho più, mentre per l'ufficio stampa, mi appoggio talvolta a una struttura.
Botti: No.
Cusa: Attualmente faccio tutto da me. Ho qualche management formalmente, ma praticamente: zero. Ne ho provati parecchi: tutti si trovano a sbattere contro un muro di gomma. In Italia lavorano in pochi e la situazione è blindata.
Diodati: Ho avuto un ufficio stampa, ho una manager con cui collaboro. Sì, difficoltà nel trovare spazi, riscontrare della curiosità (per lo meno) in molti degli operatori dello spettacolo e organizzatori in Italia e all'estero.
Fazzini: No.
Mirra: Ho un management che segue alcuni progetti, ma mio personale no, così come non ho ufficio stampa. Il management trova delle difficoltà.
Puglisi: Non ho manager, nè ufficio stampa.
Sigurtà: Ho un manager che nell'ultimo anno ha chiuso due concerti, un ufficio stampa da tre anni con risultati in continua discesa, penso dovuti anche al fatto che sempre più musicisti hanno un ufficio stampa!
Tittarelli: Non ho né manager né ufficio stampa.
Hai diretto in quest'ultimo anno qualche festival/rassegna/serie di concerti/programmazione di un locale? Con soldi pubblici o privati?
Bittolo Bon: Abbiamo organizzato nel 2012 come El Gallo Rojo "Massa Sonora," con il contributo - davvero piccolo - della regione Emilia Romagna.
Bolognesi: Da poco gestiamo con il mio fonico una piccola società con cui organizziamo concerti e workshop nello studio all'interno della Città del Teatro di Casina (PI). Tutto ovviamente autofinanziato.
Botti: No.
Cusa: No.
Diodati: No.
Fazzini: Sì, JazzaMira con finanziamenti pubblici e privati e per quanto riguarda i locali l'enoteca ai Molini a Dolo (VE), ovviamente con fondi privati.
Mirra: No.
Puglisi: No.
Sigurtà: No.
Tittarelli: Come dicevo prima, faccio parte di Agus Collective, che organizza una rassegna annuale con cadenza settimanale in uno spazio sociale a Roma.
I direttori artistici dei principali festival e rassegne italiane ricevono regolarmente informazioni e materiali (demo, links, video) sui tuoi progetti? In che percentuale rispondono, anche se magari non inseriscono il tuo gruppo nel loro cartellone?
Bittolo Bon: Ricevono tutto, rispondono nel 10% dei casi e di questo 10% le risposte positive sono il 10%.
Bolognesi: Sì, quello che pubblico lo invio regolarmente, con una percentuale di risposta che secondo me sta attorno al 5%.
Botti: Generalmente non faccio una promozione "a tappeto," cerco invece di contattare gli organizzatori che so essere già sensibili al mio lavoro e che spesso conosco di persona. In genere rispondono.
Cusa: Sì ricevono regolarmente. Nessuna risposta via mail.
Diodati: Si, non so in che percentuale, sicuramente molto bassa.
Fazzini: Risponde il 50% di quelli che già conosco o con cui ho lavorato in passato, il 5% di quelli che non mi conoscono.
Mirra: Sì, mi si risponderà al massimo nel 20 o 30% dei casi.
Puglisi: Quando faccio un CD a mio nome lo mando un po' in giro... poi inseguo qualcuno. Su 40 spedizioni mirate troverò 3-4 concerti.
Sigurtà: Da due anni sono nelle mani del mio manager per quanto riguarda l'Italia.
Tittarelli: Negli ultimi tempi ne ricevono pochissimo di materiale, ma quando lo hanno ricevuto non hanno quasi mai risposto.
Quale credi sia (sinteticamente) la principale causa dell'assenza di tuoi progetti dai cartelloni dei festival?
Bittolo Bon: Pigrizia, ignoranza (in senso stretto e lato), esterofilia e/o zero attitudine alla "novità" ed al rischio.
Bolognesi: Sicuramente l'assenza di un management, che si traduce in una mancanza mia dal punto di vista manageriale, attività cui dedico poco tempo perché alla fine sono una musicista. Sebbene mi consideri abbastanza conosciuta, credo non ci sia coraggio nel promuovere progetti meno consueti, cosa che posso anche giustificare per il periodo difficile che si sta attraversando e quindi si ricade sempre sui nomi che garantiscono botteghino, ma che è comunque riscontrabile.
Botti: I festival più grandi e "istituzionali" ignorano completamente il lavoro di musicisti come me, probabilmente considerano la nostra offerta musicale non vendibile, mentre altri festival e rassegne medio piccole sono più attenti alla nostra "scena".
Cusa: Nessuno chiede la Luna, bensì la decenza. In Italia sono stati sprecati miliardi appresso a logiche organizzative esecrabili. Negli anni '90 esisteva ancora un fermento, una biodiversità. Adesso quel poco è stato uniformato, ghettizzato. Il paradosso che non posso più tollerare è quello d'esser definito vittimista a fronte di una sacrosanta indignazione per il riconoscimento basilare di una decenza lavorativa. Le risposte che ti potrei dare necessiterebbero di pagine e pagine. Queste battaglie le dovremmo fare tutti: musicisti, critici e organizzatori. Ma, in questo paese parcellizzato e feudale, ognuna di queste figure è spesso in conflitto di interessi, essendo i musicisti, i critici e i direttori di festival poi anche: musicisti, critici e direttori di festival. Voi critici dovreste essere in prima a battervi assieme a noi per una politica fiscale differente, per alcune norme protezionistiche necessarie e volte a tutelare le musiche e le arti... Così muore la biodiversità ambientale, né più né meno della foca monaca o del camoscio d'Abruzzo... La mia risposta è implicita dunque in queste considerazioni. Non so perché non suono io, ma so perché suonano i "soliti".
Diodati: Saturazione di progetti di big, investimenti in dispendiosi progetti ad hoc, mancanza di curiosità, ascolto e investimenti in realtà meno conosciute e con meno appeal su un largo pubblico. Pregiudizi stilistici. Poi alcuni sicuramente ascoltano (spero), ma non apprezzano, cosa che trovo rispettabile.
Fazzini: La poca notorietà, che si traduce nella difficoltà del riempire una sala o almeno la percezione da parte degli organizzatori che così sia.
Mirra: Penso il poco interesse verso un determinato tipo di musicisti italiani e in generale per ciò che accade in giro per la nostra penisola.
Puglisi: La mia musica è troppo jazzistica per i contesti più avant, troppo avant per i contesti jazzistici. Inoltre non sono molto presente in rete e non rompo le scatole con Facebook! Per carattere direi che mi isolo in una nicchia di musicisti che mi piacciono e diffido di chi piace a tutti.
Sigurtà: Un po' la mia presenza in altri gruppi (cerco di fare un mea culpa).
Tittarelli: La scarsa attitudine all'autopromozione.
Scegli il direttore artistico di un importante festival italiano (nome e cognome o nome del Festival). È seduto di fronte a te, lo puoi guardare negli occhi e fargli - educatamente - una domanda
Bittolo Bon: Paolo Fresu, direttore di Time In Jazz, Berchidda: non ho potuto fare a meno, qualche tempo fa, di leggere la sua infuocata missiva all'Unione Sarda (mi pare) nella quale si lamentava di un piccolo (in proporzione) taglio al budget del suo Festival. Con la somma corrispondente all'entità di quel taglio avremmo agevolmente potuto mettere in piedi tra le quattro e le sei rassegne quali quelle che El Gallo Rojo ha faticosamente organizzato negli ultimi anni a Massa Lombarda. Alla luce di questo fatto, non sarebbe il caso di riconsiderare una scala di valori che non può essere più applicabile al periodo di crisi in cui viviamo, e quindi di redistribuire quelle che per me sono enormi risorse in una maniera più equa e consona?
Bolognesi: Music Pool Network Toscana: mi rivolgo a loro essendo la mia Regione e domando perché negli anni, nonostante le produzioni e le costanti proposte, nonché i riconoscimenti da me ricevuti, si sia fatta una terribile fatica a accettare i miei progetti da leader (mentre suono con altre produzioni)?
Botti: Davvero non saprei...
Cusa: Carlo Pagnotta, direttore di Umbria Jazz, ma anche altri: non ho ma avuto il piacere in 25 anni di carriera di suonare al Suo festival, né ho mai ricevuto risposte alle mie proposte. Credo che direttore artistico debba informarsi su ciò che accade nelle musiche in Italia. Per favore non mi risponda con la solita storia del mercato e del riempimento. Se quello del jazz fosse un vero mercato, potremmo fare come fanno gli indiani e i cinesi e dire "hey! c'è la crisi. Stai per fare il nome di grido? Non ci sono soldi? Ok - organizzatore - quanto offri a lui? Io prendo la metà!". E ci sarebbero tanti bei concerti "diversi" in estate. Magari, suvvia, con un bel marchio di Musiche D.O.C. a valorizzare l'operazione. Ma siccome questa storia del mercato del "giezz" è tutta una presa in giro, ecco che ciò non accade. Lapalissiano. Ciò premesso, ecco la mia domanda: sa cosa sono Improvvisatore Involontario, Bassesfere, il Gallo Rojo, Franco Ferguson, e che musica fanno? Su quali basi, viste le premesse di cui sopra, Lei non ritiene tali progettualità idonee alla Sua programmazione? Grazie.
Diodati: Italo Leali, direttori di Tuscia in Jazz: pensa che sia corretta una politica secondo la quale non prendete in considerazione musicisti (fra i giovani) che non abbiano preventivamente partecipato ai corsi estivi?
Fazzini: Giuseppe Mormile direttore di VenetoJazz: perché Veneto Jazz non ha mai sviluppato nella sua direzione artistica una tematica? Ad es. soprattutto per quanto riguarda i concerti satellite sarebbe bello e proficuo per la rassegna stessa sviluppare delle idee che possano attirare l'attenzione del pubblico e stabilire coerenza e continuità tematica all'interno della rassegna valorizzando così gli artisti italiani, locali etc.
Mirra: Mi rivolgo a tutti: quando organizzate la programmazione vi documentate realmente sulla musica degli artisti o preferite affidarvi ai nomi che già conoscete e circolano? Quanto la vostra scelta dipende dai nuovi ascolti che fate?
Puglisi: Sinceramente non ho niente da chiedere a nessuno, conosco le logiche. Protezioni politiche e qualche assessore che ti chiede di riempire un teatro. Se il teatro è di un migliaio di posti io non ci suono con i miei progetti (nel senso che non lo riempio col mio nome). Ci suono al limite con progetti in cui non sono leader (che va bene lo stesso, alla fine). Insegnando in conservatorio, pur nel solito precariato, mi posso permettere di partecipare a cose che mi piacciono, non suono con chiunque e non per snobismo, ma per onestà.
Sigurtà: Una domanda semplice e per nulla retorica che rivolgo a tutti i direttori: perché fate il direttore di un festival? Vorrei capire bene le motivazioni che spingono a organizzare eventi e qual è l'obbiettivo finale.
Tittarelli: A questa domanda preferisco non rispondere.
Ci sono aspetti della promozione della tua musica che credi possano essere migliorati?
Bittolo Bon: Sicuramente.
Bolognesi: Sì, sono molto critica con me stessa, dovrei fare più relazioni pubbliche, chiamare le persone, rompere le scatole, ma quest'ultima è una cosa che odio e comunque come dicevo sono una musicista e piuttosto di fare una telefonata, preferisco sedermi a scrivere un pezzo nuovo.
Botti: Senz'altro, ma preferisco concentrarmi sulla musica.
Cusa: Senza dubbio. ci stiamo lavorando con Improvvisatore Involontario.
Diodati: Sicuramente con più soldi a disposizione potrei promuovere di più e con più qualità, ma serve a poco se c'è poco interesse dall'altra parte (a prescindere che poi la musica piaccia).
Fazzini: La qualità della proposta artistica (sempre si deve pensare di migliorare la propria musica, mai dimenticarsi il contenuto), modalità della comunicazione delle proposte (il contenitore della propria musica dal web al cartaceo), lavorare con ufficio stampa e successivamente con un booking agent.
Mirra: Sicuramente!
Puglisi: Sicuramente la presenza in rete.
Sigurtà: Si tratta di un processo in continua evoluzione.
Tittarelli: Certo, penso di sì.
Saresti disposto a spendere i soldi che investiresti in un nuovo disco in una promozione più efficace che ti consentisse una maggior presenza nei principali festival e rassegne?
Bittolo Bon: Sto pensando di investire in un ufficio stampa, ma con mille euro (più o meno la spesa per la produzione di un disco) un ufficio stampa serio ci fa ben poco.
Bolognesi: Sì.
Botti: Temo che pagare un agente non mi aiuterebbe molto: chi non vuole saperne non cambierebbe idea, chi invece mi apprezza lo fa comunque e sono un numero tale da poter essere gestito direttamente da me.
Cusa: Sarei disposto a sacrificare un agnello a Baal, se soltanto servisse, ma non è quello il problema.
Diodati: Si, assolutamente. Il live è un aspetto fondamentale, essenziale nella musica che facciamo, per svariati motivi.
Fazzini: Certo.
Mirra: Se sapessi che porta risultati sì, ma tieni conto che non sono nemmeno un musicista che considera che fare dischi continuamente sia un qualcosa di positivo, ne vengono fuori troppi.
Puglisi: Certo!
Sigurtà: Non mi sembra ci sia una relazione diretta tra promozione e presenza nei festival, non parlo di me, ma mi pare che in Italia ci siano casi eclatanti.
Tittarelli: Non saprei.
Quali sono secondo te i tre festival o rassegne in Italia che hanno una visione strategico/culturale più interessante?
Bittolo Bon: Direi Centro D'Arte a Padova, la rassegna del Jazz Club a Ferrara e Novara Jazz.
Bolognesi: Voglio essere sincera, sono molto legata a Sant'Anna Arresi, mi piace molto la loro programmazione, il lavoro fatto con i workshop e mi ha aperto molte possibilità. Altri festival li frequento poco, ma mi piace molto Cormons. Di media mi piacciono più i festival esteri, mi sembrano più aperti, meno settoriali dei nostri.
Botti: Mi vengono in mente Clusone, Sant'Anna Arresi e Metastasio Jazz, ma ci sono tanti altri festival e piccole rassegne molto validi.
Cusa: Preferisco non rispondere a questa domanda. Se li cito ne determino il cambiamento strategico/culturale di riferimento.
Diodati: Crossroads, non solo perché mi ha invitato quest'anno. Hanno invitato alcuni dei gruppi più originali in Italia, che meriterebbero di far sentire di più la propria musica. Young jazz sicuramente ha un attenzione per progetti originali poco proposti in altri posti e per i giovani (e non hanno mai programmato i Neko quindi non sono di parte, pur avendo ci suonato). Sud Tirol Festival anche sembra interessante, ha una programmazione molto varia e invita progetti che non trovano alcuno spazio in altri luoghi in Italia. Questo genera curiosità sul pubblico sicuramente, cosa che manca in molte realtà perché manca la curiosità degli organizzatori.
Fazzini: Non ne ho frequentati recentemente abbastanza da spettatore per dare un giudizio obiettivo. Apprezzo la programmazione del Jazz Club Il Torrione di Ferrara, che offre un ampio spettro di proposte artistiche.
Mirra: I nomi non te li saprei dire, ma certamente quelli che hanno meno possibilità economiche e quindi si occupano delle produzioni dal basso. < br> Puglisi: Angelica, Clusone (anche se è ai minimi termini), Centro d'Arte di Padova.
Sigurtà: Umbria Jazz ha certamente rilevanza anche all'estero, poi forse il Torino Jazz Festival quest'anno o il Cagliari Jazz Expo.
Tittarelli: Onestamente non saprei.
All'incirca, quanti concerti di altri musicisti (italiani o stranieri) sei andato a sentire negli ultimi dodici mesi spontaneamente? Quale musicista italiano e quale straniero ti è sembrato più interessante?
Bittolo Bon: Molti, non saprei dire un numero. Dico Francesco Bigoni e Steve Lehman.
Bolognesi: Una decina, ma i concerti che più mi hanno stimolato e mi sono sembrati onesti negli ultimi mesi non sono di jazzisti ma di cantautori, Cesare Basile e Patti Smith.
Botti: Una quindicina, tra i primi nomi che mi vengono in mente direi Pasquale Mirra e Mike Reed.
Cusa: Ne ascolto parecchi quando posso. I progetti di Bittolo Bon, Fazzini, Caliri, Scardino, Arcelli, Ancillotto, Vasi, Mattiuzzi, Raviglia, etc., mi sembrano tra le cose interessanti e degne di essere rappresentate ovunque. Come in genere tutte le progettualità dei collettivi Franco Ferguson, Gallo Rojo, Bassesfere e Improvvisatore Involontario. Tra gli stranieri mi piacciono alcuni esponenti della la nuova scena newyorkese - Steve Lehman, Damion Reid, Vijay Iyer etc. - e in generale tutta l'influenza della musica indiana nell'idioma jazzistico contemporaneo.
Diodati: Oddio, non saprei dire, ma parecchi sicuramente. Sono un grande fan del gruppo di Francesco Ponticelli (pur avendo registrato qualche traccia del disco non ne faccio parte perciò mi permetto di esprimere questa opinione). Di straniero ho molto apprezzato Tony Malaby con Ben Monder che ho visto a Parigi.
Fazzini: Una quindicina. Vijay Iyer e Steve Lehman. Mi sembra che rappresentino una nuova frontiera del jazz, anzi in senso più ampio della musica, musica molto interessante e ricca di idee, contenuti. Tra gli italiani mi ha colpito il duo dei fratelli Santimone per talento e originalità. Generalmente ci sono molti musicisti talentuosi in Italia. Trovo però un'anacronistica tendenza a identificare la musica innovativa con il linguaggio del free e dell'impro radicale, sacrificando prove e scrittura, a discapito di sviluppare pensieri e linguaggi musicali più articolati e strutturati. Devo dire però che nella frammentazione e nella poca visibilità di cui godono le nuove proposte in Italia sicuramente ci sono artisti validissimi di cui non conosco i lavori.
Mirra: Una quarantina. Tra gli italiani Francesco Bigoni, tra gli stranieri il mio collega di strumento Jason Adasiewicz.
Puglisi: Spesso vado a vedere i musicisti della scena bolognese. Tra i giovani mi è piaciuto il trombonista Federico Pierantoni, che suona in un gruppo interessante i Bad Uok, che hanno pubblicato Enter per la Auand. Tra gli stranieri Craig Taborn, ma non sempre mi piace.
Sigurtà: Tantissimi, quasi tutti di musica classica. Sono abbonato alla London Symphony e vado spesso a ascoltare la London Sinfonietta per la contemporanea. Purtroppo è da molto che non vado a sentire concerti in Italia per varie ragioni. Mi è capitato di sentire alcuni progetti in vari festival, ma soprattutto ascolto dischi di colleghi italiani con molto interesse. Non saprei fare un nome, ci sono molti ragazzi pieni di idee bellissime, forse ecco meriterebbe più interesse Daniele Tittarelli.
Tittarelli: Molti concerti. Tra i musicisti, dovendone scegliere due tra i tanti, dico Pietro Tonolo e Ambrose Akinmusire.
In quale nazione europea ti sembra che ci sia una maggiore attenzione e tutela degli artisti nazionali? Credi che un certo "protezionismo" sia utile e che porterebbe all'emersione delle proposte migliori?
Bittolo Bon: La mia esperienza personale mi porta a dire Danimarca senza dubbio. Mi dispiacerebbe dovesse entrare in vigore il protezionismo alla francese, sarei contento di suonare in un festival perché la mia musica è interessante, non perché lo vuole un disegno di legge.
Bolognesi: Scandinavia. Credo che il protezionismo porterebbe risultati, anche se, essendo in Italia, qualche dubbio sulla regolarità della meritocrazia rimane sempre.
Botti: Conosco poco della situazione all'estero, ma non sono un fan del protezionismo, quanto non lo sono dell'esterofilia.
Cusa: Rispondo all'ultima: assolutamente sì. Non è bello sentirsi dire durante concerti all'estero e nel tentativo difficile di mettere insieme alcune date: "eh ma ci deve essere almeno un francese sennò... eh ma ci deve essere un olandese sennò...". Qui è tutto al contrario.
Diodati: Forse in Scandinavia? Non sono un fan del protezionismo, ma non mi piace soprattutto l'americanismo sfrenato di tanti festival, alla pari delle programmazioni "big oriented". Sono convinto che programmazioni più equilibrate farebbero bene a tutti, organizzatori compresi (intendo come ritorno economico e d'immagine, e soprattutto sarebbero un reale investimento in cultura musicale) . Questo equilibrio dovrebbe comprendere anche gruppi di giovani europei che suonano tanto in Europa e in Italia non vengono proprio presi in considerazione. e faciliterebbe lo scambio anche fra musicisti in Europa. Più che protezionismo, invocherei quindi la già citata curiosità e un equilibrio negli investimenti. Togliendo un solo concerto di americani o strane produzioni volte a soddisfare più l'egocentrismo degli organizzatori che altro si potrebbero far suonare almeno 3 gruppi di giovani emergenti. Credo che il confronto faccia sempre bene.
Fazzini: La Francia, ma sono contrario alle quote per legge. Ovvio che se chi porta il nome di una città o di una Regione e ha dei finanziamenti pubblici non dà spazio anche agli artisti del luogo stesso, si muove ai limiti della correttezza. In questo senso trovo molta incoerenza nella proposta di alcune rassegne.
Mirra: I paesi del Nord Europa. Sì al protezionismo.
Puglisi: Olanda e Francia. Il protezionismo non va bene, abbiamo sempre bisogno dello scambio, del confronto e in fondo tanto jazz olandese o francese non è particolarmente interessante, molto mainstream fatto da studenti di jazz al conservatorio e dai loro insegnanti, rigido e noioso.
Sigurtà: Francia e Belgio. Poi anche l'Inghilterra per una certa ritrosia "isolana" alle proposte americane.
Tittarelli: Non ho idea, ma credo che il protezionismo non sia la soluzione a nessun problema.
Quale tipologia di spazio pensi sia la migliore per fruire dei tuoi progetti? Posto che chiunque si auspica un successo il più ampio possibile, quale credi sia la capienza ideale di una sala per fruire al meglio della tua musica?
Bittolo Bon: Io sono un amante dei club e dei piccoli teatri. Direi che 200 posti sono ok.
Bolognesi: Piccola, attorno alle 100 persone, credo che per la mia musica sia importante avere un rapporto diretto con chi l'ascolta e in certe sale il pubblico è troppo distante.
Botti: Molto dipende dall'acustica e dall'amplificazione in generale apprezzo le sale medio/piccole fino a 250/300 posti, ma mi è capitato di suonare con grande soddisfazione anche in sale da più di 500 posti.
Cusa: Non saprei rispondere. Non è un problema numerico, ma di come viene presentato il progetto e in che contesto. Ho suonato di fronte teatri stracolmi e a 3 persone. Non dipendeva dalla musica che faccio.
Diodati: Ho suonato con i miei progetti di fronte a 10 persone e di fronte a 300/400. In entrambi i casi è stato ideale, perché il suono era bello e il posto pieno. Più che di capienza mi viene da pensare al posto. Prediligo spazi chiusi o spazi aperti "chiusi," insomma sicuramente non piazze. Anche un teatro da 1000 posti può essere ideale (soprattutto se vengono 1000 persone, cosa che ora come ora non credo si possa verificare, motivo per il quale in questo periodo non avrebbe senso suonare in un posto con capienza più di 250 persone, almeno in Italia).
Fazzini: 100 posti, piccoli auditorium. Trovo interessanti i luoghi non necessariamente deputati ai concerti: case private, negozi, musei.
Mirra: Tra i 50 e i 100 posti.
Puglisi: Gli spazi dai 150 ai 300 posti sono ideali.
Sigurtà: Dipende dai progetti. Credo che SPL abbia funzionato bene anche con grandi amplificazioni, da discoteca per intenderci. I duetti con Filippini o con Casagrande certamente in spazi chiusi tipo chiostri o piccoli teatri.
Tittarelli: Qualsiasi posto può funzionare, dipende da come è fatto, ma generalmente preferisco gli spazi non troppo grandi.
Ritieni che si debba creare un circuito "alternativo" a quello dei festival e delle rassegne, con un pubblico e delle modalità differenti da quelle in uso? Se sì, come?
Bittolo Bon: Sarei felice di poter suonare più spesso in luoghi non per forza deputati al "jazz". Ci fosse meno settarismo anche da parte dei club e delle rassegne - questo non vuol dire che va bene Elton John a Umbria Jazz - penso che le cose andrebbero meglio da molti punti di vista.
Bolognesi: Non credo, credo che quello che c'è vada bene e che ci sia un po' la tendenza a sottovalutare il pubblico, che è intelligente e curioso e, aggiungo, si potrebbe anche tentare di fargli sentire qualcosa di meno noto con il rischio che tutti restino e pure si divertano!
Botti: Senz'altro: ad esempio ci sono state esperienze di autorganizzazione molto interessanti, spero che continuino e crescano nei prossimi anni.
Cusa: No. La nostra musica deve poter stare ovunque si faccia musica di qualità. Alternativo non significa nulla. Con questa parola ci siamo spesso auto- ghettizzati. La musica o è buona o non lo è. È musica che deve stare a Umbria Jazz e nei piccoli club: come accade altrove.
Diodati: In molti festival vedo pochi giovani fra il pubblico e bisognerebbe invertire questa tendenza, a partire, come si diceva su, dalle programmazioni. Anche le location sono importanti. E anche le politiche di sbigliettamento, nonché il coinvolgimento delle risorse umani locali. Mi vengono in mente i festival in Europa a cui ho partecipato: prezzi agevolati per studenti e under 30. Tantissimi giovani ingaggiati per dare una mano nella logistica accoglienza e organizzazione. Concerti dal pomeriggio e altre attività connesse (insomma non il solito palco con concerto serale per intenderci). Questo aiuta a coinvolgere persone di diversa estrazione e a "svecchiare" il termine jazz, che soprattutto qui Italia è sinonimo di vecchio o noioso per molto pubblico under 30. E poi, come si diceva, una programmazione che dia spazio a progetti nuovi, e a generazioni nuove, pur mantenendo nomi che fanno botteghino. Un'altra cosa che viene fatta poco in Italia sono le residenze per gruppi o artisti. Inoltre non c è molta connessione fra i diversi lavoratori dello spettacolo: penso agli studi di registrazione, che raramente vengono coinvolti mentre si potrebbe lavorare in modo congiunto e coinvolgere a 360 gradi.
Fazzini: Alternativo sì, ma nelle modalità, non necessariamente nei contenuti. È importante "fare sistema" e penso a tutti gli addetti ai lavori coinvolti. Essere meno conflittuali tra categorie e più solidali in modo non retorico ma utilitaristico, consapevoli che musicisti, organizzatori, manager, insegnanti, allievi e spettatori sono parte di un unico organismo. Se ciascuno cominciasse a fare il proprio con questa consapevolezza sarebbe già un bel primo passo.
Mirra: Ritengo che sia una buona possibilità e la ricollego a quanto avevo detto prima sulle produzioni dal basso.
Puglisi: Ci si è provato, varie volte, l'ultima con "Map of Moods," ma i musicisti sono una categoria estremamente trasversale ed è difficile trovare direttive comuni, mettere da parte gli ego. una figura super partes sarebbe auspicabile ma non c'è.
Sigurtà: Credo sia il momento di concedere gli spazi pubblici disponibili a costi ridotti, in modo da poter dar vita a un maggior numero di concerti autoprodotti. L'Italia è piena di teatri e sale non utilizzate, a causa di una esagerata burocrazia che impedisce un utilizzo snello e economico dei luoghi.
Tittarelli: Credo che certamente più circuiti si creano meglio è. Bisognerebbe cercare di portare la musica jazz in quei posti dove solitamente non si ascolta ed invece c'è una ricettività verso le novità e le diversità.
Foto di Claudio Casanova (la seconda, la quinta, l'ottava, la nona, la dodicesima, la tredicesima, la quattordicesima, la quindicesima, la sedicesima e la diciottesima), Giorgio Ricci (la sesta, la settima e la diciannovesima), Luciano Rossetti (la quarta e la decima), Davide Susa (la terza e la ventesima), Dario Villa (l'undicesima e la ventunesima), ZenoG (foto di copertina).
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