Recensione di The Assassins "Love" a cura di Claudio Morandini per "Iperboli, Ellissi". - il:2015-04-21
Se volessimo iniziare con una frase a effetto diremmo che gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto; sarebbe forse divertente (non è detto), ma si sicuro fuorviante, per diversi motivi.
Perché gli Assassins di Francesco Cusa sono in realtà un gruppo fluido; giunto al secondo album, “Love” (improvvisatore Involontario, 2015), il progetto resta quello del primo CD, “The Beauty and theGrace” (sempre Improvvisatore Involontario, 2012), ma cambiano alcuni nomi: Cristiano Arcelli al sax al posto di Piero Bittolo Bon, Giulio Sternieri alle tastiere al posto di Luca Dell’Anna (restano la tromba di Flavio Zanuttini e ovviamente la batteria di Cusa, che è anche autore delle composizioni).
E poi, soprattutto perché si tratta di un progetto tutto musicale, e faremmo bene a concentrarci sulla musica e a sorvolare sulle blagues, gli scherzi dei titoli (nel primo album: “Orrore dentro alla coperta elettrica”, “Breve storia di una padella cancerogena”…) e dei commenti sul booklet – sulla musica per quel che è, in sé. Così, in “The Beauty” assistiamo a una rivisitazione insieme sincera e impaziente della stagione del jazz elettrico e contaminato degli anni Settanta. Tutto, in “The Beauty and the Grace” (la tromba di Zanuttini, le tastiere di Dell’Anna, il sax di Bittolo Bon, anche la ritmica dello stesso Cusa) ci porta da quelle parti, guarda programmaticamente in quella direzione, verso una musica libera e eccitante, incapace di fermarsi o di accontentarsi, verso quell’attitudine funk e tonalmente ambigua se non francamente atonale che metteva insieme gli opposti con naturalezza, la sperimentazione e il ritmo da ballo (o una sua derivazione), il colto con il pop (o una sua trasfigurazione).
Gli Assassins però non amano ripetersi, ripercorrere le medesime strade. Così, nel secondo album, “Love”, le blagues dei titoli si fanno meno dirette e soprattutto i riferimenti sono meno facilmente collocabili in un tempo preciso. Già nella prima traccia si passa da una frenesia jungle all’evocazione dello space jazz, con in mezzo un tot di altri rimandi. L’approccio è meno filologico, più nervoso e quasi insofferente: il connubio tra i musicisti si fa più conflittuale che solidale (si ascolti “Intricate Corvai”), il ritorno al passato è più marcatamente ironico (“Intricate Corvai” e “Wrong Measures” si concludono con temi da spy movie o da telefilm poliziesco) e meno settoriale (ci si concede un po’ di scratching in “Wrong Measures”). Si respira meno l’aria dei soli anni Settanta, insomma, e si assiste invece a un remix degli ultimi quattro decenni. La black music, nelle sue varianti meno corrive, è comunque sempre al centro delle attenzioni del gruppo. Il risultato è un album più asciutto del primo (si riduce drasticamente l’apporto accordale della tastiera), meno indulgente e nostalgico, più aspro e, per così dire, più “cattivo” (la voce che canticchia sarcastica in “Ending 2” ne è la conferma).
A conti fatti, di tutti i progetti di Cusa questo degli Assassins pare il più musicale, il meno virgolettato, il meno imbragato in impalcature letterarie o extramusicali. Qui si suona, ci si diverte, non si parla, o si parla il meno possibile, e si ragiona in termini di strutture, di masse sonore in movimento, di equilibrio o disequilibrio di forme. Gli Assassins sono gentiluomini attenti e scrupolosi, rispettosi anche quando sembrano fare la voce grossa. Sappiamo che potrebbero uccidere (le loro vittime, beninteso musicali, sono arguibili per contrasto), ma qui esprimono riconoscenze e tributano onori alla musica che amano e che continua a resistere come matrice elettrizzante e propulsiva. Di questa rifiutano soltanto l’autoindulgenza, che sostituiscono con una franca irrequietezza che impedisce loro di rimanere a lungo su un medesimo registro stilistico.
Pubblicato da Claudio Morandini a 17:32
Etichette: ascolti, Francesco Cusa, Improvvisatore Involontario, Love, The Assassins, The Beauty and the Grace
Recensione di The Assassins "Love" a cura di Olindo Fortino per "Sound Contest". - il:2015-04-21
FRANCESCO CUSA & THE ASSASSINS
Love
Improvvisatore Involontario, 2015
Love
Francesco Cusa dovrebbe essere clonato e moltiplicato. Ce ne fossero tanti di più come lui, la scena jazzistica nazionale sarebbe se non migliore almeno varia e spassosa. Provocatore e sobillatore come pochi, il batterista e compositore catanese resta un “dropout” imprevedibile e imprendibile, pungente e sarcastico nella parola come nella musica. Guidato da un’estetica spesso surreale e grottesca, dove opinione e fantasia creativa non trovano limiti di sorta, Francesco Cusa riprende con “Love” il discorso iniziato da “The Beauty And The Grace” (2012). Nuovo il disco e rinnovata, anzi ampliata, anche la formazione del progetto The Assassins, ora un quartetto che oltre al leader, a Flavio Zanuttini e a Giulio Stermieri (subentrato a Luca Dell’Anna) ingloba il bravo Cristiano Arcelli nel ruolo che sul precedente disco vedeva ospite Piero Bittolo Bon.
Sette composizioni, tutte firmate da Cusa, dove la musica è un pretesto logico e (in)cosciente per frullare insieme scrittura e improvvisazione e offrire un cocktail sonoro che mira all’alterazione dei sensi. Tracce quali Escher e Intricate Corvai conducono subito ad effetti collaterali che incrinano e forzano il groove frastagliato di fondo con temi armonici e soluzioni ritmiche che molto devono alla corrente M-Base newyorkese e al dub visionario e lisergico di Bill Laswell quand’era in combutta con Toshinori Kondo. La ricetta di Cusa arreca tuttavia tratti originali nell’osmosi tra il suono dell’hammond e gli effetti elettronici, tesi a sondare abissi intergalattici e trasfigurare in più di un’occasione le evoluzioni della tromba di Zanuttini, fino a trasformare la musica in un “thriller” metropolitano che precipita e collassa nel “nonsense”.
Le figurazioni poliritmiche di Cusa cingono in modo energico e serrato un discorso strumentale spesso votato a trasformare un’ovvia formula funk-electric jazz (dove inevitabili sono i rimandi alla lezione davisiana) in qualcosa di alieno e ultradimensionale, qualcosa che ricorda anche certi azzardi riusciti a meraviglia a un signore chiamato Rob Mazurek. La parte migliore e più avventurosa di “Love” è però nei suoni di tre magnifici pezzi posti uno dietro l’altro: Oslo, Wrong Measures e The Act Of Killing Music. Euforia, eclettismo e fantasia allo stato puro. Suggestioni cinematiche che si scontrano con ipotesi ambient, space music, hard boiled, fusion, free noise, elettronica, dub, psichedelia, blues, post-rock e post-bop. Un turbine di note, accordi e ritmi che scardinano convenzioni e tradizioni, un beffardo affresco di indisponenza stilistica che coglie miracolosamente nel segno. Come dire: nevrosi, follia e urgenza come cura e antidoto alla piatta quotidianità. L’assurdità è invece nel duplice epilogo di Ending 1 e 2, drone-ambient jazzisticamente dilatata e schizofrenica. Sarebbe piaciuta anche al compianto Daevid Allen. Cento e mille di questi Cusa.
Voto: 8/10
Genere: Avant Jazz
Recensione di The Assassins "Love" a cura di Stefano Dentice per "Extra MusicMagazine" - il:2015-04-21
Francesco Cusa & The Assassins
Love
2015
Improvvisatore Involontario
di Stefano Dentice
Grazie a una notevole elasticità mentale e a un’innata predilezione per la sperimentazione, l’audace batterista e compositore Francesco Cusa concepisce un disco, intitolato “Love”, assai sorprendente e ricco di brillanti idee compositive, ritmiche, sonore e stilistiche.
Flavio Zanuttini (tromba ed elettronica), Cristiano Arcelli (sax alto), Giulio Stermieri (organo hammond e synth) e Francesco Nurra (voce in Ending 2) sono i preziosi componenti della sua formazione.
Il leader autografa tutti i sette brani contenuti nel cd. In Escher aleggia un’atmosfera caliginosa. Arcelli sviluppa un eloquio solistico centellinato e persuasivo. L’incedere di Zanuttini è conciso e fortemente evocativo. Cusa tesse un drumming roccioso, altamente tensivo e adornato da travolgenti intrecci poliritmici. Intricate Corvai è una composizione in cui il trombettista e il sassofonista interagiscono concitatamente e spigliatamente, puntualmente aizzati dalla ritmica pirotecnica, variopinta ed energica di Francesco Cusa.
In Oslo In My Heart Stermieri costruisce un solo enigmatico ed estremamente essenziale. Cristiano Arcelli sfodera un fraseggio fluente e guizzante impetuosamente stimolato da Cusa, che produce un massiccio groove ricco di fulminei e fluidi rulli.
“Love” è un album che inneggia alla modernità, autentica testimonianza di un jazz palesemente anticonformista.
Articolo del 20/04/2015 - ©2002 - 2015 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
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Il cd Francesco Cusa SKRUNCH/LACAN GIRLS "Body/Soul/Spirit" BUNCH records) tra i migliori cd dell'anno 2014 per Jazzit. - il:2015-04-03
QUARTO POSTO NEL REFERENDUM DI JAZZIT COME MIGLIOR BATTERISTA 2014 - il:2015-04-01
Recensione del concerto: Francesco Cusa & The Assassins live al Barazzo (Bologna) - il:2015-03-13
Scritto da Stefano Radaelli on 13 Marzo 2015. Postato in Recensione concerti
Il breve tour di presentazione del nuovo disco di The Assassins – "Love", in uscita per Improvvisatore Volontario – ha fatto tappa a Bologna lo scorso 20 febbraio con uno spettacolare concerto al Barazzo Live di via del Pratello, punto di riferimento imprescindibile per gli amanti del jazz e della musica improvvisata nel capoluogo emiliano.
The Assassins Il breve tour di presentazione del nuovo disco di The Assassins – "Love", in uscita per Improvvisatore Volontario – ha fatto tappa a Bologna lo scorso 20 febbraio con uno spettacolare concerto al Barazzo Live di via del Pratello, punto di riferimento imprescindibile per gli amanti del jazz e della musica improvvisata nel capoluogo emiliano.
Il commando capitanato dal formidabile batterista Francesco Cusa ha così potuto compiere anche qui l'"omicidio rituale", rigorosamente mirato, che, a voler prendere sul serio il nome della band, sembra rappresentare la sua stessa ragion d'essere. Vittime predestinate di questo assassinio simbolico sono sempre ed invariabilmente loro: la Banalità e il Già-Sentito.
Per i progetti ideati da Cusa sarebbe un'operazione sterile e ingenerosa quella di scindere il fatto strettamente musicale dal significato più ampio che la musica assume in rapporto alla cultura che la produce e all'immaginario che la alimenta. La definizione forse più azzeccata del lavoro di questo musicista, didatta e scrittore (una sua raccolta di racconti, "Novelle crudeli", è stata recentemente pubblicata da Eris) l'ha offerta questo articolo, che non esita a presentare Cusa come un "agitatore culturale" a tutti gli effetti, dotato del raro talento che consiste nell'unire una magistrale padronanza tecnica dello strumento e una profonda familiarità con gli idiomi musicali più disparati alla capacità di dialogare con l'universo culturale nel suo insieme.
La musica proposta da The Assassins, costituita dalle intricate e luciferine composizioni dello stesso Cusa, veicola in modo impeccabile questa ispirazione di fondo. Da un lato, l'utilizzo delle fonti più disparate – dal jazz alla musica indiana, passando per l'hard rock e l'elettronica – riflette un universo simbolico eterogeneo, frammentato, irreparabilmente a-centrico. Dall'altro lato, la complessa interazione dialettica tra composizione e improvvisazione, caratterizzata da uno sviluppo ricco di pathos narrativo e colpi di scena, viene indirizzata dal batterista catanese, durante tutta la performance, con un rigore quasi zen – se non, a tratti, con il piglio di un moderno stregone-alchimista alle prese con storte e alambicchi ricolmi di suono e ribollenti di incastri poliritmici.
Se le continue trasmutazioni e trasfigurazioni sul fronte ritmico rappresentano la "mente" di questa operazione (da intendersi nel senso del "pensiero originario", o "ennoia", a cui rimanda la tradizione gnostica), l'"anima" sembra risiedere invece nella scelta di impiegare in modo creativo e originale il suono dell'organo Hammond per tradurre la pulsazione sottostante negli articolati riff che animano le improvvisazioni dei fiati.
In greco antico, il termine utilizzato per indicare l'anima è "pneuma". E quale strumento, meglio dell'organo, potrebbe farsi carico di questa valenza "pneumatica" del suono? Nel caso specifico dell'Hammond, all'aria insufflata dai mantici si sostituiscono le diavolerie dell'elettronica, ma l'effetto che ne risulta è pur sempre quello. È poi lasciato all'abilità, alla precisione e alla fantasia di Giulio Stermieri il compito di trasformare il "soffio" così prodotto in un vento infuocato, inesorabile, distruttivo e rigenerativo al tempo stesso.
Sulla spinta di queste folate apocalittiche, alimentate dagli intrecci della batteria e dell'organo, i fiati entrano finalmente in scena per portare il rituale a compimento. Grazie ad una notevole padronanza tecnica e ad un abile utilizzo dell'elettronica, la tromba di Flavio Zanuttini – distorta, reinventata, moltiplicata in forme sempre nuove e sempre diverse – colpisce dritta al cuore ogni "ragionevole aspettativa" che si possa nutrire riguardo al suono dello strumento, facendo sprofondare l'udito in un conturbante gioco di specchi in cui ogni punto di riferimento è precario. Il formidabile sax di Cristiano Arcelli – uno dei contraltisti più brillanti in circolazione nel panorama musicale italiano – attinge con coscienza enciclopedica all'intera tradizione jazzistica, utilizzandone i numerosi espedienti per creare un vortice espressivo al cui fascino vertiginoso e alla cui energia trascinante è impossibile sottrarsi.
È quindi un intero universo culturale ad essere messo a nudo, smantellato pezzo per pezzo, rivoltato come un guanto, beffardamente esibito in tutto il suo orrore. Un universo fatto di aspettative e convinzioni più o meno consolidate su cos'è "jazz" e cosa non lo è (si veda, in proposito, la geniale fascetta che accompagna il primo disco, "The Beauty and the Grace", Improvvisatore Involontario, 2012), alimentato da un immaginario asfittico, attraversato in lungo e in largo dagli istinti sociopatici indotti dalla compulsività consumistica e dalle mitologie tossiche che quest'ultima nutre incessantemente ("Coca Colon" e "Orrore dentro alla coperta elettrica" sono i titoli di due dei brani contenuti nel primo disco).
I frammenti dispersi che, a detonazione avvenuta, galleggiano nello spazio, ancora bruciacchiati e sfrigolanti per il contatto con il vento incandescente, vengono quindi rimontati in un'instancabile lavoro di bricolage. Il risultato è una musica complessa, ricca, mai scontata e mai banale, capace di valorizzare al meglio i materiali di risulta del retaggio musicale novecentesco perché di questo retaggio recupera non la "lettera morta" (che nella cosmologia "assassina" si manifesta, ad esempio, nelle fisionomie grottescamente deformate che caratterizzano molto "giezz" nostrano), ma piuttosto lo spirito, che si manifesta nella ricerca instancabile, sempre sul filo del paradosso, di nuove possibilità di espressione e di racconto.
Recensione di Novelle Crudeli a cura di Massimo Canorro - il:2015-03-01
Novelle crudeli
Massimo Canorro 01/03/2015
Un universo contraddistinto da tragedie domestiche, morbosità delle relazioni e ripugnanti legami di parentela
Un universo contraddistinto da tragedie domestiche dai toni splatter, morbosità patologica delle relazioni interpersonali («figlio di puttana perché le hai dato quella roba piena di virus? Come hai potuto farlo. La conoscevi fin da bambina») e ripugnanti legami di parentela («zio Carmelo ti inculeresti una scrofa?») che possono tormentare fino a portare alla follia. Sono le Novelle crudeli (Eris edizioni, 304 pagine, 14 euro), prezioso volume in bianco e nero realizzato da Francesco Cusa con illustrazioni di Daniele La Placa. Un libro che porta il lettore a confrontarsi (scontrarsi?) con una galleria di personaggi al limite della follia, profondamente inquietante nella sua banalità e che li logora da dentro, conducendoli alla costruzione di un terrificante paesaggio interiore che squarcia la loro esistenza senza concedere un istante di lucidità, neppure poco prima dell’inesorabile dipartita. Anzi, in quasi tutte le sue storie, Cusa – catanese classe 1966, alterna la carriera da musicista a quella di scrittore e critico cinematografico – rappresenta la trasfigurazione finale dei corpi e delle anime dei personaggi nelle loro malattia compulsiva, da cui forse possono riscattarsi soltanto con la morte fisica. Si tratta infatti di un’umanità malata incapace di redimersi («Osvaldo era un bugiardo. Sparava tante cazzate. Troppe cazzate. Fece una fine di merda»), priva di qualsivoglia punto di riferimento; una sorta di schizofrenia che ritroviamo nella struttura di ogni singolo racconto, che è stato costruito tenendosi alla larga da una narrazione classica.
Da parte sua, Cusa non persegue nessuna forma di intrattenimento puro né intende appagare alcuna aspettativa: le storie che Novelle crudeli custodisce, piuttosto, rappresentano dei ripugnanti canti finali di un’umanità apatica che compie la sua alienazione nel grottesco («A sei anni, mentre stava a giocare col suo fiorellino e la terra, le era apparso Cristo in moncherini»). Storie che l’autore sviscera con cinismo destreggiandosi abilmente tra horror e fantastico, macabro e surreale – «la pastina col dadaismo si dà a dei bambini morti con le magliette con le pipe che non sono pipe» –, facendo emergere ciò che di più basso smuove i vizi, gli istinti e le morbosità dell’uomo contemporaneo e offrendo un sincero campionario dei peggiori casi umani della società («Quando morì zia Lara non fu un gran lutto per la famiglia Scaccianoce. Era da tempo malata la vecchia, con quelle orbite schizzate, le sclerotiche iniettate di fiele e screziate qua e là di filamenti vermigli»). E ancora, spazio a stimati professionisti schiavi del delirio consumato nel segreto dei propri appartamenti, donne sadiche e vendicatrici che mutano l’omicidio in virtù, case che intrappolano uomini allucinati da un orrore senza volto, umani ripugnanti e osceni sformati dalle proprie manie. Il vero orrore non è mai stato così terreno. Info: www.erisedizioni.org
Massimo Canorro
Recensione Francesco Cusa & The Assassins LIVE AT BARAZZO. BOLOGNA - il:2015-02-24
The Assassins di Francesco Cusa al Barazzo di Bologna
By LIBERO FARNè, Published: February 24, 2015 | 62 views
Barazzo -Bologna -20.02.2015
In una sera in cui i miei amici di Radio Città Fujiko sono stati attratti al Torrione di Ferrara dal Chris Potter Underground Quartet, io ho optato per gli "assassini del jazz" al soldo di Francesco Cusa "Skrunch" al Barazzo, nuovo club nella trendy Via del Pratello. Certo non si è trattato di un ripiego dovuto alla pigrizia, visto che ho attraversato di buon passo tutto il centro storico di Bologna da Est a Ovest e ritorno. Piuttosto ero mosso dalla curiosità di verificare lo stato di salute di una delle formazioni più intriganti e trasversali del nostro jazz. I killer cooptati dal batterista catanese sono preferibilmente tre, ma all'occorrenza possono ridursi a due. Nell'apparizione bolognese si trattava di un quartetto: il contralto era imboccato da Cristiano Arcelli , per l'occasione subentrato a Piero Bittolo Bon che compare nel CD The Beauty and the Grace pubblicato da Improvvisatore Involontario un paio di anni fa.
Il repertorio comprendeva brani, tutti del leader, tratti sia dal CD già menzionato sia dal prossimo, Love, già inciso ma in attesa di pubblicazione. Temi ben marcati, dalle geometrie sghembe e su tempi sostenuti, sono stati esposti prevalentemente all'unisono per poi sfrangiarsi nei collettivi pulsanti e negli assolo. A tale proposito la presenza dell'ospite Arcelli ha fatto la differenza: non tanto e non solo perché gli equilibri e le dinamiche di un quartetto sono diversi da quelli di un trio, ma soprattutto per la sua statura di strumentista, capace di un fraseggio puntigliosamente arabescato, di veloci e avvincenti escursioni per poi raggiungere il climax con slanci lirici su note lunghe.
La sua maturità espressiva ha messo in evidenza il linguaggio certo funzionale, ma più schematico e acerbo, degli altri due giovani partner. Flavio Zanuttini alla tromba, titolare fin dalla fondazione del gruppo, ha costruito un eloquio selettivo e stringato, ma senza emergere quanto in altre occasioni, mentre all'organo digitale Giulio Stermieri, allievo di Alberto Tacchini e Roberto Bonati al conservatorio di Parma, ha svolto il suo ruolo tramando griglie insistenti. La componente elettronica, affidata a questi ultimi due, è risultata meno esasperata e caratterizzante rispetto al CD.
Quanto a Cusa, oltre che compositore e batterista dalla conduzione scabra e nodosa (favoloso il suo raddoppiato rim shot con la bacchetta della mano destra) si è distinto come leader alla Mingus, capace di richiamare all'ordine i partner con occhiatacce e grida e di guidare l'andamento dinamico della performance.
Nel complesso, forse disattendendo le intenzioni dello stesso leader, ne è emersa una musica d'impronta decisamente jazzistica, nelle strutture come nella grana del sound e nei meccanismi dell'interplay; un jazz attuale, certo compromesso con animosi schematismi rock, ma sempre swingante, concretamente affermativo; un atteggiamento musicale che soprattutto, a parte il tenore di qualche titolo, ha assai stemperato quei connotati dissacranti e teatral-provocatori di matrice post-punk che in altre occasioni hanno caratterizzato tanti progetti di Cusa o degli altri accoliti di Improvvisatore Involontario.
Quattro letture di Gaetano Marino dal libro Novelle Crudeli di Francesco Cusa - il:2015-02-24
1) Gaetano Marino legge "Storia della formica e del bambino ciccione", tratto da Novelle crudeli di Francesco Cusa: http://www.spreaker.com/user/bandamarino/la-formica-e-il-bambino-ciccionefb_action_ids=10204056166461433&fb_action_types=og.shares
2) Gaetano Marino legge "Accade nella Notte" http://www.spreaker.com/user/bandamarino/accade-nella-notte-francesco-cusa?fb_action_ids=10204035724590399&fb_action_types=og.shares
3) Gaetano Marino legge "Il Dolore: http://www.spreaker.com/user/bandamarino/il-dolore-di-francesco-cusa
4) Gaetano Marino legge "Contro la Femmina": http://www.spreaker.com/user/bandamarino/contro-la-femmina-dalle-novelle-crudeli
RECENSIONE NOVELLE CRUDELI per "LINKING CALABRIA" - il:2015-02-07
Declinazioni impietose ovvero cinquanta e più modi di dire crudele
Le Novelle crudeli di Francesco Cusa, edite da Eris Edizioni nella interessante collana Atropo-Narrativa, sono ormai un vero caso culturale e quasi un oggetto di culto per gli appassionati italiani del genere “orrore e grottesco”. La definizione virgolettata, dello stesso autore, è peraltro contenuta nel sottotitolo del volumetto e in essa si riconoscono in tanti, uniti sotto la bandiera della letteratura impietosa e del politically uncorrect.
La raccolta di cinquantacinque novelle del musicista e compositore jazz catanese è ben conosciuta, e amata, anche in Calabria, come si evince dal successo di pubblico di alcuni reading creati in piccoli ma vivacissimi luoghi di incontro/confronto culturale, fra tutti quello decembrino di Castrovillari (allo studio fotografico L’Immagine di Carlo Maradei) e quello dei giorni scorsi presso la Libreria Ubik di Cosenza (con l’emozionata presentazione di Annamaria Caputo e l’accompagnamento di Carlo Cimino al contrabbasso).
Dalla vena ferace ed inquieta di Cusa, da questa sua naturale attitudine alla mescolanza di linguaggi, scaturisce l’odierno scrittore di “novelle ed aforismi” (“perché nella forma-romanzo mi perderei”, confessa con un sorriso disarmante e sornione), si leva un narratore istintivamente incline allo humour nero e al cinismo, il tagliente fustigatore di vizi capitali e incerte virtù, l’impertinente “improvvisatore involontario” (altra definizione autoinflitta) da tempo impegnato in “un progetto artistico di killeraggio comunicativo”.
“Da quando gli era apparsa la Morte la sua mano aveva smesso di tremare”, scrive Cusa a pagina 96 del suo libro. E’ il laconico incipit della novella crudele numero sedici, Il countdown dell’alcolista, da cui consegue un piccolo capolavoro di esistenzialismo au contraire, una parabola sulla caducità della vita ma soprattutto sulla assoluta inutilità di opporre una qualsivoglia resistenza a ciò che deve inesorabilmente accadere. Storia lineare e liquida, in cui la Morte predice la fine ormai prossima al protagonista (“Ti mancano tremilaquattrocento bicchieri e poi morirai”) che, tra delirio e coazione a ripetere, decide di far spallucce alla grande livellatrice e continua a tracannare il suo rum e coca fino alla secca e liberatoria esclamazione finale, con cui si concede una uscita di scena da gran filosofo.
Il countdown dell’alcolista è, a suo modo, e certo non da solo, un racconto essenziale per la comprensione del senso delle Novelle crudeli, una sorta di asciutto paradigma che racchiude in sé e nella sua impermeabilità da fluidi che non siano alcolici tutti gli elementi basilari della raccolta: il linguaggio svelto ma accurato (che non è solo tecnica narrativa ma coscienza della condizione umana, percezione della profondità), l’assenza di pietà verso e tra i personaggi, l’allucinazione e la fobia, la morbosità e la deformità, la banalitàCover Novelle crudeli e l’apatia, l’inevitabilità – probabilmente ancora più visibile e netta in novelle come Lettera di un uomo suicida per amore, Virgen 45 o I devoti di San Bastardo – di esiti decisi dall’intervento non già della manzoniana e molto consolatoria divina provvidenza quanto piuttosto di un’assai meno rassicurante umana eccedenza.
Queste Novelle crudeli di Francesco Cusa si leggono d’un fiato. E letti d’un fiato, episodi come Cronaca di un litigio, Il bugiardo e Cristo si è fermato a Empoli o anche L’olandese calante e 101 storie zen sul Jazz sono storie a modo loro complete, compiute. Storie dentro cui l’autore colloca esistenze fallimentari, disegnando traiettorie mai ovvie e mai salvifiche, amorali ma intrise di ironia e di citazioni (anche di un certo teatro contemporaneo) ed attingendo con padronanza ai congeniali toni freddi che mescola a spunti tragicomici per costruire una tela di situazioni e di considerazioni tutte giocate sul filo di una lucida misantropia. Con una facilità di parola non priva, qua e là, di qualche ridondanza, ma ad ogni modo efficace.
Il risultato volge verso quel punto instabile in cui l’incontro/scontro di tante figure in rotta con la vita dà forma ad un ponderoso campionario di “bestialità” e di oscena cialtroneria. Declinazioni impietose della natura umana. Angoli tesi fino al culmine della tensione, fino all’inevitabile conclusione. Una linea si spezza e tutto finisce in niente. In un amen senza gloria né ripensamenti.
Antonello Fazio
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