Intervista a Luca Dell'Anna che mi cita e che ringrazio. - il:2015-10-21
Jazz Agenda incontra per la seconda volta il pianista Luca Dell'Anna dopo l'uscita del suo nuovo disco "Symbiont" con Auand Records. Un lavoro che riconferma la sua predilezione per la formazione trio, stavolta insieme al contrabbassista Danilo Gallo e al batterista Michele Salgarello. In questo progetto si uniscono tre personalità molto forti e carismatiche, accomunate dalla stessa idea di improvvisazione e un grande interplay.
Luca, nei precedenti lavori emerge il tuo forte interesse per le culture orientali. Cosa ritroviamo di esse nella tua musica e nel tuo quotidiano?
“Sarebbe un discorso molto complesso e il rischio di banalizzare è dietro l'angolo. In breve penso che il vantaggio che deriva dalla pratica di alcuni insegnamenti provenienti dall'altra parte del mondo sia assolutamente pragmatico, materiale. Attraverso strade diverse, tutti insegnano un rapporto meno alienato e più diretto con la realtà, intesa come realtà fisica intorno a noi ma anche realtà delle sensazioni sul nostro corpo, mostrando l'evidenza reale e sensoriale di quello che ad un occhio più "occidentale" rimane invece relegato in un mondo volatile e sfuggevole di anima, sensibilità, spirito artistico. Il che nella quotidianità si traduce in un contatto più diretto e profondo con quello che si sta suonando o componendo, o improvvisando, se vuoi più radicalmente, "pensando", proprio perché si impara a riconoscerne la reale natura materica laddove un certo modo di pensare tipico di schermi più vicini ai nostri usuali tende a separare il fisico dall'etereo, il reale dal non-reale, l'artistico dal materiale attraverso dei parametri che sono molto diversi da quelli che sono realmente sperimentati dai nostri sensi. E per lo yoga anche la mente è un "organo di senso". Ma rischio di dilungarmi... Comunque è interessante come molte delle cose che studio, pratico e cerco di applicare nel quotidiano le abbia condivise quando non proprio imparate da musicisti compagni di viaggio, come Francesco Cusa o Adam Rapa. Credo che la linea di continuità, pur nell'eterogeneità degli stili fra i vari progetti con i quali ho avuto la fortuna di collaborare, vada ricercata più in questo tipo di affinità che nell'unità stilistica o di "genere", e questo se vuoi è già un inizio di risposta alla domanda sulla disparità degli stili nella mia produzione.”
Il titolo del nuovo disco “Symbiont” rimanda al rapporto tra l'unità e la molteplicità. In che modo inquadri questa relazione e come l'hai trasposta musicalmente nei brani dell'album?
“Il primo brano che ho composto per questo trio è stata proprio la title track che ho deciso di intitolare così come al solito per gioco, per descriverne l'idea di dualità, stridente ma mutuamente necessaria, trattandosi di un brano basato su due ritmi ( 9/8 e 4/4 ) incastrati insieme e conviventi sulla stessa griglia. Da lì è partita l'idea di basare anche altre composizioni sul concetto di dualità, che in alcuni casi significa intersezione ritmica, in altri convivenza, anche attrito, fra libertà e struttura (Exokernel, Circle Chant, The Turk), in altri incastro fra registro alto e basso (Leap of Faith, The Turk, Lapse) e così via.”
In questo album confermi la formazione in trio, stavolta con due nuovi compagni di viaggio. Come avviene il vostro incontro musicale e umano?
“Si tratta di un progetto parallelo nato in realtà prima di "Mana", ma rimasto in cantiere per più tempo. Io e Danilo ci siamo ritrovati due anni fa, dopo parecchio tempo dall'ultimo lavoro insieme (abbiamo pubblicato insieme il disco "Brian Had a Little Plate" con il quartetto "Rootless" insieme a Francesco Bigoni e Massimiliano Sorrentini nel 2005, fu uno dei primi titoli dell'allora nascente collettivo-etichetta "El Gallo Rojo") e abbiamo deciso semplicemente di trovarci e suonare, invitando Michele. Visto che l'amalgama funzionava bene, che condividevamo la stessa idea di improvvisazione ed interplay abbiamo pensato immediatamente di farlo diventare qualcosa di più concreto e ci abbiamo lavorato senza fretta compatibilmente con gli impegni di ognuno finché i tempi non fossero stati maturi per andare a registrare.”
Che tipo di apporto danno le loro personalità ai 10 brani che hai composto?
“Michele e Danilo sono due musicisti dalle spalle larghe e dall'esperienza solida, a proprio agio tanto in situazioni totalmente libere che su strutture scritte. Ho voluto che la mia musica fosse per questo trio una sorta di parco giochi in cui le loro personalità trovassero campo libero pur mantenendo un'idea coerente di base. L'idea che c'è alla radice di questo progetto fin dalla prima ora è proprio questa: mettere a nostra disposizione uno spazio malleabile ma definito in cui giocare un gioco condiviso, liberamente e senza ingabbiare il linguaggio di ciascuno, ma raccontando la stessa storia. Il resto lo ha fatto la loro personalità musicale, decisa e immediata, creativa e senza ripensamenti.”
Nel tuo percorso troviamo collaborazioni “multistilistiche”, da Adam Rapa a Fabio Concato, dai Triad Vibration a Israel Varela, Da Alfredo Paixao a Francesco Cusa, Giorgio di Tullio, da Dany Martinez e Gendrickson Mena a Elisabeth Breines Vik.
“Tutti i musicisti con cui ho lavorato e sto lavorando mi insegnano qualcosa di importante sia musicalmente che nell'approccio con il mondo, collaborare con ciascuno di loro e condividere la loro visione significa imparare "uscire da me" quel tanto che basta per integrare in me la loro musica e contemporaneamente dare loro la parte di mio che contribuisca a dare vita a questa visione. Da questo punto di vista la collaborazione con Francesco Cusa è stata illuminante nel mettermi alla prova tanto con la libertà totale ("Tan T'Ien" che abbiamo realizzato con Ivo Barbieri è un disco totalmente free) quanto con strutture a volte anche claustrofobiche e serrate come le sue composizioni per "The Assassins" che però richiedono di essere sempre affrontate con fluidità, senza contrazione e senza paura dell'ignoto. Gli stessi identici principi si ritrovano nella musica di Adam e nel suo approccio allo strumento, che pur nella ricerca della perfezione assoluta non smette mai di cercarne i limiti e superare se stesso e buttarsi nell'ignoto, lo stesso per Israel e così via. Con linguaggi anche all'apparenza diametralmente opposti fra di loro questi artisti eccezionali con cui ho avuto il privilegio di lavorare condividono un'idea di immersione totale nel processo creativo e di volontà forte di portare il discorso musicale fino al suo bersaglio, così come un assorbimento totale nell'altro, nel compagno. In questo senso forse la simbiosi è qualcosa che sperimentavo già da parecchio tempo e che ritengo inscindibile dall'esperienza musicale.”
Com'è il tuo rapporto con il pubblico durante i live?
“Bella domanda, non saprei. A livello di interazione verbale non credo di essere un grande showman ma a quanto pare la mia musica parla meglio di me. Mi fa piacere ricevere spesso al termine dei live commenti da non addetti ai lavori che mi parlano in termini di sensazioni e immagini, il che significa che probabilmente le architetture "a pallottoliere" che a volte scrivo, per cui spesso i musicisti che suonano la mia musica finiscono per odiarmi e imprecarmi contro, sono strumenti per veicolare qualcosa d'altro, che arriva anche senza bisogno di decodificare le radici quadre dei sette sedicesimi, a quanto pare. Almeno spero.”
Hai in mente un progetto ideale che ti piacerebbe realizzare?
“Almeno un milione. Di idee me ne vengono in continuazione e riuscire a realizzarle tutte è difficile, specialmente quando penso che mi piacerebbe mettere insieme una certa caratteristica di questo musicista con quest'altra caratteristica di quest'altro, magari anche distanti geograficamente il che rende le cose più difficili. Mi piacerebbe creare cortocircuiti, vedere cosa succede se si trovano nella stessa musica personaggi che condividono appunto la stessa visione ma linguaggi apparentemente in contrasto. Proprio per questo motivo credo che le prossime mie cose saranno ensemble più allargati, in cui applicare questa stessa idea di "libertà condivisa" e portandola anche più all'estremo, magari percorrendo in certa misura l'esperienza della Conduction (Naked Musician, all'epoca della mia militanza in Improvvisatore Involontario) insieme ad un'orchestrazione più complessa e articolata... aggiungere una sezione archi... sto ragionando a ruota libera, è ancora tutto un magma.”
C'è un pianista che più di altri ha influenzato il tuo percorso artistico e la tua crescita musicale?
“Senza dubbio Gonzalo Rubalcaba. E' per me sotto ogni punto di vista il livello più alto a cui un pianista possa aspirare: sia dal punto di vista tecnico, nel controllo dello strumento, come da quello compositivo, come dell'improvvisazione, della profondità e ricchezza ritmica e della chiarezza espositiva. Questo anche senza addentrarci in tutto il discorso dell'importanza dell'incontro con la cultura musicale cubana nella mia crescita. L'ho visto di recente con il suo gruppo "Volcan" ed è stata un'esperienza illuminante, come sempre.”
Hai nuovi dischi e collaborazioni in cantiere?
“Ho da poco registrato le parti di piano e rhodes per il nuovo disco dei Black Beat Movement, rarissimo gruppo nu-soul italiano ormai ben più che emergente di cui sono fiero di far parte, che fa le cose davvero sul serio ed ha la testa proiettata nell'avanguardia soul ed R&B americana più autentica. Il disco nuovo è il loro lavoro più maturo e sarà qualcosa di davvero interessante. Poi c'è in embrione un progetto insieme al compositore e direttore d'orchestra danese Jesper Nordin, con il quale ho avuto già modo di collaborare in Danimarca l'anno scorso e che si sta cimentando nella composizione di brani per ensemble jazz. Le prime prove su cui stiamo lavorando, scritte da una penna come la sua che viene dal mondo della musica classica e colta contemporanea, sono molto interessanti e fresche, inusuali. Poi c'è sempre in embrione una registrazione in duo con Alice Lenaz, magnifica artista a tutto tondo, cantante, pittrice, scrittrice, performer, con la quale collaboro già da diversi anni, sporadicamente ma con una grande alchimia. L'idea è quella di fissare quest'energia per quanto possibile in una registrazione.”
In che modo i lettori possono rimanere aggiornati sulle tue news?
“Sul mio sito http://www.lucadellanna.net c'è tutto, qui ci sono il mio canale youtube: http://www.youtube.com/lucadellanna e la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/lucadellanna.musicpage.”
F.G.
Recensione di The Assassins "Love" a cura di Laura Chionna per"Jazzitalia" - il:2015-10-16
Francesco Cusa & The Assassins
Love
Improvvisatore Involontario (2015)
1. Escher
2. Intricate Corvai
3. Oslo
4. Wrong Measures
5. The Act Of Killing Music
6. Ending 1
7. Ending 2
Cristiano Arcelli - alto sax
Flavio Zanuttini - trumpet, electronics
Giulio Stermieri - hammond, keyboards
Francesco Cusa - drums
"Love", declinabile compromesso stilistico che caratterizza l'ultimo lavoro dell'irriverente batterista e compositore Francesco Cusa.
Proprio tutto quello di cui avete bisogno è nelle sette composizioni originali di questo lavoro, edito da Improvvisatore involontario, che arricchisce la surreale sonorità del panorama musicale nazionale con la presenza di un trio d'eccezione, a parte il leader, formato da Flavio Zanuttini, Giulio Stermieri e Cristiano Arcelli.
Amabile, a tal proposito, la "soluzione" timbrica del disco che nei brani d'apertura, particolarmente "Intricate Corvai", definisce metricamente e armonicamente ciò che lo sfondo frastagliato del groove sottende; non a caso il "gong" iniziale di matrice newyorkese appare carico di rimandi alla corrente Mbase e dub: stessa compenetrazione, tra l'elettronica e le poliritmie, che determina un fluido nonsense timbrico.
Non lasciano indifferente, "Wrong Measures" e "The Act of killing music" brani in cui l'eclettismo di Cusa prende vita sull'onda di figurazioni melodiche velocizzate, in uno spazio multidimensionale che bandisce il piattume melodico per ampliare un perimetro suggestivo di suoni e colori che emergono allo stato brado. Di poetica e frenetica verve compositiva la fine preannunciata del disco, con la duplice versione di "Ending1" e "Ending2", che sottolinea l'importanza delle schizofrenie spaziali attraverso l'intelligente utilizzo dei bordoni e delle dinamiche cusiche.
All you need is "Love": Cu – cu – cu – cu – Sa.
Antonella Chionna per Jazzitalia
Recensione di The Assassins "Love" a cura di Enzo Boddi per Musica Jazz - il:2015-10-16
Francesco Cusa: pezzi di legno e suoni al posto delle parole | Efestiade | Libreria Prampolini - il:2015-10-05
http://www.outsidersmusica.it/recensione/Catania/report-francesco-cusa-pezzi-di-legno-e-suoni-al-posto-delle-parole-efestiade-libreria-prampolini/
di Redazione
di Alberto Destasio – L’ambiente della Libreria Prampolini, così austero ma anche così accogliente, permette subito l’imporsi di un’alchimia di scambio, familiarità e curiosità; la volontà comune nel vivere e saper leggere le coincidenze. Con l’Efestiade e la lettura sonora di un racconto breve di Simenon, “Stan l’assassino”, da parte del batterista Francesco Cusa, è proprio l’accidentale e la scrittura che vogliono dare il proprio canto. La dimensione narrativa messa per iscritto, immodificabile, se traslata all’interno del fatto musicale, può aprirsi al libero incontro, alla coincidenza, alla creazione di senso inaspettato ma permanente, di segni che incidono. La musica e l’aspetto sonoro della scrittura hanno la capacità di rendere il caso sovrano e di far comprendere, come solo le grandi filosofie sanno fare, che la spinta progressiva della totalità può essere accolta e compresa solo se si ha il giusto sguardo, sulla concomitanza. Ma parliamo dei suoni. In un angolo della libreria, all’incrocio tra le sezione “Storia Naturale” e “Letteratura Italiana”, risiede la batteria di Cusa, uno straccio, coperchi di pentole, una scatola musicale, un fischietto con una sorta di ancia. Sembrano trovarsi su quel tavolo senza nessuna connessione reciproca, ma ancora casualmente, non potrà che essere proprio la loro la voce adatta per quest’inedita narrazione. I suoi ritmi ne evidenziano, più che la punteggiatura, la tonalità emotiva, facendosi ora psicotici, ora stanchi, ora vuoti, ora frenetici e anche quadrati e ossessivi. E qui occorre fare un discorso sulla forma, che quasi sempre è un’autoposizione del contenuto: la tecnica certosina e poliedrica di Cusa sono gli ingredienti essenziali per questa corretta esposizione. Non sono riuscito a tener conto delle numerose impostazioni di esecuzione, di tocco, di fraseggio del nostro e la possibilità che questa ricchezza di soluzioni offre per proiettare le capacità espressive della batteria alle stelle; illuminante per riflettere sul lato melodico e orizzontale di questo strumento. L’attenzione dei presenti cresce esponenzialmente ogni qual volta Cusa si lancia nelle sue serratissime rincorse ritmiche, che ricordano i blast beat di Steve Smith, per poi essere sostituite dallo strofinìo di un pezzo di stoffa sulla superficie percussiva di un rullante. Mentre il suono della batteria fende il silenzio degli stanti, Cusa si ferma, lascia andare via le bacchette e afferra un carillon, muovendo a varia frequenza la manovella. Il racconto può dirsi concluso. Sì, parlavamo di coincidenze. Esse spiazzano, costringono a riflettere, ma per fortuna quando si pensa, si è ancora nella realtà; la coincidenza desta il pensiero dalla necessità e lo nutre di novità. In un tavolo della libreria, pronta per essere catalogato, una raccolta di saggi filosofici uscita nel 73 attira la mia attenzione e trovandomi fuori un gruppo di individui, che si riveleranno, per caso, suonatori e danzatori, sta già proponendo le proprie melodie balcaniche o greche o turche, a Piazza Università.
Recensione MANCUSA "Terra Matta" di Ettore Garzia - il:2015-09-01
Un altro laboratorio espressivo dell'improvvisazione emerge dalle associazioni di idee del compositore/pianista veneziano Giovanni Mancuso. Per la Bunch Mancuso ha pubblicato due cds notevoli direzionando lo stile a seconda del progetto: in "Terra Matta", collaborazione al piano con il batterista Francesco Cusa denominata restrittivamente Mancusa, l'impronta classica piena di clusters e spigolature jazzistiche aveva nel suo dna la voglia di attrarre con le armi della fascinazione acustica e della satira, quest'ultima un leit-motiv che in molti nella musica hanno percorso per raggiungere i propri obiettivi (si va da Zappa a Bollani), ma Mancuso è attento a non attribuirle particolari enfasi con soluzioni dadaiste o bizzarre: ripercorrendo il pianismo del novecento Mancuso evita le beghe retoriche e impone una linea personale, in stile perpetuo, che ha un forte aggancio nel primo novecento; pianismo francese, americanismi e stigmatizzazione del suono "percussivo", scampoli di relativismo russo basato sulle futuristiche proiezioni dell'avanguardia di inizio secolo; il futurismo di Mancuso è del tutto speciale, è anti-futurismo ed è trapiantato in una edulcorata casa della costruzione sonora senza barriere, in cui in una stanza dell'astrazione, con tanto di sirene e fischietti alla Varese, si condivide il giaciglio con le peripezie di Cecil Taylor. In quel lavoro l'interposizione alle percussioni di Cusa (tra lo sperimentale e lo spirituale) fu una delle migliori contropartite a cui poteva aspirare il pianista veneziano. Il jazz è addensato nelle invenzioni che propongono una linea di confronto tra Debussy e Antheil in "Tufopolifonie", che forte dei suoi 19 minuti di durata, è marchio distintivo che va a parare direttamente nell'oggetto concreto della musica del secolo passato, pescando nei suoi accenti più enigmatici, lavorando ad una loro ricomposizione umorale (ombre, geometrie, spiritualità, memoria).
recensione di Th Assassins "Love" su il Manifesto - Alias - il:2015-08-27
Recensione di Th Assassins "Love" su All About Jazz - il:2015-08-27
By GIUSEPPE SEGALA, Published: June 22, 2015 in Italian | 570 views
Francesco Cusa and the Assassins: Love
Formazione che esprime al meglio la versatilità e la feroce curiosità del suo leader, il batterista, compositore e scrittore Francesco Cusa "Skrunch", The Assassins trova con questo album una decisa focalizzazione dopo i progressivi aggiustamenti della proposta musicale e dell'organico di trio, che aveva già beneficiato dell'inserimento di Piero Bittolo Bon nel precedente CD The Beauty and the Grace, del 2012. Ora, l'arrivo stabile di Cristiano Arcelli al sax alto porta una notevole personalità, in grado di interagire con la formazione e con le complesse, significanti composizioni di Cusa.
La nettezza del segno che subito emerge dall'ascolto del disco, la calibratura dei volumi (sonori ma anche architettonici), la filigrana degli intrecci sono elementi che immediatamente si evidenziano in un gioco mai fine a se stesso. La precisione non è vacua, autocompiaciuta. Scorre sostanza. Il groove, sebbene nella registrazione sia più controllato e trattenuto che nelle esibizioni live del gruppo (si veda la recensione di Liberò Farnè Al Barazzo di Bologna), non manca mai di densità e intensità. Aggiunge, piuttosto, pur nella dimensione più pulita e delimitata.
Splendida l'intesa dei due fiati, con il sax che percorre linee nette, precise, spesso taglienti, e la tromba di Flavio Zanuttini che gioca maggiormente sulla spazialità, con il supporto intelligente dell'elettronica. Tenace ed elastica la conduzione del leader, la cui batteria si addentra nei brani, controlla, avvolge e trapassa, sostiene e contrappunta nei contrasti metrici. Costante e sostanziale la funzione affidata all'organo di Giulio Stermieri, che elabora a sua volta percorsi propri, originali.
Tra Chicago e post-moderno, c'è un bel po' di progressive rock alla Canterbury nel lavoro di organo e batteria. Spesso le carte si mescolano con la sovrapposizione di stili e umori: "Intricate Corvai" si muove tra i sussulti dell'organo e della batteria, con le digressioni aperte dei due fiati, dapprima in preciso unisono poi a sfaldarsi e stimolarsi a vicenda. Tutto è di continuo rimesso in discussione attraverso lo spiazzamento e l'uso di angolazioni differenti: il titolo "Escher" ne declina una delle intenzioni esplicite. "Oslo in My Heart" mescola noir e ballad in suggestiva trasfigurazione. L'esplorazione è disincantata e priva di enfasi: una sorta di metafisica della lucidità, con inserti surrealisti che in "Ending 2" trattano il titolo Love.
La fotografia di un momento significativo nell'attività di Cusa.
Track Listing: Escher; Intricate Corvai; Oslo in My Heart; Wrong Measures; The Act of Killing Music; Ending 1; Ending 2.
Personnel: Flavio Zanuttini: tromba, elettronica; Cristiano Arcelli: sax alto; Giulio Stermieri: organo Hammond, tastiere; Francesco Cusa: batteria.
Record Label: Improvvisatore Involontario
Recensione di The Assassins "Love" per "Arti e Arti". - il:2015-07-13
DA FRANCESCO CUSA CON “LOVE”
Jazz
di Ferdinando D'Urso // pubblicato il 12 Luglio, 2015
“Love” – uscito con Improvvisatore Involontario nel marzo di quest’anno – si pone come un’istantanea dello stile attuale del batterista Francesco Cusa. Artista dalle mille risorse Cusa ha, infatti, maturato un modo di comporre e di suonare il proprio strumento assolutamente personale, che sicuramente lo rende riconoscibile anche se non sempre amato. Insieme a lui troviamo un rinnovato gruppo di Assassins, composto da Flavio Zanuttini alla tromba, Giulio Stermieri all’organo e, in questo caso, anche Cristiano Arcelli al sassofono.
1 francesco cusa the assassins love-copertina disco
La musica contenuta in questo disco si muove su due livelli che rispecchiano il nome del gruppo: Francesco Cusa & The Assassins. La band si muove condotta dagli stimoli del leader o gli si oppone in una dialettica di quiete e movimento, di pace e tumulto. È evidente fin da Escher, la prima traccia: mentre i fiati e l’organo si distendono in una melodia molto ampia – che ricorda alcuni temi tratti dalla colonna sonora che l’Art Ensemble of Chicago registrò per il film Les Stances a Sophie –, la batteria irrompe in un violento drum&bass che costringe Arcelli e Zanuttini ad una linea tematica più scattosa e zingaresca. L’assolo del sassofono si sviluppa su un surreale e immobile pedale eseguito da Stermieri, indifferente ai commenti della batteria. Situazione simile si ritrova in Oslo, dove la superfice del brano è continuamente increspata da un Cusa tumultuoso. In questo brano il tema affidato alla tromba, minimalista e ripetitivo, ricorda alcuni lavori di Anthony Braxton.
2 francesco cusa e the assassins
L’ampio uso dell’elettronica ammanta “Love” di un alone spettrale. Così è in Wrong Measures o nel cinematografico e misterioso Ending 1 che a tratti ci riporta alla mente il Vangelis di Blade Runner. Ancora all’elettronica è affidato il ruolo di canzonare la parola “love” in Ending 2, intesa qui in senso melenso e “alleviano”.
Se l’organo è spesso relegato a ruoli di accompagnamento con groove circolari, Arcelli e Zanuttini marciano benissimo insieme. Se ne ha prova nell’ingarbugliato tema di Intricate Corvai la cui ultima ripresa ricorda le musiche per il pacchiano Batman televisivo degli anni Settanta.
3 francesco cusa facebook
“Love” è un disco in cui la collettività è tutto, l’apporto dei singoli membri è evidente soprattutto negli ampi passaggi improvvisativi. A governare la comunità si erge però la figura di Francesco Cusa la cui musica, densa e a tratti sovraccarica, è specchio della sua incontenibile personalità.
Recensione di Francesco Cusa & The Assassins - Love per Jazz Convention - il:2015-07-03
Francesco Cusa & The Assassins - Love
Scritto da Gianni Montano
Giovedì 02 Luglio 2015 00:00
Francesco Cusa & The Assassins - Love
Improvvisatore involontario - II0043 - 2014
Francesco Cusa: batteria
Flavio Zanuttini: tromba, elettronica
Cristiano Arcelli: sax alto
Giulio Stermieri: organo Hammond, tastiere
Francesco Cusa ha una tendenza spiccata per l'iperbole, l'esagerazione e allo stesso tempo si dedica con un gusto particolare agli accostamenti verbali insoliti e contrastanti, con una vena intellettuale fervida e dissacrante. Prendiamo il nome del gruppo protagonista della registrazione: The Assassins. Da un quartetto chiamato così ci si aspetterebbero album con titoli cruenti e sanguinari. Nulla di tutto ciò. L'ultimo disco degli "omicidi" si intitola infatti Love come, guarda caso, la più recente incisione di Giovanni Allevi. Siamo, allora, di fronte alla parodia di un genere "leccato", formalmente ineccepibile, ma di scarsa originalità e spessore? Non proprio. La musica si dirige tutta da un'altra parte e non contiene elementi ironici o sarcastici. Si potrebbe definire questo tipo di operazione, perciò, una sorta di straniamento dello straniamento. Cusa, cioè, alimenta delle aspettative di un certo tipo che disattende dirigendosi in direzione contraria al percorso ipotizzato, viste le premesse. In Love la parodia lascia, di fatto, il posto al suono duro e puro della creatura "criminale" del genialoide compositore siciliano
Il disco contiene un jazz pesantemente contaminato, inquinato da rock e funk. Si possono trovare, inoltre, nelle tracce, agganci con il modo di operare di Steve Coleman o Greg Osby. Rispetto al sound M-Base, però, qui tutto è meno (dis)articolato e più massiccio.
Nei vari brani sono frequenti gli unisoni stringenti di tromba e sassofono, funzionali a dettare un breve tema da cui far lievitare il pezzo. Cristiano Arcelli (bell'acquisto per il gruppo) propone assoli di sax alto nervosi, aspri, spigolosi. Flavio Zanuttini, da parte sua, modifica il timbro della sua tromba con artifici tecnologici e per il resto si esprime con note intense e lunghe, per far da contraltare all'eloquio pungente e irrequieto del partner fiatista.
Giulio Stermieri usa le tastiere per dipingere sfondi, privilegiando i toni gravi. In altre circostanze realizza effetti elettronici sempre gradevoli e adeguati al contesto. Attraverso l'organo hammond aggiunge, poi, colori acidi, vintage, anche se il modo di trattare i suoi strumenti è attualissimo.
Il batterista-leader si esprime in modo robusto, aggressivo, senza cadere nell'ordinario. Accentua le cadenze rock e colma di ritmi tesi e penetranti il suono complessivo degli assassini.
Love è un'altra tappa di sicuro interesse per il percorso artistico di Francesco Cusa. Un musicista che, quando vuole fare veramente sul serio, produce musica solida, compatta e di forte personalità.
Recensione di Francesco Cusa & The Assassins "LOVE" per Altrisuoni - il:2015-06-06
di Francesca Odilia Bellino
Una cosa banale come “love” (ma chi non lo pensa dal titolo?!) diventa nelle grinfie del batterista e compositore catanese Francesco Cusa un mondo di orrifiche e stupefacenti metamorfosi dal quale se ne esce quantomeno alterati.
Insieme alla straordinaria formazione degli Assasins – Arcelli ad un vibrantissimo sassofono, Zanuttini alla tromba e all’indispensabile addizione elettronica, Stermieri alle fantascientifiche tastiere e all’organo elettronico – Cusa scaraventa l’ascoltatore nella psichedelia del tema amoroso declinato nelle più diverse variazioni in un jazz ormai pantagruelico. Per capirlo, consiglio il video di presentazione di questo cd (https://www.youtube.com/watch?v=qQ_WalaFQdc) che condensa temi e motivi del disco in 3:57 dove tra parodie e sublimazioni schizzano frammenti di un discorso amoroso di grande raffinatezza.
Che dire? Cusa riesce ad essere ironico, sprezzante, fagocitante, improvvisatore (volontario e involontario) intorno al tema della vita per eccellenza. Ci restituisce in chiave iperrealista “love” quale lo si vive, nel casino più totale, nell’orrore di brandelli di gesti nella quotidianità e nella banalità, un “love” soffocato dai rumori, allucinato in una folle corsa notturna, quasi demonizzato e disumanizzato come lo vive sempre più… Grandioso!
articolo pubblicato nel 2015
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