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Francesco Cusa in “Lockdown Mon Amour”: 16 voci per 16 mie poesie”. Un lavoro di poesia sonora (SICILIA REPORT). - il:2020-05-02

Francesco Cusa in “Lockdown Mon Amour”: 16 voci per 16 mie poesie”. Un lavoro di poesia sonora

Le poesie lette da amiche e amici, artisti e pregevoli professionisti della parola con base leggera della batteria dello stesso artista

Di Redazione CT il 2 Mag, 2020 ore 16:23
CATANIA – In questo periodo di “lockdown” Francesco Cusa ha scritto molte poesie. Alcune di queste l’eclettico artista ha scelto di farle leggere ad amiche e amici, artisti e pregevoli professionisti della parola. In sottofondo, la base flebile e distante della batteria dello stesso artista.
Nasce così questo esperimento che Francesco Cusa ha deciso di chiamare “LOCKDOWN MON AMOUR”.
L’autore commentando l’evento dichiara: «Ringrazio di cuore tutte le amiche e gli amici che si sono prestati a questo esperimento. Mi hanno fatto un bel regalo. Sotto trovate anche i testi, che saranno certamente pubblicati in un libro futuro».

Rosalba Bentivoglio legge “MONOTONIE D’APRILE”.
Alessandro Borsonee legge “ESSERE UN GIULLARE”.
Giuseppe Carbone legge “CONFIDENZE”.
Nazim Comunale legge “GLI AMORI E I MORTI”.
Sal Costa legge “GLI AMORI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS”.
Massimo Cracco legge “I LIBRI”.
Carmelo Di Stefano legge “NEI TUOI OCCHI”.
Massimo Salvatore Fazio legge “L’INERPICARSI DEL SANTO”.
Alice Ferlito legge “ECLISSI SERALE”.
Francesco Gennaro legge “DOMESTICARSI”.
Superdani Gozzo legge “POMERIGGIO”.
Fabio Vito Lacertosa legge “TEMPO FERMO”.
Annalisa Pascai Saiu legge “ERINNI”.
Angela Tinè legge “L’ISOLAMENTO”.
Pier Marco Turchetti legge “A FEBBRAIO”.
Cristina Zavalloni legge “BOLOGNA”.

Francesco Cusa – drums.


https://www.siciliareport.it/eventi/francesco-cusa-in-lockdown-mon-amour-16-voci-per-16-mie-poesie-un-lavoro-di-poesia-sonora/?fbclid=IwAR1K9gTB4zO2sr-equn0kvdxc7hY3vJXn4-ckIrb8ION-JDRD3l7mYRH2TY Ancora più notizie su https://www.siciliareport.it

Un' intervista al sottoscritto da parte di Gerlando Gatto - il:2020-05-02

http://www.online-jazz.net/2020/05/02/il-jazz-ai-tempi-del-coronavirus-le-nostre-interviste-francesco-cusa-batterista-e-scrittore/

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Francesco Cusa, batterista e scrittore
da Redazione | 02/Mag/2020 | Interviste, News, Primo piano | 0 commenti
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Intervista raccolta da Gerlando Gatto
Tempo di lettura stimato: 3 minuti
Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Francesco Cusa, batterista, scrittore – ph Paolo Soriani
-Come sta vivendo queste giornate.
“Con la consapevolezza di chi attende una catarsi da ogni scenario distopico. In un certo senso posso dire di esser pronto a un evento del genere, avendo avuto una formazione che di simili scenari si è nutrita fin dall’adolescenza: dai fumetti, ai libri, al cinema. Ne ho scritto molto anche nei miei libri, ne parlo in vari miei racconti, come ne “I mille volti di Ingrid”. Dunque, questa “reclusione” per me significa ancora produrre: mi ritrovo con più cose da fare di “prima”, a tal punto che mi risulta difficile comprendere come riuscirò a realizzare tutti i miei progetti una volta finita questa emergenza”.
-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?
“Naturalmente ho subito un grave danno con la cancellazione di molti concerti e di presentazioni dei miei libri. La mia proverbiale fortuna ha fatto sì che uscissero, poco prima dell’esplosione della pandemia, sia il libro “Il Surrealismo della Pianta Grassa” sia il cd doppio “The Uncle” dedicato all’amico recentemente scomparso Gianni Lenoci, con conseguenze facili da immaginare. Sono molto affranto perché avevo organizzato un tour pugliese in memoria di Gianni… speriamo di poter recuperare in futuro. A tal proposito ritengo che sarà molto difficile ripartire. Occorrerà approfittare di questo stallo per rivedere la politica dell’organizzazione musicale in Italia, liberarla dai gangli che la congestionano in clan e cordate, per una gestione e selezione più armoniche e meno elitarie. La parola d’ordine è comunque defiscalizzare”.
-Come riesce a sbarcare il lunario?
“Da quest’anno, e dopo quasi 15 anni di precariato in giro per l’Italia, a 53 anni suonati ho il mio primo contratto a tempo determinato al conservatorio di Reggio Calabria, dove insegno “Batteria Jazz”. Altrimenti l’avrei vista davvero dura. C’è da dire che ancora però non ho visto una lira… ops! Un euro”.
-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo da solo, molto felicemente e per scelta. Per me è una dimensione straordinaria il poter gestire il mio tempo e il mio spazio. C’è un sottile canto che viene intessuto nei reami del domestico. Certo, occorre avere antenne molto potenti e non sentire il bisogno di avere necessariamente qualcuno a fianco. Dico sempre che il vero single si riconosce dal fatto che quando rientra a casa alla sera e si chiude la porta alle spalle prova uno straordinario senso di pace”.
-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Fortunatamente, penso proprio di sì. Siamo di fronte a un fatto epocale che genererà un importante (ma non ancora decisivo) cambiamento bioenergetico in una grande parte della popolazione mondiale. I rapporti umani e professionali saranno caratterizzati da una prima naturale fase di formale diffidenza e straniamento, per poi tornare in una nuova dimensione di fascinazione. Simbolicamente, questa nuova modalità relazionale rappresenta lo zenit del processo di distanziazione fra sapiens, processo cominciato millenni fa e relativo all’alfabetizzazione”.
-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Senza ombra di dubbio. La musica come tutto il resto, ossia la meravigliosa opera creativa dell’uomo nel suo contesto ambientale, è l’antidoto sublime contro l’entropia. Nessun momento in cui ci è dato vivere è “terribile”. Nel dolore, nella sofferenza c’è sempre, a saper bene ascoltare, ciò che il filosofo indiano Abhinavagupta definiva il “Tremendo”, ossia quello stadio supremo che non è più conoscenza concettuale ma conoscenza- vita, il canto terrificante e suadente del mistero del campare. Siamo fortunati”.
-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Affidarsi a qualcosa è già essere nella dipendenza. Occorre vivere il proprio tempo e le necessità che esso impone con la consapevolezza di essere nel posto giusto e al momento giusto. Sempre, anche nei momenti più difficili e umilianti della vita. Ci si può affidare a stento alla nostra coscienza e poi, semmai, donare per ricevere. Ma sempre con molta parsimonia, diffidando alquanto. Affidarsi a qualcosa di esterno è abbandonarsi al flusso delle maree. Da naufraghi, scegliere una fascinosa esistenza romantica nell’illusione dell’approdo”.
-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“C’è tutta la banalità necessaria a generare una buona dose di salutare nausea. Naturalmente la paura ha la grande capacità di rimuovere ostacoli, ma è semplicemente un riflesso dell’angoscia. Non si produce nulla di bello se si è nella paura. L’emergenza è lo stato prediletto dallo speculatore”.
-È soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“No. Anche perché non ho e non riconosco alcun organo che possa rappresentarmi. E poi rappresentare chi, quale me? Chi sono io? Un musicista? Uno scrittore? Un giullare? Un critico? Un impostore? Poco importa. Anche qui torna comoda la domanda precedente: ci si sarebbe dovuti muovere per tempo sulle cose da fare, su tutte assicurare un’intermittenza agli artisti, perché l’arte è il vero pane del mondo… non voto da decenni, non voglio essere rappresentato né politicamente, né tantomeno artisticamente. Posso scegliere di partecipare e condividere ciò che in me risuona e che ritengo utile alla causa comune. Ma dopo quasi trent’anni di vita spesa in collettivi artistici come Bassesfere e Improvvisatore Involontario, adesso preferisco seguire una mia via ‘ascetica’ “.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Nulla. Attenderei che mi si chiedesse cosa posso offrire in base alle mie competenze”.
-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Oramai ascolto prevalentemente colonne sonore di film, dunque, non volendo fare l’ipocrita, consiglierei l’ascolto di due cd appena usciti e che vedono protagonista il mio caro amico Gianni Lenoci, recentemente scomparso: “The Whole Thing” con Gianni Lenoci al piano e Gianni Mimmo al soprano, appena uscito per Amirani, e il mio ultimo “The Uncle (Giano Bifronte)”, doppio cd appena sfornato da Improvvisatore involontario e Kutmusic”.
Gerlando Gatto

Recensione di "The Uncle" a cura di Alberto Bazzurro - il:2020-04-28

http://www.lisolachenoncera.it/rivista/rubriche/il-pianoforte-il-contrabbasso-eccetera/

E’ invece per Gianni Lenoci (foto sotto), valoroso pianista pugliese scomparso lo scorso settembre, la dedica di Francesco Cusa in quel singolare doppio cd che è The Uncle (Giano bifronte) (Improvvisatore Involontario/Kutmusik), realmente bifronte fin dalla copertina, apribile indistintamente da ciascuno dei due lati, e poi perché include gli stessi cinque temi (di Cusa, autore anche di quattro poesie per l’amico scomparso) suonati nello stesso ordine da due quartetti (sempre sax più trio) la cui unica variante è appunto la presenza ora di Lenoci (aprile 2018) ora di Valeria Sturba. Temi in apparenza (volutamente) post-bop, non di rado di umore tristaniano, si aprono ai trattamenti più disparati, in un gioco a rimpiattino che non manca di regalare più di una sorpresa.

Recensione di Francesco Cusa Trio, Francesco Cusa & The Assassins: The Uncle (Giano Bifronte) a cura di Vincenzo Roggero - il:2020-04-20

Francesco Cusa Trio, Francesco Cusa & The Assassins: The Uncle (Giano Bifronte)

Vincenzo Roggero By VINCENZO ROGGERO
April 20, 2020
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Francesco Cusa Trio, Francesco Cusa & The Assassins: The Uncle (Giano Bifronte) The Uncle, lo zio, ovvero Gianni Lenoci, così veniva chiamato dagli amici intimi il pianista, compositore, pensatore prematuramente scomparso nel settembre dell'anno passato. Ma il legame tra Francesco Cusa e l'artista barese era di quelli che andavano ben oltre le convenzioni di una pur solida amicizia. Non solo, allora, un doppio CD a lui dedicato il cui titolo originale Giano Bifronte è diventato il sottotitolo in favore di The Uncle . Non solo la presenza al pianoforte in un CD dello stesso Lenoci, ma anche la testimonianza toccante e senza fronzoli di quattro poesie a lui dedicate, immagini potenti tra ricordo, stupore e speranza. E naturalmente la musica.

Cinque composizioni a firma Cusa, due formazioni differenti a interpretarle, quasi un'ora complessiva di grande musica. Dagli evidenti richiami boppistici sia nei titoli che negli incipit, i cinque brani, tutti dalla penna di Cusa, si sviluppano repentinamente su coordinate e moods variegati. Si scivola dal groove funkeggiante dell'iniziale «Anthropophagy» alle sibilline linee pianistiche di « Cospirology», dal rarefatto ondeggiare di «Pharmacology» ai dialoghi incrociati, obliqui e frastagliati di «Reumatology», passando per «Dr.Akagi», una sorta di improvvisazione zen posizionata nel centro (meta)fisico del disco con il pianoforte di Lenoci ad illuminare ulteriormente il prima e il dopo. Questo succede sul versante del FCT + Francesco Benvenuti.

Con l'avvento di The Assassins le composizioni si trasformano in materia lavica, densa e vischiosa, con continue esplosioni di fuoco e di lapilli, incandescenze sonore che prima disorientano e poi accendono l'immaginazione. E irrompe prepotentemente VALERIA STURBA, folletto giocherellone e irrispettoso armato di violino, theremin, elettronica e voce. Che siano l'odore di zolfo e le svisate hard rock del primo brano, le incursioni elettroniche sparse ovunque, improbabili scat o gli allucinati hloop vocali di «Pharmacology», Sturba si conferma una dirompente, fantasiosa forza della natura, in grado di contagiare tutto ciò che la circonda. Gran orchestratore Francesco Cusa, abile nell'esaltare le peculiarità delle due formazioni e nel contempo conferire organicità ad un disco senza un attimo di tregua, ricco di idee e superbamente suonato.

Album della settimana.
Track Listing

Anthropophagy; Cospirology; Dr. Akagi; Pharmacology; Reumatology.

Personnel

Francesco Cusa: drums; Gianni Lenoci: piano; Giovanni Bevenuti: saxophone, tenor.

Valeria Sturba: voice, theremin, violin, electronics; Ferdinando Romano: bass.

Album Information

Title: The Uncle (Giano Bifronte) | Year Released: 2020 | Record Label: Improvvisatore Involontario/Kutmusic

Recensione di "The Uncle" a cura di Raul Catalano - il:2020-04-11

https://raulcatalano.blogspot.com/2020/04/francesco-cusa-giano-bifronte.html?fbclid=IwAR1DIEq6bRx7_F_v9abvPdBnqGB4dGhw8sleHJ0GyAbwfZUGknvZ5Ch500s

Francesco Cusa, ''Giano Bifronte''
Doveva abbattersi sul mondo una pandemia per tornare a scrivere sulle oscure pagine di questo blog. Tuttavia questi quattro anni di assenza non erano stati programmati: essendo io fatalista, o meglio destinista, credo che qualunque cosa ci succeda abbia una sua motivazione, spesso per noi incomprensibile. O forse questo maledetto COVID-19 doveva arrivare per indurci a riflettere sulle nostre miserande esistenze e per farci capire che noi, se pur circondati dagli agi dell'onnipresente tecnica e dell'onnipotente scienza, siamo niente di più che miseri mortali, aggrappati alla vita da un sottile filo invisibile.

Messo da parte il doveroso pippotto pseudofilosofico/ batteriologico, veniamo al quod di questo mio intervento: parlarvi del nuovo disco di Francesco Cusa, già apparso sulle pagine di questo blog con il suo libro di aforismi e freddure ''Ridetti e Contraddetti''. Oggi parliamo di ''Giano Bifronte'', doppio cd inciso dal nostro con il suo Trio (Gianni Lenoci, piano; Ferdinando Romano, contrabbasso; feat. Giovanni Benvenuti, tenor sax) e con il camaleontico progetto degli ''Assassins'' (attualmente Valeria Sturba, violino, theremin, electronics; ed i già citati Romano e Benvenuti).

Innanzitutto bisogna notare l'ardire di Cusa nel pubblicare un doppio cd con le stesse composizioni. Quella che potrebbe sembrare una scomessa ad alto tasso di fallimento, si rivela vincente: Cusa dimostra la futilità di accostare al jazz dei nostri giorni il concetto stantìo di ''composizione'': la ragion d'essere della musica che noi amiamo è infatti l'interpretazione personale ed il poter ammirare l'interplay tra i musicisti, espostisi a noi senza alcuna ''scorciatoia'' annotata su carta. Questi due dischi, pur contenendo le stesse composizioni, sono letteralmente agli antipodi tra loro in quanto ad atmosfere sonore e direzioni improvvisative.

Iniziamo con il disco del FCTrio.
''Antropophagy'' e ''Cospirology'' prendono avvio da due temi ''beboppari/tristaniani'' di Cusa, che ben presto si sgretolano, inoltrandosi negli abissi della libera improvvisazione. Lenoci e Benvenuti eseguono impassibilmente i temi all'unisono. Le loro voci procedono a braccetto ma sono discordanti: proprio come il doppio sguardo del dio Giano – uno rivolto verso il passato e l'altro verso il futuro -, essi seguono due vie diverse ma convergono nella stessa meta. Lo stacco che prelude all'improvvisazione in ''Antropophagy'' è magistrale: improvvisamente veniamo catapultati in un groove ossessivo alla Chicago Underground, su cui Benvenuti si mette in mostra, degno del miglior Chris Potter. Ben presto l'attenzione delle mie orecchie viene attirata dal pianoforte: Lenoci centellina i suoi interventi e tocchi; spesso si incaglia su poche note, creando un'atmosfera solenne ed ipnotica (non riesco più ad estirpare dalla mia mente quell'intervallo di seconda minore ascendente).

Con questo accorgimento che potremmo definire ''prosciugamento zen'', Lenoci ci inchioda a seguirlo a qualsiasi costo: ad ogni sua minima aggiunta melodica o modifica ritmica sentiamo mancarci la terra da sotto i piedi e restiamo in attesa di ogni sua indicazione sulla prossima direzione da prendere.
Lenoci ha la capacità di condensare nel suo fraseggio la tradizione eurocolta (a volte sembra di essere nella Vienna di inizio Novecento dinanzi ad una sonatina di pianoforte) col linguaggio afroamericano (inteso non semplicemente come ''jiezz'', ma anche all'avanguardia statunitense di John Cage e Morton Feldman). Per chiarire meglio cosa avverto azzardo un confronto: ascoltare Lenoci in azione ricrea in me la stessa sensazione che ho avuto dinanzi ai dipinti di Mark Rothko. Così come quest'ultimo aveva rinunciato a qualsiasi tipo di forma, struttura e convenzione preesistente, scegliendo di aggrapparsi al colore come unico e potentissimo mezzo di comunicazione con chi guardava le sue tele, Lenoci si aggrappa unicamente al suono, inteso nella sua più assoluta purezza ed immediatezza. Un suono privo di orpelli e tecnicismi, a primo impatto crudo e screziato, ma che rivela una profonda riflessione e meditazione perchè affonda le sue radici nel silezio e nell'assenza di schemi e di materia.

Alle spalle di Lenoci e Benvenuti si muove una macchina ritmica impeccabile: Cusa sgattaiola suonando i cerchi dei tamburi, accresce la tensione con lunghe pause inaspettate, riemerge con fragranti esplosioni dei piatti; Romano, dal canto suo, alterna frasi ritmiche spezzate e perentorie, assicurando a tutto il gruppo la ''terra'' armonica e ritmica su cui muoversi a piacimento.
In particolare il dialogo/duello che si instaura tra Cusa e Lenoci è di rara bellezza: i due si aspettano e si studiano, lasciano riecheggiare nella loro memoria le idee dell'altro ma senza fretta: proprio quando sembrano disperdersi nel mare magnum dell'improvvisazione collettiva, le fanno riemergere trasfigurate, rimasticate ed arricchite.

L'ultima parte del disco porta avanti questo schema di alternanza tra i pieni melodico/ritmici dei temi ''boppari'' con gli svuotamenti zen post-tematici. Da segnalare, nell'improvvisazione in ''Pharmacology'', un momento di grande intensità: Lenoci percuote le corde del suo pianoforte, stoppandole lievemente con la mano per poi abbbassare il pedale della risonanza: ne viene fuori un eco sommesso che sembra provenire dall'abisso del nostro inconscio.

Nel secondo disco l'atmosfera cambia drasticamente: merito della new entry e polistrumentista Valeria Sturba (violino, theremin, voce, electronics). Le improvvisazioni di Sturba riservano sempre nuove sorprese e spiazzano anche chi è abituato all'originalità dei suoi progetti musicali (su tutti il duo ''OoopopoiooO'' con Vincenzo Vasi). La Sturba spariglia le carte e gli equilibri consolidati nel trio Cusa-Romano-Benvenuti, diventando il perno del gruppo. Le libere improvvisazioni che nel precedente disco si nutrivano di silenzi, attese e spiritualità, adesso si fanno più frenetiche ed acide, con sonorità elettriche ed oserei dire quasi rock psichedeliche.

Da segnalare, in particolare, un momento sospeso tra l'ironico ed il terrorizzante in ''Dr. Akagi'': Sturba esegue in solo la melodia del tema con un'interpretazione che mi ha riportato alla mente il tema di ''Rosemary's Baby'' (firmato da Krzysztof Komeda).

Altra segnalazione da fare sull'abilità di Sturba – se mai ce ne fosse bisogno - è l'intro vocale in ''Pharmacology'', dove la sua voce, grazie al sapiente uso della loop station, riesce a costruire un fitto tappeto sonoro melodico e armonico da cui prende avvio il brano.

Dopo aver ascoltato questo disco non si può fare a meno di pensare a cosa altro avrebbe potuto sfornare il sodalizio tra Cusa e Lenoci, tristemente scomparso il 30 settembre 2019. A me resta il rimpianto di non aver potuto conoscere di persona il pianista pugliese, nonostante fosse venuto di recente a suonare a Venezia proprio con il ''Meister'' Cusa. Perciò non mi resta che congedarvi con alcune bellissime parole dedicategli dal batterista catanese dalle pagine di ''Musica Jazz'' e da una poesia dello stesso Cusa, contenuta nella raccolta ''Canti Strozzati''.

''Lo scopo dell'artista è quello di generare costantemente nuove utopie. Per i veri poeti, profeti e veggenti l'accesso alla mitologia non passa attraverso le categorie della scienza. Gianni era uno di essi: conservava dell'approccio razionale la necessità metodologica che traduceva poi in téchne, ossia in quel misto di sapienza, creatività e tecnica funzionali alla sua (nietzschiana) volontà di potenza. In realtà egli continuerà a risuonare perché, paradossalmente, la deflagrazione muta della sua scomparsa si sta rivelando immane vibrazione sonora, e il suo essere stato ''inaudito'' in vita, nel senso più profondo della parola, ossia di ''non ascoltato prima'', diviene densità e nucleo di valori archetipici e, dunque, in larga parte invisibili''.

Fiori di Maggio

Me ne andrò
Come se ne vanno tutti
Nel silenzio della vita
Che ristagna nei cuori
Di chi rimane.

- Link -

https://open.spotify.com/album/2WRYgOmduSMBwDCNAoskn1

https://www.amazon.it/Uncle-Giano-Bifronte-Francesco-Cusa/dp/B0848LQXR9/ref=sr_1_fkmr0_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=giano+bifronte+casa&qid=1586524759&sr=8-1-fkmr0

https://www.amazon.it/Canti-strozzati-Francesco-Cusa/dp/8867703439/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=canti+strozzati+cusa&qid=1586524786&sr=8-1

Francesco Cusa e il giano bifronte Di Ettore Garzia - 30 Marzo 2020031 - il:2020-03-30

http://www.percorsimusicali.eu/2020/03/30/francesco-cusa-e-il-giano-bifronte/?fbclid=IwAR0emkNtu2wG8uA9pOtwQCxzVMwWZ4sp3Wt9oCUFfbUpMAQtY7YPM3iXxTU

Francesco Cusa e il giano bifronte
Di Ettore Garzia - 30 Marzo 2020031

Il Giano è un dio che esibisce due facce speculari, una che guarda indietro e l’altra avanti. Sebbene non ci sia una certezza piena sulle origini di questa figura, è certo invece che furono i Romani ad utilizzarla nell’antichità: comparse nei discorsi degli uomini come figura simbolica per incoraggiare il movimento e la relazione tra passato e futuro, poi acquistò rilevanza al punto di comparire nelle monete, nell’arte e nella rappresentazione simbolica di luoghi (porti, passaggi, archi, etc.) e paesi. Oggi, la sua limpida osservazione suscita sensazioni contrastanti, perché se da una parte spaventa l’innaturalità della connessione dei due volti, da un’altra emerge un segnale potente, di una società che persiste e che aderisce ad un principio di continuità: coloro che sono particolarmente attratti dalle forme del sapere e dalla scienza sacra posta in essere dai popoli antichi, trovano in questa figura pane per i loro denti, percependone persino una valenza metafisica. Francesco Cusa, scrittore e musicista di cui in queste pagine ho sempre evidenziato le specificità, è certamente uno di quegli uomini che può essere ricompreso in coloro che sposano l’interesse per la cosmologia o l’esoterismo spiegato in modo scientifico ed in connubio con la musica e basterebbe andare sulla sua pagina facebook, costantemente aggiornata di letture e considerazioni, per rendervene conto. La musica ne è stata investita tramite il jazz, modalità d’espressione che invero poco si prestava a questo tipo di congiunzioni, ma che Cusa ha sfruttato mettendo assieme pezzi trasversali del jazz, curandosi di aggiornare anche il carattere letterario della scoperta, portato spesso nei concetti dell’antinomia e fugando la saggistica che pesca nel fantastico, nel finto o nell’assurdo. Se la musica jazz ha un umore, può accogliere anche questi significati.
Il doppio cd che Francesco ha appena pubblicato è un Giano bifronte di due formazioni: la prima (forse quella che guarda al passato?) è sostanzialmente un quartetto con il contrabbassista Ferdinando Romano, il sassofonista Giovanni Benvenuti e soprattutto con il compianto pianista Gianni Lenoci, grande amico di Cusa, a cui questo cd viene dedicato con poesie appositamente scritte per lui; dall’altra (quella che guarda al futuro?) il quartetto si forma con gli Assassins, sempre con Romano e Benvenuti, ma con Valeria Sturba a voce, violino, theremin ed elettronica leggera. Appositamente ho inserito delle domande in parentesi, ma avverto che non hanno risposta perché devono funzionare anche al contrario: chi può rilevare quale dei due esperimenti musicali sia più “moderno” dell’altro? Anche la musica non vi darà nessuna mano alla risoluzione: quello di Cusa è un post-bop jazzistico che spesso alza il livello delle sue caratteristiche di astrazione. Fondamentalmente sembra di assistere ad un incrocio tra il Pithycanthropus Erectus di Mingus e l’Heavy sounds di Elvin Jones & Richard Davis, ossia tra il Mingus meno blues e le esalazioni di Jones dovute al lavoro sui piatti; è lo stile di Cusa, che ha affrontato molti argomenti sul suo cammino con questo stile e che continua ad oscurare gli umori come fece nel suo ultimo trio “distopico” con Lenoci e Martino. Lui si muove sull’esatta dinamica del ritmo, scandendo implacabilmente i tempi e lasciando a Lenoci lo spazio per muoversi sulla tastiera con ricerca di soluzioni. Qui i compiti di Gianni erano anche di incartarsi volutamente sulle note e provocare lo sviluppo dell’interplay nello spazio musicale.
Gli argomenti condivisi con The Uncle e The assassins stavolta coinvolgono anche l’antropofagia, la cospirazione, la farmacologia e colgono un riferimento al Dr. Akagi, personaggio decadente di un libro che proviene dalla letteratura giapponese degli anni cinquanta (Sakaguchi Ango), in cui si narrano le storie di un disturbato dottore che è ossessionato da una malattia al fegato. E’ un testo che vi apre culturalmente altre porte e che potreste approfondire non solo con il film di Imamura Shōhei che ne ripropone il contenuto, ma anche leggendo la letteratura giapponese setsuwa, ispirata agli aneddoti buddisti diventati popolari nel medioevo: sono storie con trama ed azione guidata, con elementi narrativi a sorpresa che hanno anche un valore educativo. Nel cd con gli Assassins, la relativa traccia che si riconduce al Dr. Akagi è nelle mani di un arrangiamento lussuoso e distraente, poiché Benvenuti e la Sturba producono un notevole arricchimento delle situazioni musicali; mentre il primo mostra un’eleganza e pulizia di suono a servizio di un jazz che spesso si spinge in territori più free, la seconda è l’asso nella manica di Cusa, perché rilancia le strutture vocali, rende caustici i dispositivi elettronici, crea temi o membrature ritmiche con le sovraincisioni della voce, nonché ad un certo punto esibisce persino un campionario di vocalità aperto alla sua modificazione: è gospel, angelico, urlato drammaticamente come una Medea, avanguardista alla maniera di un Voice Piece di Yoko Ono.
In The Uncle (Giano Bifronte) Cusa vi ha offerto un giardinetto di cultura e di musica. Sappiatene prendere i frutti.

"The Uncle" su "All About JAzz" - il:2020-03-27

https://www.allaboutjazz.com/fredrik-lundin-francesco-cusa-and-gianni-lenoci-lisa-mezzacappa

Su "All about jazz" una bellissima trasmissione che vede ben due passaggi per l'ultimo mio doppio cd "The Uncle", dedicato a Gianni Lenoci, con Gianni Lenoci, Valeria Sturba Giovanni Benvenuti Ferdinando Romano.
- Francesco Cusa Trio "Pharmacology" from The Uncle (Giano Bifronte) (Improvisattore Involuntario) 34:05
- Francesco Cusa & The Assassins "Dr. Akagi" from The Uncle (Giano Bifronte) (Improvisattore Involuntario) 40:03
Assieme a noi, Gianni Lenoci, Piero Bittolo Bon, la carissima Lisa Mezzacappa, Christian McBride, the Denis Colin Trio, Matana Roberts, David Liebman ecc.

Recensione per SentireAscoltare di Nazim Comunale Francesco Cusa & The Assassins / FCT Francesco Cusa Trio feat. Giovanni Benvenuti – The Uncle (Giano Bifronte) - il:2020-03-26

https://sentireascoltare.com/recensioni/francesco-cusa-the-uncle-giano-bifronte/?fbclid=IwAR3pCUgHzOdSWN5dYzHrhldcifCV84BNsu83_MqX-xJZiJrTeuNaOS8nAl0


Francesco Cusa & The Assassins / FCT Francesco Cusa Trio feat. Giovanni Benvenuti – The Uncle (Giano Bifronte)
Improvvisatore Involontario, Kutmusic

Macrobio, uno scrittore grammatico romano del V secolo, autore dei Saturnalia, scrive: “Il mondo va sempre muovendosi in cerchio e partendo da sé stesso a sé stesso ritorna”. A questa idea, e chissà a quante altre, pare rifarsi il nuovo disco del batterista catanese Francesco Cusa, The Uncle (Giano Bifronte), pubblicato da Improvvisatore Involontario e Kut Music.
Cinque composizioni , dense e lievissime al tempo stesso, suonate da due formazioni diverse, formula che Cusa aveva già sperimentato in passato. Da un lato il Francesco Cusa Trio con Ferdinando Romano al contrabbasso e Gianni Lenoci, grande musicista ed intellettuale pugliese scomparso sei mesi fa, al pianoforte, con Giovanni Benvenuti ospite al sax tenore; dall’altro The Assassins, che avevamo avuto già modo di apprezzare in Black Poker, ovvero di nuovo Benvenuti, Cusa e Romano con Valeria Sturba di ooopopoiooo a voce, theremin , violino e live electronics. Il musicista siciliano, autore delle cinque composizioni, dense e lievissime, rigorose ( Romano al contrabbasso tiene il passo di Cusa con disinvoltura) e piene di aria, di spazio, forse per celia, forse per una qualche forma di personalissima ritrosia, sostiene oggi di non ascoltare jazz: eppure questi pezzi sono imbevuti fino al midollo di Storia, di conoscenza della materia (il nostro è docente di batteria al Conservatorio), che viene vissuta, filtrata, poi sputata, sbattuta a terra con delicatezza assassina e reinterpretata con sacrilega devozione, con un piglio sghembo e beffardo che accoglie e al tempo stesso piglia alla gola senza mollare la presa.
Lo swing da cartone animato psichico di Antropophagy, dove si visualizza quasi la faccia scontrosa di James Cagney e si immagina una banda di manigoldi tramare una qualche malefatta in bianco e nero, il tutto al ritmo di un fraseggio essenziale e articolato al tempo stesso che poi deraglia in un beat quasi hip hop , che fa pensare allo Steve Coleman (ottimo davvero Benvenuti, nitido e puntuale, lirico e ficcante) più essenziale ed in generale al miglior jazz di casa PI Recordings. Il discorrere bop cristallino di Cospirology che poi fiorisce in strutture più astratte dove Lenoci, senz’altro uno dei musicisti più grandi che l’Italia ha avuto nella musica creativa, ha modo di dispiegare pienamente la sua arte . La parte centrale del pezzo, vertiginosa e libera, fa riflettere proprio su quanto abbiamo perso con la morte del pianista di Monopoli, scomparso a soli 56 anni. Il secondo dei due cd qui presenti è infatti una delle ultime testimonianze del suo magistero, che interagisce alla perfezione con la scrittura acuta e ironica di Cusa, intellettuale senza essere cervellotica, complessa senza essere complicata. Nessuna delle tracce presenta uno sviluppo prevedibile: Dr. Akagi, dopo un abbrivio classico, con un drive sostenuto ed unisoni serrati , si apre, si sfrangia in un deriva verso il mare aperto, dove le correnti del jazz e del Novecento si incontrano (ad un certo punto il mio orecchio ha intuito addirittura un’ombra fugace de La sagra della primavera di Stravinsky nel fraseggio di Benvenuti).
E il disco prosegue così, in bilico tra tradizione ed invenzione, tra rivelazione e meditazione, con una sottile ed abissale filosofia ad informarlo. Ricordiamoci però che Giano, a cui il disco è intitolato, donò la civiltà agli Aborigeni, gli originari abitanti del Lazio ed accolse Saturno, consentendogli di portare l’età dell’oro: proprio per questo Giano divenne Bifronte, ricevendo dal dio il dono di vedere sia il passato che il futuro. E, allora ecco che il passato (questo secondo cd, la morte di Lenoci) ed il futuro (il primo, e ciò che sarò dopo) formano, come dicono le note, una cosa solo, un tempo triplo che, come gli occhi di Shiva, contiene tutte le realtà. Gli stessi pezzi che abbiamo ascoltato partendo volutamente dal secondo cd suonano diversi e uguali in quello suonato dagli Assassins, dove emergono forti le memorie delle varie scorribande passate di Cusa; la Sturba è protagonista di incursioni dirompenti da monella dispettosa e geniale ed in generale c’è un tiro che diremmo (molto) sommariamente più rock , che non scade mai però in una mera esposizione di muscoli, ma anzi dimostra come la medesima materia possa essere vista e suonata secondo prospettive divergenti eppure (sembra una contraddizione, e lo è, ma se sei senza contraddizioni, sei senza possibilità, diceva quello) coerenti all’interno di un delirio lucido ed esatto.
Un doppio torrenziale e pieno di idee (Manga e filosofia, Real Book e videogames, complotti e galassie), divertente e stimolante, un mare magnum perfetto in cui tuffarsi in questi giorni di tempo dilatato, corredato anche da quattro poesie per Lenoci (Cusa è un prolifico scrittore), da cui estrapoliamo un frammento calzante per la chiusa: Quando qualcosa si spegne/ si coltiva la speranza. /Quando qualcosa si spegene/ si ravvivano le ceneri. /Quando qualcosa si spegne scalcia furente il cavallo/Quando qualcosa si spegne /scorre il rosario nella preghiera./ Quando qualcosa si spegne / la divisa del soldato perde un bottone.
26 Marzo 2020

Recensione Luigi Onori THE UNCLE. - il:2020-03-21

Recensione Luigi Onori THE UNCLE.

Puntata num. 81 per "Il Tempo di Un Altro Disco" di Fabio Ciminiera. - il:2020-03-18

Puntata num. 81 per "Il Tempo di Un Altro Disco" di Fabio Ciminiera. In questa puntata, assieme a tante belle cose, è passato un estratto dal mio ultimo cd "The Uncle" uscito per Improvvisatore Involontario e Kutmusic. La doppia versione di una mia composizione "Pharmacology" è stata trasmessa (min 45 circa): con Giovanni Benvenuti Ferdinando Romano Valeria Sturba Gianni Lenoci Francesco Cusa
Puntata del 15 marzo 2020 | Playlist | Aaron Diehl: Kaleidoscope Road | Aaron Diehl: March from Ten Pieces for Piano | Fabian Rucker 5: Hypocritical Mass | Fabian Rucker 5: Phrenology | Weidner/Dumoulin/Graupe/Terzić: Trainride | Francesco Cusa & The Assassins: Pharmacology | Francesco Cusa Trio + Giovanni Benvenuti: Pharmacology | Mette Juul: You Must Believe In Spring | Laura Avanzolini & Michele Francesconi: Overjoyed | Kelley Johnson: You do something to me | Aaron Diehl: Treasure’s Past. http://www.radiostart.it/blog/2020/03/15/il-tempo-di-un-altro-disco-puntata-81/?fbclid=IwAR3m3w1b9DVbMHItsVDG10BQg2XOGsDIFn5QgNrVHPWMidXvTrs63ZgUeHY