Francesco Cusa & The Assassins al Zomer Jazzfietstour in Groningen - il:2014-06-18
Recensione del mio libro "Novelle Crudeli" su "Letteratura Horror" - il:2014-05-13
Pubblicato Tuesday, 13 May 2014 12:00
“Novelle crudeli. Dall'orrore e dal grottesco quotidiani” di Francesco Cusa è la nuova uscita Eris Edizioni
Dopo aver visto la luce nel 2012 in una versione limitata e rilegata a mano, torna in libreria la raccolta di racconti del musicista jazz Francesco Cusa dal titolo Novelle crudeli. Dall'orrore e dal grottesco quotidiani.
A impreziosire il volume edito da Eris Edizioni troviamo le illustrazioni tetre e di fortissimo impatto di Daniele La Placa.
TRAMA – In Novelle crudeli il lettore si trova davanti a una galleria di personaggi al limite di una follia interiore, profondamente inquietante nella sua banalità e che li divora da dentro piano piano, conducendoli alla costruzione di un spaventoso paesaggio interiore che squarcia la loro vita senza concedere loro un’istante di lucidità, neanche poco prima della loro inesorabile fine. Anzi, in quasi tutte le sue storie, Cusa, rappresenta la trasfigurazione finale dei corpi e delle anime dei personaggi nelle loro malattia compulsiva, da cui forse possono riscattarsi solo con la loro morte fisica, morale o attraverso la loro totale incoscienza; perché di fatto si tratta di un’umanità malata incapace di redimersi. Non a caso ogni singolo racconto non è costruito secondo i canoni di una narrazione classica, non è l’intrattenimento puro che si prefigge l’autore, né deve essere l’aspettativa del lettore: i racconti contenuti in Novelle crudeli sono più che altro dei ripugnanti canti finali di un’umanità che compie la sua alienazione nel grottesco.
L'AUTORE - Francesco Cusa è nato a Catania nel 1966. È batterista e compositore jazz di fama internazionale. Attivo nell’ambito dell’interdisciplinarietà artistica, ha realizzato numerosi lavori di creazione di musiche per film, spettacoli teatrali e letterari, danza e arti visive, collaborando con noti ballerini, poeti e visual performers. Alterna la carriera da musicista a quella di scrittore e critico cinematografico. Collabora con le riviste Lapis e Cultura commestibile su cui cura la rubrica Il cattivissimo. Alcuni dei racconti presenti in questa raccolta, sono stati editi per la prima volta in diverse antologie collettive da Giulio Perrone Editore, e nel 2012 erano stati pubblicati, in edizione limitata e rilegata a mano, sempre con il titolo Novelle crudeli, da Eris Edizioni.
ILLUSTRAZIONI – Daniele La Placa è nato nel 1979. Appassionato da sempre al disegno in tutte le sue forme, dal 2007 lavora nello studio torinese di illustrazione LibellulArt. Nel corso del 2011 alcuni suoi lavori vengono pubblicati sulla rivista Frigidaire e nel 2012 realizza alcune illustrazioni per i libri Fragili Mutanti e L’allevatore di farfalle, editi da Eris Edizioni.
SCHEDA DEL LIBRO
Titolo: Novelle crudeli. Dall'orrore e dal grottesco quotidiani
Autore: Francesco Cusa
Editore: Eris Edizioni
Illustrazioni: Daniele La Placa
Collana Atropo
Data di Uscita: maggio 2014
Pagine: 304
Prezzo: 14€
Una mia intervista del 2008 per la rivista SENTIRE E ASCOLTARE, a cura di Daniele Folliero. - il:2014-04-21
Il superamento della New Thing. Da Anthony Braxton a Improvvisatore Involontario
“Improvvisazione: libera invenzione di un brano musicale nel momento stesso dell’esecuzione”. Questa la definizione “ufficiale” di una pratica musicale vecchia quanto la musica. Ma l’improvvisazione non è solo una tecnica compositiva. Almeno non per tutti. Inteso in senso più lato, l’atto dell’improvvisare è un atteggiamento, un attitudine che, lungi dall’essere propria dei soli musicisti, accompagna l’uomo in tutta la sua vita, nelle sue azioni quotidiane, dal parlato al movimento. Per qualcuno è diventata una filosofia o uno stile. I jazzisti, in particolare, certi jazzisti, ne hanno dato un significato addirittura politico, legato al senso di libertà e di liberazione. Il free jazz, portando alle estreme conseguenze questo obiettivo, ha elevato l’improvvisazione ad elemento formale indipendente, aprendo la composizione ad un numero illimitato di combinazioni e soluzioni e avviando, a braccetto con le altre avanguardie musicali, la dissoluzione dei linguaggi tradizionali e per qualcuno il culmine e la morte del jazz stesso. Free Jazz di Ornette Coleman sarebbe stato, dunque, per il jazz, ciò che è stato Le Baccanti di Euripide per la tragedia classica? Un “ground zero” dal quale ripartire senza più certezze, con il rischio di cadere nel già detto. Una condizione dalla quale i jazzisti, a partire dagli anni ’60, hanno dovuto riprendere il discorso, affrontando i problemi creativi della post-modernità. Con la radicalizzazione di un linguaggio portato alle estreme conseguenze, la generazione successiva, figlia del free, ha puntato tutto sulla contaminazione, con la finalità di creare una linea di continuità con le origini e la storia di un genere che sentivano ancora vivo e in evoluzione. La New Thing, la fusion, il Miles Davis elettrico rappresentano i quadri più significativi delle numerose strade che ha preso il jazz per ritrovare sé stesso.
Parola d’ordine: abbandonare lo stereotipo ed evitare in tutti i modi di cadervi, in una fase in cui il rischio di scadere nel banale revivalismo era (ed è ancora) più forte che mai. L’allontanamento del jazz d’avanguardia dalle sue radici “popolari”, ha provocato, dopo l’esplosione del free jazz, uno scollamento tra le espressioni più colte di questa musica e la sua anima più “popular”, trasformatasi in sterili stereotipi folkloristici dai fini puramente commerciali o in schematici accademismi. Lo scopo di chi voleva risollevare le sorti di una musica che non apparteneva più agli afroamericani e alla loro causa, ma al mondo intero, doveva tenere in considerazione la necessità di provare a ricucire. Compito non facile per gli eredi diretti di chi aveva fatto crollare i pilastri della forma jazzistica, un po’ più agevole per le più giovani generazioni, nate e cresciute sotto la luce del tramonto del secolo passato e dei suoi sogni rivoluzionari. Generazioni meno radicali, ma non per questo poco creative, che hanno conosciuto la maturità del rock e la globalizzazione dei linguaggi. Generazioni per le quali mescolare è più importante che radicalizzare. E’ qui, in questo atteggiamento di apertura a 360°, meticcio per sua stessa natura e in contrapposizione alla scelta di un cammino evolutivo unidirezionale, tipico delle avanguardie, che risiede la trasformazione delle nuove forme di jazz che hanno accompagnato questa musica nel passaggio al nuovo secolo. Negli anni 2000 convivono sotto lo stesso ombrello Anthony Braxton che suona con i Wolf Wyes, il jazz core degli Zu, quello “scandinavo” di Mats Gustafsson e l’elettronica di Xabier Iriondo. Un vero e proprio movimento, una rete “open source”, praticamente senza limiti e confini, accomunata da pochi ma solidi principi. Tra questi, ovviamente, il primo e più importante, è l’improvvisazione. Siccome i nomi ai movimenti artistici si danno sempre (e giustamente) a posteriori, accontentiamoci, almeno per conferirle un senso di continuità, di chiamarla “New” New Thing.
Anche l’Italia ha il suo ruolo in questa storia. E non è un ruolo secondario. Band come i già citati Zu, musicisti come Paolo Angeli, Paolo Fresu, Gianni Gebbia, si possono considerare internazionali a tutti gli effetti, sia per quanto riguarda le collaborazioni, sia per quello che concerne la produzione e la distribuzione. Da pochi anni, si è inserito, nel panorama jazzistico italiano, un soggetto davvero particolare. Una specie di consorzio, di associazione libera di jazzisti con tanto di decalogo: dieci Prolegomeni all’iniziazione del “perfetto” Improvvisatore Involontario, una sorta di figura di jazzista autoironica e iper-consapevole. Nata all’incirca tre anni fa da un’idea di Francesco Cusa, batterista catanese e presidente della “assemblea degli adepti”, l’associazione-label ha già superato la decina di titoli, distinguendosi per la freschezza delle idee e l’originalità dei progetti, che vedono ruotare al loro interno musicisti “di razza” come Gianni Gebbia, Riccardo Pittau, e lo stesso Cusa, maestro del trasformismo con il dono dell’ubiquità. E’ proprio lui che, con grande voglia di raccontare la sua musica e quella degli altri, ci ha parlato non solo della “sua” creatura, Improvvisatore Involontario, ma anche e più in generale, di come un jazzista che tale si considera oggi senza se e senza ma, vede il jazz.
“Dalla prigione non si può scappare da soli” – Intervista a Francesco Cusa
Improvvisatore Involontario, se non mi confondo con le date, ha compiuto o sta per compiere tre anni di vita (di sicuro ne sono passati tre dalla prima uscita a firma Skrunch). Come è nata l’idea di creare un’etichetta che fosse anche un collettivo? E, soprattutto, perché? Esiste una “mission” (come si direbbe in linguaggio aziendale!)?
L’idea nasce da un approccio differente a quello solito dei collettivi artistici, ovvero dalla necessità di condividere non solo attitudini specifiche relative al contesto espressivo di riferimento (nel jazz ad esempio, le idiosincrasie tipiche del genere: problematiche relative alla scrittura, allo studio dello strumento, ed all’organizzazione dei concerti, ecc..). Per fare questo era necessario "spogliarsi" di tante corazzature e quindi aprirsi verso un universo non chiuso, in cui le istanze ed i "tic" di altre forme artistiche venissero a contaminarci, rendendo via via sempre meno "urgente" ogni singola e contestuale impasse quotidiana. Diceva Gurdjieff che dalla prigione non si può scappare da soli. Bene, questo è senz’altro il nostro obiettivo, la nostra "mission"; con ciò intendendo fuga dalle logiche vetuste che a tutt’oggi sembrano determinare la prassi dell’organizzazione artistica, quantomeno in Italia. Non è facile, soprattutto farlo senza un soldo di contributo, autofinanziandoci.
Molte produzioni dell’etichetta fanno capo a te in qualche modo (in qualità di musicista sei quasi sempre presente). Sei solo nelle scelte che riguardano le proposte musicali di Improvvisatore Involontario?
Questa è una tendenza che col tempo mi auguro verrà "riequilibrata". Ciò deriva in parte anche dal fatto che dentro I.I. stanno anche musicisti non professionisti, fotografi, videoartisti, simpatizzanti. Non sono il solo, anzi, ti dirò di più, non decido nulla rispetto alle scelte della label! All’interno di I.I. vi sono alcune commissioni che si occupano di gestire i lavori: ve ne è una per la label, una per la distribuzione, una per i progetti ecc. Una sorta di falansterio a la Fourier del 2008!
Qual è il rapporto (professionale e personale) che intercorre tra i musicisti dei vari progetti?
Di grande stima, rispetto ed amicizia. La cosa di cui sono più contento è che all’interno della nostra realtà si procede più per scelte affini, quasi per automatismi. Raramente c’è da discutere animatamente. Ciò deriva anche dal fatto che alla base vi sono degli ideali strategici condivisi: comuni letture, ad esempio, che vanno da Sun Tzu, a Zizek. Un progetto come Naked Musicians (ci apprestiamo a registrare il secondo cd), consente poi al "collettivo" di esprimersi anche tramite i "non professionisti", ovvero musicisti che non fanno questo di mestiere. I risultati sono sorprendenti.
Visto che non viviamo nell’eden, ma in una società capitalista a tutti gli effetti, nella quale qualsiasi esperimento deve misurarsi con un mercato: quali sono, oggi, le difficoltà che un’etichetta indipendente come I.I. incontra sul mercato musicale? In pratica: riuscite a vivere con la vostra musica?
Alcuni di noi si, a fatica, stante la situazione di monopolio nei più grandi festival italiani: suonano più e meno sempre gli stessi soliti noti. L’etichetta ha un’ottima visibilità, e comincia ad essere ben distribuita anche all’estero, ma i margini di vendita per queste musiche, come tu sai, sono irrisori. Aggiungici anche l’attuale crisi del "supporto cd" ed avrai un quadro esaustivo. Di positivo c’è che i nostri prodotti vengono richiesti sempre più, e che si comincia a percepire il carattere ampio della nostra proposta, di cui il cd non è che un aspetto.
Esiste un progetto dietro Switters, Feet Of Mud, Riccardo Pittau Congregation e Skrunch? O si tratta di semplici “combinazioni” di musicisti che mettono a disposizione di un gruppo il loro stile? Quanto c’è di collettivo e quanto di individuale in questi diversi soggetti musicali?
Per fortuna all’interno di I.I. prevale il criterio della libertà assoluta di scegliere cosa fare del proprio scalpo. Quindi i progetti scaturiscono da necessità che possono fortunatamente anche prescindere dalla logica di I.I. Alcuni dei musicisti che fanno parte di questi progetti non sono iscritti a I.I.: per es. Gianni Gebbia, Vincenzo Vasi, Stefano Senni o Paolo Angeli. Skrunch poi è un mio progetto decennale che nasce da esigenze compositive di un certo tipo. E’ anche vero il contrario, ossia che la struttura di I.I. offre l’opportunità anche agli "esterni" di partecipare indirettamente ad un flusso concreto, ad un’organizzazione che porta a determinate finalità, la morfologia "aperta" della nostra realtà consente agli iscritti di farne parte a più livelli, e questo finisce col conferire prerogative di "movimento" ad I.I. piuttosto che di collettivo. Come dico sempre chiunque può entrare e farne parte, purché condivida gli obiettivi ed abbia certe caratteristiche: chiunque; dal musicista militante al collezionista feticista, passando per il consumatore compulsivo e l’amante del gioco d’azzardo.
Suonare in diverse formazioni è sempre stata una caratteristica dei musicisti jazz. Ti riconosci nell’appellativo di “jazzista”?
Assolutamente si. Io sono un "jazzista" nel senso più tradizionale del termine. I miei modelli sono quelli della tradizione: Elvin Jones, Joe Morello, Buddy Rich, Jack Dejohnette, Joey Baron. Il problema è che oggi questa terminologia è talmente contaminata e costellata di sottotesti da indurre il buonsenso a liberarsi di questa tuta da centrale atomica. Ma la trappola è oramai scattata da tempo: siamo tutti "consumatori", quindi è perfettamente vano contrapporsi in maniera sciocca a processi inarrestabili. Ovviamente questo rientra in una logica che comprende molto altro, non solo il jazz. E’ processo inderogabile che investe la politica, la scienza, il mercato, il marketing e via discorrendo. Il termine "jazzista" dunque mi va benissimo: e come epidermide e come camuffamento.
Come nasce il Francesco Cusa musicista? Qual è la tua storia, il tuo background?
Nasco metallaro e autodidatta. Poi Siena Jazz, Bologna, il Dams… Ore di studio sullo strumento. Una febbre che si lascia dietro le mie vere passioni: cinema e letteratura….certo che nascere metallaro e morire jazzista è una bella sfiga!
Che rapporto c’è, nelle tue composizioni, tra improvvisazione e pagina scritta?
Questa è una bellissima domanda. Oserei dire simbiotico. Non sono interessato all’improvvisazione, come io la definisco, "astratta". Sono interessato "comunque" alla creazione di strutture, di cellule. Per fare ciò mi circondo abitualmente di partner ideali, come Vasi, Senni, Natoli, Pittau, Scardino, Sorge, Bittolo Bon, Bigoni, Gallo, Gebbia, Squassabia, De Filippo…gente veloce nel tradurre il pensiero in atto, creature mutanti con antenne al posto delle orecchie. Il mio approccio compositivo, viceversa, deve molto all’improvvisazione; spesso seguo dei flussi che poi imprigiono all’interno di strutture e griglie semplici e complesse. Sono stato molto influenzato da Steve Coleman e dalla mia breve ma intensissima esperienza con un gigante della musica contemporanea quale Tim Berne. Devo inoltre molto ad un mio grande e giovanissimo Maestro: il grande Alfredo Impullitti, prematuramente scomparso, le cui lezioni di composizione rimangono bagaglio indispensabile per la mia formazione di musicista e di essere umano.
Come musicista, ma soprattutto come improvvisatore, preferisci lavorare in contesti strutturati o ti trovi più a tuo agio nell’improvvisazione libera?
Dipende. La musica è portato di un individuo e di una certa personalità. Ho avuto la fortuna di suonare una volta con Steve Lacy. Bene "la musica era lui" non la sua partitura o il suo brano. Diciamo che il resto era un’emanazione, un suo riverbero.
Come nasce il rapporto tra Switters e Wu Ming? C’è, alla base, l’intenzione di legare musica e letteratura sperimentale?
Sono un assiduo lettore dei romanzi di Wu Ming. Più che altro c’era una necessità di confrontarsi su tematiche comuni e che ci stavano a cuore. In questo senso gli argomenti esplorati con il primo Switters (i romanzi di Tom Robbins e quelli di Wu Ming) andavano a toccare aspetti ovviamente extramusicali: la corruzione della CIA, le derive della globalizzazione, corsi e ricorsi storici rivisitati per una diversa lettura del presente. Col romanzo poi di Wu Ming 1 "New Thing", la collaborazione è diventata un vero e proprio reading, con stralci del romanzo letti da un Wu Ming 1 incappuciato, e nostre sonorizzazioni. Adesso, nell’ultimo cd "Current trends..", Wu Ming1 ha un ruolo fondamentale, quello del caustico menestrello fustigatore, traghettatore d’ "anime"(ops!) sventurate ed in procinto d’attraversamento delle pure e mefitiche acque dell’infernale e minerale Lete. Così almeno noi immaginiamo il nostro sfortunato ascoltatore.
Il jazz compare come un elemento innegabilmente fondante di tutte le formazioni che ruotano attorno all’etichetta e molti dei musicisti provengono per lo più da esperienze jazzistiche e improvvisative (Vasi, Gebbia, tu, Angeli, Pittau). Tuttavia mi sembra che, con punti di vista diversi, ciò che più vi unisce è l’intenzione di creare una nuova fase, un superamento di quella che è stata la New Thing e i suoi diretti derivati. Un superamento dell’esperienza radicale del free attraverso l’eterogeneità, l’apertura dei confini. In definitiva (e ammesso che tu condivida questo mio punto di vista), credi che il jazz possa sopravvivere alla contaminazione e continuare ad imporsi come genere riconoscibile ed autonomo?
Ci sono cose ben più importanti, o altrettanto importanti del jazz, (questo dipende: ho visto boppers mutare geneticamente e non mangiare per settimane) a rischio d’estinzione. L’appiattimento nelle cosiddette "società dei consumi" produce un livellamento verso il Basso. A rischio è la naturale "biodiversità" della specie, della flora e della fauna. E quindi del "jazz". Questo è un paradosso, poiché proprio l’apparente abbattimento delle frontiere della comunicazione, Internet ecc., genera, nella molteplicità dell’offerta, un indotto capace di creare "illusioni" di libera scelta. Di fatto consumiamo quello che ci viene imposto surrettiziamente. Dalla carta di credito alla catena del supermercato è tutto un percorso ingannevole verso il miraggio del "libero arbitrio". Nominalisticamente quindi, forse mai come adesso, il cosiddetto "jazz" ha avuto lustro, è diventato "prodotto", gadget da offrire assieme al quotidiano e al al giornaletto. Nell’essenza a me sembra prevalga un freudiano impulso di morte.
Mats Gustafsson è solo uno dei tanti musicisti scandinavi che oggi si affermano a livello europeo e mondiale, soprattutto nel campo della musica indipendente.
Che le nuove frontiere del jazz, (la “new new thing”, come mi è capitato di chiamarla, provando a definire una musica libera di sconfinare a piacimento rimanendo comunque fortemente connotata) risiedano nelle fredde terre del nord e siano “bianchissime”?
Sicuramente al Nord Europa ci sono più soldi. Più finanziamenti per questo tipo di, come definirli, "approcci all’improvvisazione?", e di conseguenza maggiori possibilità per i capricci creativi del musicista. Lapalissiano. Qui siamo nella Terra di Nessuno. Impossibile o difficilissimo per un musicista d’avanguardia reperire fondi per pagarsi le spese di viaggio che gli consentirebbero di muoversi e diffondere altrove la propria musica. Da altre parti è una prassi consolidata.
Tu sei catanese, ma ti sei formato artisticamente a Bologna. Quali sono le principali differenze che noti tra una città dell’Italia del nord, con una discreta tradizione sia jazzistica, sia d’avanguardia, e una città del profondo sud?
Catania mi sembra una città piuttosto creativa e dinamica. Molto più di Bologna. Purtroppo è vessata da una disastrosa gestione politica e della cosa pubblica. Quando arrivai a Bologna, nei primi anni novanta, la città era tutto fuorché fucina di creatività. Era musicalmente molto chiusa e conservatrice. L’esperienza di Bassesfere è stata formativa in questo senso. Il problema, che determina la differenza tra le due città, è esclusivamente geografico. La Sicilia, checché se ne vociferi, è un’isola, prossima e distante.
27 Luglio 2008 di Daniele Follero
Recensione di Francesco Cusa Vocal Naked per Jazzit - il:2014-04-19
Recensione discografica russa di Francesco Nurra "Diario di un pazzo", su "Jazzquad" - il:2014-04-14
Nel 1834 , lo scrittore russo Nikolai Gogol ha scritto " Diary of a Madman ". Nel 1918 , lo scrittore cinese Lu Xun ha scritto " Diary of a Madman ". Nel 2014 , musicista italiano Francesco Nurra pubblicato l' album " Notes ( o blog) di un pazzo . " Nurra dice che il titolo dell'album preso in prestito da Lu Xun . Lu Xun ha confessato che la sua idea di storia è nata sotto l'influenza delle opere di Gogol . Gogol amava l'Italia e gran parte della sua vita a Roma . Circle .
Perché una escursione tale storico-letteraria ? Sì per il fatto che, nonostante le differenze di tutte e tre le opere e le sfide poste dai loro creatori , condividono un paio di cose - la dichiarazione del l'assurdità del mondo e il fatto che l'unico riconosciuto " pazzo" , cercando di lato , è in grado di evidenziare la particolare società in cui egli deve vivere . Nurra Francesco ed i suoi colleghi fanno di questo progetto significa avant- garde jazz.
Parlando dei colleghi . Anche la copertina dell'album ha un solo nome - Francesco Nurra , ruoli significativi nel Diario di un pazzo appartiene ad un'altra etichetta Improvvisatore Involontario stella Francesco , batterista , compositore e leader di diverse formazioni Amico visitatori costanti del nostro sito web per una serie di indagini . Cuza ha scritto non solo per il progetto , quattro delle dieci composizioni e suonare la batteria , ma nei tre tracce agito come direttore d'orchestra . Nello stesso numero di tracce Nurra condotto . E molto curioso di vedere che a questo proposito, io suono il concetto , anche se entrambi professano Francesco moderna musica creativa . Nurra emergenza - radicali liberi -jazz con una solida disintegrazione e melodiche e ritmiche solide basi , l'uso diffuso di elettronica , tra cui " live electronics " in relazione alla propria voce . Cuza - questa ricchezza di ritmi e stabilità del quadro di tutta la composizione , sapiente mix di voci e strumenti umani . Per quanto riguarda l'immaginazione creativa , allora entrambi i musicisti che più che sufficiente a giustificare il titolo dell'album .
Così , in combinazione con un eloquente Freaks titolo inglese , voce Nurra , Vincenzo Vasi e Martha Ravil ( gli ultimi due - membri dell'ensemble " Vocal " Musicians nudi guidati da Cuza ) e suono naturale , ed elaborati elettronicamente , si fondono in un culto quasi- buddista per poi passare quasi classico scat jazz. Voce della persona che svolge generalmente in questo progetto un ruolo speciale . In L'ora Panica - questo elegante solista , duo trasformare in voti a sfondo ritmo folle in Prima Che vengano a prenderci - sussurro melodeclamation , in alternanza con " annunciatore " liscio leggere il testo ( ahimè , l'ignoranza degli italiani ha reso impossibile valutare pienamente la composizione ) , e Non Aver paura della zia Marta - un vocalize all'avanguardia . Si distingue in composizione album, questa volta con un nome francese Pour en finir avec le jugement de dieu : a differenza di altre tracce , c'è un notevole impatto ritmi significativamente etnici africani . Beh , una posizione molto speciale nel copertine degli album , come se il pezzo finale Preghiera ( " Plea " ) , dove la poesia ( per inciso , Kuzoy scritta) suona come una preghiera sul suono background accademico sottolineato gli pianoforte e strumenti a fiato . Sto parlando di " come sarebbe il finale" gioco , perché dopo dovrebbe essere una bonus track , l'ascoltatore torna alla fantasmagoria suono caratteristico del disco nel suo complesso .
Diario di un pazzo - Lavori di volume in cui la composizione eterogenea uniti da una comune idea espressa nei nomi dell'assurdo di singole tracce , e l'album nel suo complesso . Può essere diverse valutazioni che non sono riusciti Francesco Nurra , più o meno , ma la vernice in luminoso e colorato tela intitolato " avant- garde italiano" Francesco Nurra potrebbe fare .
Recensione del cd SONATA ISLAND su Mahler per ALLABOUTJAZZ - a cura di alberto Bazzurro. - il:2014-04-14
CD/LP/Track Review
Sonata Islands: Meets Mahler (2013)
IN ITALIAN
By ALBERTO BAZZURRO, Published: April 10, 2014
Sonata Islands: Meets Mahler Non il Mahler di Uri Caine, o di altri che l'hanno rivisitato; non una rilettura, più o meno "traditrice," ma un tributo: ecco cosa ci riserva quest'ennesimo notevole album di Sonata Islands, un gruppo che, come si dice in questi casi, meriterebbe ben altra considerazione, ben altra attenzione, nel panorama del jazz italiano (e non).
Il Mahler che funge da suggestione-destinatario del lavoro è quello del Canto della terra (Das Lied von der Erde), partorito dal compositore boemo tre anni prima di morire partendo da un ciclo di antiche poesie cinesi. Ad aprire il CD sono due pagine di autori esterni al gruppo, l'una più breve (le altre superano tutte gli undici minuti), a fungere quasi da prologo, da antefatto, decisamente più ampia la seconda, che evidenzia già una bella coesione. E' tuttavia con la prima delle composizioni interne all'ensemble, "Non Mahler" di Simone Zanchini, che si ha l'impressione di entrare nel vivo del progetto. Ed è un vivo veramente tale, cioè vitale, pieno, a tratti addirittura squillante (allargando il discorso anche al successivo "Von der Schönheit" di Achille Succi), in apparenza persino quasi antitetico rispetto ai tratti poetici che si è soliti attribuire a Mahler.
Del resto ben poco importa: la musica funziona alla grande, ancor più nel composito "Around Mahler" firmato da Giovanni Falzone, arricchito da interventi solistici quanto mai ricchi, incalzanti, in particolare da parte dello stesso Falzone e di Succi al clarone. Senza dimenticare l'ampio compasso espressivo e la felicità di tratto degli insiemi.
Il conclusivo (e più ampio) "Commiato" si apre su un fitto dialogare clarinetto/ottavino, quindi tromba, contrabbasso e fisarmonica (voce quanto mai centrale nel tessuto timbrico del sestetto) e poi l'intero corpus a prendere via via il sopravvento come entità totalizzante, a suggello di un album come si diceva maiuscolo, che si spera, anche per la particolarità dell'operazione, possa finalmente convogliare attorno al gruppo le attenzioni che lo stesso meriterebbe già da un bel pugno d'anni.
Track Listing: Das Trinklied; Kind of Earth; Non Mahler; Von der Schönheit; Around Mahler; Commiato.
Personnel: Giovanni Falzone: tromba; Emilio Galante: flauto, ottavino; Achille Succi: clarinetto, clarinetto basso, sax alto; Simone Zanchini: fisarmonica; Stefano Senni: contrabbasso; Francesco Cusa: batteria; Tommaso Lonardi: voce in “Commiato”.
Record Label: Zone Di Musica
Recensione di Try Trio per la rivista Jazzcolours - il:2014-04-07
RECENSIONE-STRONCATURA di Francesco Cusa VOCAL NAKED "FLOWERS IN THE GARBAGE" - il:2014-04-07
Recensione-stroncatura di cui andiamo fieri e orgogliosi vista la sostanziale incompetenza del critico in questione.
Improvvisatore Involontario - doppia i (2013)
1. Partogenesi di un'Orchidea 1:55
2. Eventuale Proclamazione di Tiramolla nel Regno del Boing 1:27
3. Meredith Monk va all'Ipermercato 1:59
4. il Cacciatore di Lentiggini 3:33
5. The Marriage of Lady Clorofilla 3:39
6. Il Mezzogiorno della Vedova Cieca 0:32
7. Un Mercoledì da Teddy Reno 0:59
8. La Scatoletta Anfibia 1:09
9. FM 666 1:55
10. Camionetta's Girl 1:21
11. Scolaresca in Gita su Proxima Centauri 1:33
12. Prolasso del Vocalese 1:22
13. il Domatore di Bosoni 3:21
14. il Canto di Montecristo 1:53
15. Latte e Miele in insalata di Porco 4:12
16. Ulisse e le Sirene. Scioglimento dei Legacci. Fine del Mito. 3:45
17. Sideral Song 3:39
Francesco Cusa - conductor
Manuel Attanasio - voice
Gaia Mattiuzzi - voice
Alessia Obino - voice
Marta Raviglia - voice
Cristina Renzetti - voice
Vincenzo Vasi - voice
Cristina Zavalloni - voice
Il concetto di conduction è legato strettamente al modo di dirigere l'orchestra proprio di Butch Morris; con questo termine si intende significare una sorta di improvvisazione guidata dal gesto del direttore: non esistono partiture, né accordi fissati in precedenza. Si procede a braccio, in maniera estemporanea, seguendo le indicazioni mimiche o sceniche del bandleader. Francesco Cusa si lancia in questa sfida, decisamente rischiosa a priori, per i molti elementi di incertezza e di casualità legati a questa pratica operativa, radunando otto voci italiane fra le più accreditate del canto di ricerca, fra il jazz e altri generi musicali, colti o popolari. Malgrado lo spiegamento di forze in campo, la musica non decolla e si rimane spiazzati di fronte a un profluvio di invenzioni e di citazioni che spuntano apparentemente senza un collegamento necessario. Alcune tracce sono brevi schegge inferiori al minuto, mentre il brano più consistente supera di poco i quattro minuti.
Nel disco si sentono recitativi improbabili, vocalizzi spinti verso l'alto fino alla nota impossibile, fraseggi in stile Bobby McFerrin della componente maschile per costruire un ritmo su cui poi volteggino le interpreti femminili. Si procede fra lamenti, sospiri di piacere e sberleffi assatanati. Si ascoltano folate di suono dal piano al mezzo forte di cori volutamente sguaiati o impostati a regola d'arte. Si registrano canoni messi su in maniera ancora una volta improvvisata e contrasti fra grugniti, rumorismo e limpidi arabeschi vocali tipici del canto lirico. C'è posto per citazioni pop con la beatlesiana Yesterday e folk per mezzo di "Quel mazzolin di fiori"....Per aggiungere sapori al già speziato menù, vengono ricordati slogan pubblicitari (il tonno insuperabile) o ci si sofferma su un verso ripetuto diverse volte per ottenere l'effetto dello straniamento. E proprio la decontestualizzazione o la contestualizzazione sono due punti di appoggio certi per Francesco Cusa che, sicuramente, si è divertito molto in questa situazione. Peccato che il divertimento, intellettuale fin che si vuole, resti dalla parte di chi produce la musica e non arrivi a chi la fruisce Per completare l'opera, inoltre, il maestro di cerimonia ha usato il nonsense, l'ironia o si è rifugiato nel surreale per affibbiare i titoli ai vari brani. Così si può rimanere rapiti da "Il canto di Montecristo" o gustare il "Latte e miele in insalata di porco" o sognare di trascorrere " Un mercoledì da Teddy Reno" e chi ne ha più ne metta (o ne tolga).
Dopo tante prove di valore questa volta il batterista e compositore, anima di Improvvisatore Involontario, non riesce ad essere convincente, malgrado il potenziale di una formazione di ottimo livello al suo fianco. Si ha l'impressione, in sintesi, che il conduttore si sia perso in tante diverse ispirazioni senza giungere a coordinarle in un'opera dotata di una sua evidente logica interna.
Gianni Montano per Jazitalia
Articolo su LA STAMPA - il:2014-03-26
ALESSANDRIA SPETTACOLI
25/03/2014
Valdapozzo fra goliardìa e innovazione
Festival canoro il 5 aprile alla cascina di Quargnento mentre è già pronto il cartellone della rassegna estiva
Il percussionista Francesco Cusa terrà un workshop dal 9 all’11 maggio
BRUNELLO VESCOVI
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Valdapozzo rassicura il pubblico di aficionados che non si perdono mai un appuntamento della stagione di spettacoli estivi: anche quest’anno non avranno di che lamantarsi, con una decina di eventi fra musica, teatro e performance di danza. Ma prima, il 5 aprile, ci si ritroverà per il festival canoro che Luca Serrapiglio, uno dei promotori, definisce «goliardico e carbonaro».
È saltata la concomitanza con Sanremo, ma si farà con le consuete regole: ritrovo in cascina alle 20 per chi vuole concorrere, la giuria si formerà al momento. Le tradizioni vanno rispettate e la gente scoprirà anche uno spazio più ampio: nell’ex fienile sono stati ricavati più posti e il palco potrà essere disposto anche in maniera diversa, a seconda dell’esigenza.
Lo scorso anno per finanziare «Valdapozzo spettacolare» si ricorse per la prima volta al crowdfunding tramite il sito eppela.com; questa volta la proposta è di offrire 50 euro per avere in cambio il proprio nome (o quello della propria attività commerciale) inserito in un grande murale che sarà realizzato nel bar - quindi zona di grande passaggio - dagli artisti di Officine Marcovaldo (Riccardo Guasco, Luca Zanon e Patrik Dolo). Si avrà diritto anche all’ingresso gratuito a due spettacoli. «In un colpo solo entrate nella storia dell’arte - dicono scherzosamente a Valdapozzo - e ci date una mano».
Il ciclo si apre con una tre giorni di workshop creativo - dal 9 all’11 maggio - insieme a Francesco Cusa, dedicata in particolare all’improvvisazione, con elementi di ritmica e poliritmia. Si prosegue il 16 con il progetto Vale and the Varlet, ossia Valentina Paggio, voce, piano e percussioni e Valeria Sturba, violino, theremin ed elettronica. Il 24 e il 25 «Naked Lunch», festival di muscisti del collettivo Improvvisatore Involontario, con concerti dalle 16,30 a notte fonda. Il 30, primo degli appuntamenti con la prosa: «Ti affetto» di Alessia Brisone, che recita anche, insieme a Giancarlo Adorno. Primo evento di giugno, il 14, con un concerto della nuova formazione del sassofonista e compositore milanese Daniele Cavallanti, mentre il 21 si rivedrà il percussionista Francesco Cusa con il suo progetto The Assassins, che comprende tromba, sax tenore e organo Hammond.
Il 28 un altro ritorno a Valdapozzo: quello dell’attore Matteo Garattoni, che dopo «Bogartismo» proporrà un nuovo testo, «Pay me not to act-L’attore intimidatorio», tratto da una storia vera. Si arriva a luglio con «Zona Interattiva», performance di Clak Teatro Contagi, un viaggio interattivo all’interno di Valdapozzo che non mancherà di stupire. «Max Speed-Omaggio a Massimo Urbani» è la serata del 18 con nove musicisti milanesi, mentre la chiusura sarà il 26 con l’installazione «On being Ill» e un solo di Alberto Serrapiglio al clarinetto basso.
Mia intervista per Controradio Firenze - il:2014-02-20
Naked Musicians a Controradio !
Enrico Romero intervista Francesco Cusa.
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