Uno scritto molto prezioso di Angela Tinè sul mio ultimo libro di poesie "Canti Strozzati", uscito per L'Erudita. - il:2018-04-22
I “Canti strozzati” di Francesco Cusa
ANGELA TINÈ·DOMENICA 22 APRILE 2018
Vi è un canto, dentro questa raccolta, che il suo autore definisce, nel suggello della intitolazione, chiuso. In ésso le parole dirupano, eiettate nel campo vuoto e silente della pagina, e in questa si rincorrono l’un l’altra, in una denotazione volutamente distante da ogni sovrappiù di senso, sull’asse verticale del verso, ma delineando un discorso non propriamente poètico, bensì tipico della prosa.
Francesco Cusa, jazzista consolidato e già novelliere da molti apprezzato, non vi è dubbio, germoglia in seno alla migliore produzione letteraria e musicale del secondo Novecento, instaurando con queste un dialogo aperto e attivo, mai banalmente ossequioso, ma al contrario artisticamente libero e originale. Come Pròteo, egli sembra non conoscere disagio alcuno nello sperimentare le più svariate forme, penetrandovi, ogni qualvolta le circostanze o la propria medesima ispirazione gliene offrano motivo e occasione, con piena naturalezza e nessuna contraffazione. E questo ci appare come il maggior pregio della sua intera produzione sia letteraria che musicale: e cioè la indiscutibile specificità e unicità di un linguaggio sempre “in fieri”, in movimento, mai estatico nè conclusivo, ma proteso verso la esplorazione, l’invenzione, il “ trovamento”, la ricognizione, da una parte; l’urgenza della inchiesta come infinita ribellione al chiuso, concluso e ottuso luogo della istituzionalizzazione e fissazione dei liberi processi del divenire, dall’altra.
Voce, sia quando chiamata dalla musica sia quando chiamata dalla affabulazione, a un tempo straniante e spiazzante, ci si presenta oggi nella nuova veste di poeta in forme ancora una volta, a mio avviso, del tutto singolari e capaci di indurre nei propri avventori incertezze e dubbi. A chi ne legge i canti, e da sempre ne segue l’itinerario, si impone fin da subito, con la perentorietà di un ordine, l’interrogativo sul perché egli abbia consapevolmente scelto di esprimersi in versi, evocando il suo poetare i modi della narrazione, del racconto e della esposizione prosastica più che quelli del rimatore, e consegnando al destinatario, addirittura, l’impressione di volere abolire la lirica nel suo statuto o fondamento.
Se la poesia del Novecento, infatti, ci ha abituati alla consuetudine del verso libero, affrancandolo dalla prigionia del metro regolare, resuscitandolo costantemente per poi negarlo e volutamente stravolgerlo, in aperta polemica rispetto a una tradizione letteraria codificata incline a schiacciare l’atto poetico sui procedimenti formali, se la poesia del Novecento ci ha educati alla contaminazione delle due funzioni fondamentali del discorso giungendo agli esiti radicali e sovversivi, massimi e sommi di quella che è stata definita poesia prosa, la voce poetante del nostro autore, che dalle innovazioni appena illustrate, innegabilmente, deriva il proprio modello compositivo, ne viene addirittura fagocitata, intonandosi in un canto di parole esattamente individuate, raccolte ed esposte nell’estremo, ultimo tentativo di una versificazione divenuta impossibile ad onta di ogni resistenza, e praticabile soltanto nello schema esteriore dell’abito tipografico dell’a capo. Un canto, per l’appunto, strozzato, soffocato, rotto fin dal suo sorgere dall’inciampo nell’ “Urlo” e dell’ “Urlo” di Munch.
Al mondo, divenuto osceno, non resta null’altro che esporsi al di qua dei simboli, al di qua dei rimandi, al di qua delle suggestioni e delle quinte di un laboratorio immaginifico e misterioso, la parola nuda e interamente aperta nella propria definizione ha perso le ali, e nello spazio bianco della pagina vi precipita “strozzata” nei tonfi secchi, privi di echi, di una evidenza a cui è stata sottratta la possibilità di significare ancora entro gli interstizi vuoti del non detto.
In questo conflitto congelato, in questa guerra fredda tra discorso in prosa, la cui struttura la tradizione letteraria vuole motivata dal significato, e discorso in versi, la cui struttura vuole, invece, motivata da principi formali che superano il significato immediato divenendogli persino estraneo, in questo campo di tensione tra versificazione residuata nell’aspetto visivo della impaginazione e ”discorso che procede per tutta la riga”, espressione non regolata dalle leggi metriche e ritmiche della poesia, nel quale il canto implode anziché esplodere, si situano la cifra stilistica di Cusa e il senso, chiarito sopra, della sua operazione letteraria, significativamente e programmaticamente indicato nella denominazione che dà il titolo all’intera raccolta.
Essendo l’arte un territorio in cui il messaggio passa attraverso la forma compenetrandosi intimamente in essa, mi sono voluta soffermare sulla specificità del procedimento formale esperito efficacemente da Francesco, individuando proprio a partire da esso il senso di ciò che ha inteso comunicarci, incastonando nel quadro di un non-canto o “canto strozzato”, i significati esatti e pretesi dalla narrazione, i significati chiusi e perfetti, astrattamente delimitati in tutta la loro purezza platonica dai termini che troviamo depositati nei dizionari delle lingue e custoditi da ciascun vocabolario.
Ogni produzione artistica, a mio avviso, può definirsi realmente tale quando gli oggetti di riflessione che la istituiscono, e ne costituiscono il messaggio diretto, siano capaci a loro volta di investire, in un tutto organico, anche la propria forma traducendovisi in contenuto ulteriore. E quando, infine, rechi entro la propria complessione la indagine consapevole sui molteplici e inesauribili processi della significazione, rilanciandola attraverso la propria rappresentazione.
Angela Tinè https://www.facebook.com/notes/angela-tinè/i-canti-strozzati-di-francesco-cusa/10156231346194707/
Intervista a Francesco Cusa a cura di "Scuola Fuori Norma". - il:2018-04-21
https://vimeo.com/265828085
IL TOUR Francesco Cusa Trio, jazz senza frontiere - il:2018-04-03
IL TOUR
Francesco Cusa Trio, jazz senza frontiere
26/03/2018 - 18:30di Redazione Vivere
Quattro le date siciliane: mercoledì 28 marzo, al Moonshiners di San Giovanni la Punta, giovedì 29 marzo al Tatum Art di Palermo, venerdì 30 marzo da Officine Marchesa a Santa Croce Camerina, e sabato 31 marzo al Jolly Aretusa Palace Hotel di Siracusa
Il trio presenta l'ultimo disco il disco "From Sun Ra to Donald Trump". Col batterista catanese, per questo tour il trio vede in organico il pianista Andrea Beneventano e Ferdinando Romano al contrabbasso. Il trio esplora i territori delle composizioni originali e della poliritmia. Una riproposizione in chiave acustica delle esperienze progettuali del passato di Cusa con uno sguardo alla musica di tradizione e agli standards rivisitati
Continua il tour siciliano del trio del batterista catanese Francesco Cusa che presenta il nuovo cd uscito per l'etichetta portoghese Clean Feed ”From Sun Ra to Donald Trump”. Quattro le date in calendario: mercoledì 28 marzo, al Moonshiners di San Giovanni la Punta; giovedì 29 marzo al Tatum Art di Palermo, venerdì 30 marzo da Officine Marchesa a Santa Croce Camerina, e sabato 31 marzo al Jolly Aretusa Palace Hotel di Siracusa. Per questo tour il trio vede in organico il pianista Andrea Beneventano in sostituzione di Gianni Lenoci. Al contrabbasso ci sarà Ferdinando Romano. Il trio esplora i territori delle composizioni originali e della poliritmia. Una riproposizione in chiave acustica delle esperienze progettuali del passato di Cusa con uno sguardo alla musica di tradizione e agli standards rivisitati.
Il trio presenterà “From Sun Ra To Donald Trump” l'ultimo disco del Francesco Cusa Trio uscito alla fine del 2017 su label Cleanfeed. "Fran Sun Ra to Donald Trump" rappresemta un nuovo approdo Italiano in casa Clean Feed, questa è la volta del trio del batterista Francesco Cusa con Simone Graziano (piano) e Gabriele Evangelista (contrabbasso) più la voce esperta del sax di Carlo Atti. La vena ironica di Cusa si sviluppa lungo l'improbabile asse Sun Ra / Donald Trump. Una vena che si concretizza in un album di jazz moderno, aperto, spigoloso e ampiamente caratterizzato dal suono maturo dei singoli musicisti.
Recensione di "WET CATS" per Musica Jazz - il:2018-03-18
Recensione di FCTrio "From Sun Ra to Donald Trump" - per Tracce di Jazz - il:2018-02-19
The titles of the album and the tracks may betray a sly wit, but make no mistake, this is serious business, and the band which consists of Carlo Atti on tenor saxophone, Simone Graziano on piano, Gabriele Evangelista on bass and Francesco Cusa on drums are a rock solid modern jazz group.
Cosi' inizia la recensione dell'album l'interessante blog americano Music and More ed in effetti si tratta di musica sincera da parte di un ottimo gruppo italiano, che incredibilmente non inserisce una canzone napoletana ne un brano di Battisti e tanto meno una ballata di Mia Martini e purtuttavia riesce a mantenere una tensione costante ed un interesse vivo dal principio alla fine. Non passerà magari agli annali della storia ma From Sun Ra to Donald Trump per la meritoria Clean Feed è album da ascoltare. Fidatevi.
Recensione di FCT TRIO: "From Sun Ra To Donald Trump CD Clean Feed, 2017 - il:2018-02-08
https://www.dustygroove.com/item/865701
Recensione di FCT TRIO per BLOW UP a cura di Enrico Bettinello. - il:2018-02-07
Recensione di FCT trio "From Sun Ra to Donald Trump", a cura di Ettore Garzia per Percorsi Musicali. - il:2018-02-03
Poche note sull'improvvisazione italiana: politica economica, accrescimenti e senso del cerimoniale
Quello che Percorsi Musicali ha saputo guadagnare nel tempo è il giusto peso da attribuire alla progettualità degli artisti, calcolando bene il senso della poliedricità da loro espresso. Molti musicisti conservano nel proprio io un "tratto", una finestra di pensiero e di espressione che vorrebbero probabilmente mostrare in tutte le occasioni. Questa particolarità (più o meno lontana dalle ordinarie vie) di cui si parla, mi ha condotto nella scelta di alcuni recenti cds di alcuni percussionisti, incrociando anche temi non secondari.
Parto da un sorprendente cd di Francesco Cusa per la Clean Feed, un trio che lo vede assieme al contrabbassista Gabriele Evangelista, al pianista emergente Simone Graziano, con la partecipazione del sassofonista Carlo Atti, musicista ammirato anche per aver dato un contributo alla potenza e pulizia del sax tramite una personale modificazione fatta al bocchino. Molti di voi conosceranno lo sfondo culturale di Cusa (in passato lo evidenziato anch'io su queste pagine) e perciò non ne parlerò; quanto alla musica di From Sun Ra to Donald Trump ci si chiede se dobbiamo aspettarci un'ulteriore afflato distopico, così come successo nelle ultime splendide collaborazioni con Lenoci o Martino. Per questa occasione non è fuori luogo una considerazione teorica, incentrata sull'andamento delle economie dalla classicità in poi: la titolazione dei brani richiama alla memoria quasi un compendio della storia economica degli ultimi tre secoli e già questa sarebbe sufficiente per scatenare un raffronto o una polemica. Volendo molto sintetizzare, l'idea di Cusa è quella di fare un resoconto delle direzioni delle attività di politica economica, cominciando a verificare i grandi simbolismi economici del "benessere" per tutti, quelli che tipicamente si sarebbero garantiti da Adamo Smith in poi; di quest'ultimo ancora oggi notiamo il valore della sua teoria di aggiustamento automatico della domanda ed offerta sui mercati, così come indispensabile si è preservata quella di Keynes, sulla necessità di intervento dello Stato per sviluppare l'economia di un paese, con la contropartita che i nostri governanti ne hanno fatto un uso così ampio da mandare in deficit i bilanci pubblici (situazione comune in tutto il mondo con l'Italia che sta tra quelli che reggono un primato). Cos'è che non ha funzionato, cos'è che ha permesso di vivere periodi di benessere diffuso ed altri, lunghissimi, periodi di malcontento e difficoltà diffusa? Cusa fa pensare all'illusione capitalistica e, in mente manda in circolo la riflessione che la vera politica e la vera musica hanno avuto sorti non troppo dissimili: anche nei periodi di benessere gli episodi di ristrettezza economica di taluni gruppi di musicisti (pensate al jazz, ai lofts degli artisti free nei settanta e a quanti musicisti americani siano caduti in rovina proprio in anzianità) o le fasi di scontentezza fiscale, non sono certo mancate, così come abbiamo dovuto raccogliere le briciole dell'economia non appena abbiamo cominciato a dimenticare/criticare Marx e Gramsci e a lasciare che i deficit lievitassero (da Craxi in poi). La globalizzazione ha accentuato le diseguaglianze e Cusa induce altrimenti ad una fase di società "espansa", in cui la standardizzazione, l'abbattimento delle identità e soprattutto le capacità di far funzionare le coscienze sono in mano alle direzionalità senza controllo dei social networks. Il picco di questa incresciosa situazione si è verificato all'elezione di Trump, le cui manovre hanno indotto una delle più intense crescite della borsa di New York mai viste in un secolo. E la robotizzazione è già parte della sudditanza di molti governi verso lo strapotere economico e sociale di quelle imprese che stanno dalla parte giusta di questo circolo vizioso.
La musica? From Sun Ra to Donald Trump è un bel disco di jazz, ottimamente suonato dai quattro musicisti e decisamente lontano dal fornirvi in maniera diretta un riferimento distopico (specie se lo ascoltassimo senza leggere i titoli). Cusa si sbilancia parecchio sulle tessiture post bop e free-jazz, mettendo da parte la carica jazz-rock: stati dinamici, descrittivi di un jazz che abbiamo conosciuto pesantemente e pause ad hoc abili a creare situazioni di godimento, confezionano qualcosa che può essere travasata nel ragionamento economico, solo accettando la sfida impalpabile di quel sentimento che (senza l'uso delle parole) rese geniale il carattere del jazz: è così che dal cilindro spuntano sentimenti difficilmente etichettabili della musica, ma collegabili tramite l'immaginazione: scetticismo, nostalgia, attesa.
Recensione di "Wet Cats" a cura di neri Pollastri per All About Jazz - il:2018-02-03
La buona riuscita delle performance d'improvvisazione radicale è soggetta ad almeno tre condizioni: la prima, ovviamente, concerne le personalità artistiche che vi si cimentano, la seconda l'intesa tra di loro, la terza una certa dose di alea, che faccia sì che proprio in quell'occasione tutto giri al meglio e le idee scorrano fuori, una dietro l'altra, limpide, luminose e coerenti.
Sulla prima condizione questo Wet Cats, registrato in studio a Monopoli il 25 giugno 2015, era già una garanzia, vedendo in scena il duo di Gianni Lenoci, uno dei più geniali pianisti della scena nazionale, musicista e improvvisatore di prim'ordine, e Francesco Cusa, batterista uso ad avventurarsi in ogni ambito musicale e anch'egli valentissimo improvvisatore. Anche sulla seconda condizione si poteva fin da subito essere rassicurati, visto che i due musicisti si conoscevano da tempo e avevano all'attivo varie collaborazioni. Sulla terza condizione garantisce invece l'ascolto, perché un lavoro come questo non poteva essere realizzato senza aver colto il kairos.
Già, perché questo Wet Cats, cinquantuno minuti e mezzo di musica in una sola traccia senza soluzione di continuità, è davvero un lavoro spettacolare, tra i migliori nel suo genere che ci sia capitato di ascoltare ultimamente.
Come avviene sempre in questi casi, al centro c'è il lavoro sul timbro, che entrambi protagonisti esplorano in lungo e in largo: Lenoci sfruttando le infinite possibilità del pianoforte, anche usandolo in modo poco convenzionale -a momenti percuotendolo, in altri facendolo suonare come una kora -ma in generale operando in modo genialmente ellittico, così da metterne in risalto le sonorità (ne sia semplice esempio il lavoro sulle note basse sviluppato attorno al minuto quaranta); Cusa saltando da pelli a metalli e facendo risuonare il proprio set in maniera di volta in volta diversa e dinamicamente sempre adeguata al lavoro del compagno, senza disdegnare soluzioni originali, quale per esempio il carillon al minuto quarantotto.
Ma l'aspetto timbrico è qui inscindibile da quello ritmico, sviluppato con grande libertà e con il palese intento di produrre una trama che, nonostante il proprio costante mutamento -anzi, proprio grazie ad esso -avesse un forte impatto comunicativo e un marcatissimo contenuto drammaturgico. Ecco così il susseguirsi di situazioni ritmicamente diverse, con pulsazioni ora più veloci e unitarie, ora invece più frammentate, atte a sottolineare maggiormente l'aspetto timbrico.
Pur nella prevalenza della libertà da temi e lirismi, non mancano tuttavia neppure bellissimi momenti di questo genere, come quello sviluppato attorno al ventesimo minuto, quando su un intenso ma delicato ritmo di rullante Lenoci si produce in un discorso melodico nel quale ha occasione di accennare stilemi di Paul Bley e Abdullah Ibrahim.
Inutile andare oltre per cercare di trasmettere l'incanto di questa musica, complessa ma tutt'altro che "difficile": solo da ascoltare con le orecchie aperte. Meglio invitare il lettore a procurarsi il disco, pubblicato dall'etichetta Amirani, specialista nazionale della composizione istantanea.
Disco della settimana.
Track Listing: Wet Cats
Personnel: Gianni Lenoci: piano, prepared piano, wooden flute; Francesco Cusa: drums.
Recensione di FCT TRIO più Carlo Atti "From Sun Ra to Donald Trump". "Namira do Groove" a cura di TIAGO FERREIRA. - il:2018-01-21
Affidiamo la tradizione al meraviglioso GOOGLE. "Sembra una specie di scherzo sua volta costretto l'innovativo musicista jazz Sun Ra, uno dei Afrofuturism del paese, uno dei più grandi demagoghi del nostro tempo: il presidente americano Donald Trump. La musica batterista trio Francesco Cusa, tuttavia, mostra che queste connessioni provengono da diversi poli: è tutto in freneticidade, o apprensione momenti distanziati nel tempo, ideali estetici. Il sassofonista italiano Carlo Atti capisce la gravità della situazione, con la forza della sua presenza, che sembra trovare un asse tra le scale rigidi di Branford Marsalis e un tasso più contenuto di David S. Ware. I titoli delle composizioni danno un leggero ictus politico per il tutto: in "Boom economico e Stasi nell'illusione capitalistica", Atti e il bassista Gabrielle Evangelista creano un'atmosfera di competitivdade, dove Simone Graziano pianoforte suona come la classe media e il più ricco, ma calmo, sopra ogni altra cosa. "Regime fiscale nella vita di una New York Taxidriver-Jazzman" è un introito più malinconica che evoca la solitudine, mentre "Keynes e la macro-Teoria del Implosion strutturale dello standard" punti a un percorso più promettente, come se (che sosteneva che per far crescere un'economia, il governo deve investire di più, non lasciare il mercato aperto). In ogni caso, non c'è bisogno di essere politicamente impegnato a realizzare la bellezza e la fluidità da Sun Ra a Donald Trump; dopo tutto, se si ascolta i problemi senza incontrare i titoli ancora sapere che è un tipo di jazz dei nostri tempi a causa delle tensioni delle stringhe - una simbiosi accreditato a Gabrielle e Simone - e una sorta di sviluppo musicale più angolare che fugge e copre allo stesso tempo, hard-bop, free jazz e Afrofuturism. Sun Ra sarebbe orgoglioso. Già Trump ... non capirei".
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