Mia recensione di "Holy Motors" di Leos Carax (6)
Io ho profondamente detestato questa pellicola tanto osannata e apprezzata da critica e pubblico. Intendiamoci: il film contiene delle autentiche perle, ma è il piano dell'opera a risultarmi oltremodo greve. Didascalico fino alla nausea - con le immagini dei corpi in movimento di Etienne-Jules Marey proiettate su un pubblico dormiente, insostenibile dichiarazione d'intenti annunciata in pompa magna, con tanto di bebè deambulante a simulare la purezza dei primordiali tempi d'oro - questo ultimo lavoro di Leos Carax rappresenta per me tutto ciò che io non vorrei mai vedere al cinema: ovvero il cinema che parla al cinema, che riflette su se stesso. Pura cerebralità. Ed alla fine brutto cinema. In questo i francesi sanno essere davvero macabri: infieriscono sul cadavere del loro brie e continuano a chiamare il computer "ordinateur" ed il match ball "balle du match". Dirò di più. Non mi sono mai sentito più "spettatore" - il mio corpo ingombrante - come nel film di Carax. Cinema che parla ai cinefili, di breve respiro, laddove i Lynch, i De Sica e gli Scorsese comunicano presso ogni forma di vita senziente - Carax non essendo poi Sokurov. Questa la differenza sostanziale. Un approccio che mi ricorda certo free jazz, e buono forse per i convegni medici sull'endoscopia duodeno rettale. Non ne posso poi di questo disagio, di questa negazione della gioia del cinema e della vita. Di questa introspezione artificiale, claustrofobica sulle ragioni dell'arte e delle sue finalità. Non al cinema quantomeno! Ho sentito di paragoni addirittura a Kubrick (!!??)... ma dico stiamo scherzando? Il Divino Stanley non avrebbe mai posto gli accenti in maniera così pedante sull'eventuale oggetto della sua denuncia. Men che meno Fellini o Chaplin! (Salto a piè pari per dare une dimensione prospettica all'evento che mi pare fin troppo salutato con botti e "tric trac"). Questo pastrocchio presuntuoso non ha nulla di originale (penso viceversa a quanto invece originale e autoriale sia l'ultimo film di Sorrentino), a meno di non scambiare per geniali vecchie tecniche di "mise en abime", effetti matrioska e decrepite modalità artaudiane. Non basta costellare un film di inside jokes per rendere innovativa un'operazione che sotto la superficie di "cinema assurdo" nasconde un maelstrom di disagio e vuoto esistenziale. Questo esercizio di stile giunge nelle nostre sale fuori tempo massimo, giacchè qui è in gioco l'ennesimo concetto di crisi identitaria del cinema (mascherato ad arte, ovviamente). Francamente se ne poteva tranquillamente fare a meno del predicozzo implicito in "Holy Motors", dato che, come ebbe a dire qualche annetto fa Greenaway, 'sto cinema è bello che morto da un pezzo (tant'è che Lynch e Herzog è da un bel po' che fanno documentari e finte sit-com). Trattasi di banale e pedante poetica espressionista ben confezionata dunque, con un rigurgito moralista: "...uomini, bestie e macchine sono sul punto di estinguersi", dice lo stesso Carax, "uniti da un destino comune e solidali fra loro, schiavi di un mondo sempre più virtuale".E noi rispondiamo con un bel: "mah, figliuolo bello, stai a parlare della società dei consumi e non della totalità dell'esperienza essere umano nel suo divenire a-storico e, in altre parole, universale" (Segnalo che mentre scrivo si è materializzata la figura di Leonardo Da Vinci in antitesi a Carax).
Insomma, se Bunuel nel "Il Fascino discreto della borghesia" decontestualizza il cesso, Carax nel suo paradigmatico film rne ridefinisce le funzioni di cacatoio per scimpanzè. Campeggia, insostenibile, a tal punto da rendere detestabili alcune pregevoli pagine di cinema che pur costellano "Holy Motors", questa escatologia ingenua sul senso estremo della vita (ah che abisso di differenza con il film-limouusine "Cosmopolis"!), questo scossone "sessantottino" al pubblico dormiente e apatico, questa didascalia del ritorno al primitivo.
Diamo un 6 di cortesia e buonanotte al secchio.
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