Recensione "ACAB"
Una buona pagina di cinema italiano, cosa alquanto rara. Sollima riesce a penetrare l'inquietante mondo dei celerini, e lo fa in maniera brutale e secca. Ne scaturisce quasi un film inchiesta, una discesa dura e scomposta nei meandri della "fratellanza" celerina. I fatti di cronaca nera degli ultimi anni, gli omicidi Raciti e Sandri, offrono lo spunto di cronaca necessario alla contestualizzazione della trama del film.
Personaggi come il Cobra (un sontuoso Pierfrancesco Favino, qui nella sua perfetta maschera), il Negro, e Mazinga difficilmente si dimenticano. Il tutto ruota attorno ad una Roma nera e violenta, assordata dalle urla degli ultras. Storie di gente disperata, aggrappata con tutte le forze a ideali nostalgici e reazionari, a degli stilemi superficiali e rozzi che purtuttavia rappresentano l'unico retaggio condivisibile.
Ma non tutto è ascrivibile alla comunità di poliziotti; vi è certamente una seconda chiave di lettura, nelle vite disperate - universalmente disperate - di queste tigri dal cuore di carta: rapporti familiari impossibili, tragedie dell'incomunicabilità, violenza domestica. Ed è qui che il film di Sollima spicca il salto, nell'offerta di questo squarcio longitudinale che attraversa come una faglia le regioni dell'animo tormentato di questi esseri caricaturali, "maschere" nell'eterna danza della Commedia Umana. Lo iato tra "lavoro eroico" e quotidiano risulta spesso insostenibile per il celerino, ed in questo senso la trama disvela alcuni gangli nascosti: uno su tutti il tema della "dipendenza", della tossicità di questo vivere, che, paradossalmente, nell'iperbole del pericolo e dello scontro trova le ragioni del significato più carnale dell'esistenza, tutto il resto essendo "spleen coatto".
Forse ciò che manca a questo film è proprio l'elemento visionario, come ne "Il Cattivo Tenente" di Abel Ferrara; il tutto rimane fin troppo confinato in una didascalica "regola del contrappasso" (i poliziotti sono al contempo vittime di poliziotti, sfrattano e sono sfrattati a loro volta, predicano ordine e pulizia ma non sono capaci di farsi rispettare all'interno delle proprie mura domestiche). Ecco, manca qualcosa che era proprio del "Cattivo Tenente" di Abel Ferrara.
Durante le fasi di preparazione agli scontri - bellissima la chiusura finale del film - sembra di essere in un film di Romero: il guscio protettivo del casco come una capsula nello spazio, isolante, assorbente, mentre i cuori palpitano in attesa dell'attacco dell'Orda degli Ultras-Zombies.
Peccato per la pessima fotografia che finisce col conferire alla pellicola il solito tratto da "Rai Cinema" (per televisione, aggiungiamo perfidamente...eppure Paolo Carnera ha lavorato in tutti i film di Winspeare...mah).
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