RIFLESSIONI SUL GIEZZITALIANO
RIFLESSIONI SUL GIEZZITALIANO
Se quello del jazz fosse un vero mercato, potremmo fare come fanno gli indiani e i cinesi e dire "hey! c'è la crisi. stai per fare il nome di grido? sei nella merda? Ok - organizzatore - quanto offri a lui? Io prendo la metà!". E ci sarebbero tanti bei concerti "diversi" in estate. Magari suvvia con un bel marchio di Musiche D.O.P. e la gente viene! "dai venite a valorizzare la vera musica di ricerca in Italia e menate simili! Basta con i soliti ecc. ecc." Prese per il culo simili, insomma. Ma siccome questa storia del mercato del giezz è tutta una presa in giro, ecco che ciò non accade. Lapalissiano. Non c'è mercato. c'è un accrocchio di interessi. Punto.
"Noi, avantjazzisti di oggi" – Francesco Cusa
…ci stiamo consumando nel riduzionismo. Ci facciamo piccini, e pensiamo piccino. Arrabbiati come bimbi senza joypad, consumiamo le gomme delle nostre macchine di terza mano a gas, con le sopracciglia inarcate. Non conosciamo la gioia perché temiamo che non ci spetti. Nella categoria pullulano gli stent dentali dopo decenni di digrignature molari. Coabitiamo malvolentieri dentro un alveo a noi familiare, ristretto, frammentato in miriadi di sottocategorie ridicole e di prodotti in offerta senza ipermercato. Senza avere la diffusione dell’acaro ci ostiniamo a guardare sotto il tappeto alla ricerca di cicche. Diffidenti come gnu alla pozza, acidi come il ph di un ottuagenario, guerreggiamo in silenzio con le armi della maldicenza e della delegittimazione.
Ci stiamo logorando nella parola mentre girovaghiamo coi sandali lisi e le magliette aziendali chiazzate di aloni-stimmate: Ascella di dio che togli i peccati dal Mondo. Siamo viandanti. Elemosiniamo. Pensiamo ancora alla palafitta, all’oasi, nel disagio urbano della periferia asfaltata. Grattiamo l’euro come rappresentanti di portafogli di pelle operanti in uno stato vegano. L’obiettivo principe pare essere, ciononostante, quello del chiacchiericcio vintage, della delazione Ideale. Ci stiamo consumando nel Dileggio, anziché agitare il vessillo della Bellezza a questi quattro tamarri, volgari dell’organizzazione artistica peninsulare. Ci nascondiamo perché pensiamo al peggio, al brutto, al miserevole, non abbiamo l’ardire di allargare petto e narici: troppo esibizionismo. Siamo gobbi e rincitrulliti da decenni di isolamento. Continuiamo a pensare che ciò sia concreta evidenza, questo fantamercato del jazz, quando è tutta una presa per il culo. Ci sviliamo nel quotidiano, non siamo in grado di aprirci alla ierofania che costella ogni ambito del nostro fare, chiudiamo le porte a doppia mandata al Sacro, come vecchine impaurite dalla sera.
Fuori mercato come il tallero sloveno, ci ostiniamo a battere moneta, noi pupazzetti jazz ciechi e pronti a schiuderci come la cozza al bollore del cento gradi. Noi digrignanti e poi sorridenti con l’avvento di un cono palla da leccare. Date un cono palla ad un avantjazzista italiano e lo vedrete sciolgersi come una caramella nella bocca del fu Gianfranco Funari. Questo siamo e questo stiamo diventando: bisbetici rintronati. Le ragioni del quotidiano sono frutto di questo nichilismo da accattoni. Altrimenti avremmo già preso a calci in culo molti guitti. Con le suole rinforzate della scarpa di vernice della prima comunione, nera e rilucente come il guscio di uno scarafaggio. Ma da mo’.
Quello del giezz e del mercato del giezz è' tutto un falso problema. Di vero c'è solo il tema della fiscalità. Il resto è fasullo. Non esiste un mercato del jazz: questo è prodotto di logiche artificiali... diciamo che lo si è creato ad arte questo marchio italico del giezz. Sono squallide ragioni del pop carsicamente penetrate in un alveo differente per natura e morfologia. Non si capisce perchè ogni volta che si parla di questo dannatissimo "jazz" occorra aprire delle parentesi, occorra utilizzare differenti categorizzazioni del pensiero e della logica. Questa idea del "riempimento" dei teatri è del tutto fuori contesto. Nel 2000, quando ancora facevo parte di Bassesfere, realizzammo il festival di Bologna Jazz 2000, con Tim Berne, Sclavis ecc. a suonare con progetti nostri costituiti, e non con la solita politica del mordi e fuggi. Un budget limitato: gente, pubblico, ovunque. Nessuno chiede la Luna, bensì la decenza. In Italia sono stati sprecati miliardi appresso a logiche organizzative esecrabili. Non ci diciamo sciocchezze. In altri ambiti si griderebbe allo scandalo e si metterebbero a ferro e fuoco i teatri. Il jazz ha succhiato le ultime esalazioni di un sistema corrotto, quando i soldi per il pop erano terminati. Ecco fiorire fiori di squali e speculatori, ecco preparare i "pacchetti-concerto", i roster chiusi. Negli anni 90 esisteva ancora un fermento, una biodiversità. Adesso quel poco è stato uniformato, ghettizzato. Ai critici: occorrerebbe che voi critici riscriveste la vera storia del jazz in italia degli ultimi 30 anni. A cominciare dall'Amj, negli anni '80 (io c'ero), e di come fu affossato. Il paradosso che non posso più tollerare è quello d'esser definito vittimista a fronte di una sacrosanta indignazione per il riconoscimento basilare di una decenza lavorativa. La-vo-ra-ti.-va. Non occorre molto. Basterebbe poco. Il pubblico c'è eccome. E non fa che dirci che "non ne può più di sentire sempre le stesse cose" (che si tratti dei soliti italiani o dei soliti stranieri, poco importa). La musica di qualità paga sempre. E' solo un problema di organizzazione. Queste battaglie le dovremmo fare tutti: musicisti, critici e organizzatori. Ma, in questo paese parcellizzato e feudale, ognuna di queste figure è spesso in conflitto di interessi, essendo i musicisti, i critici e i direttori di festival poi anche: musicisti, critici e direttori di festival. E' il gatto che si morde la coda. Ciò che è accaduto recentemente in politica, del resto dimostra quanto siano fallaci gli strumenti con cui si misurerebbe il consenso o il dissenso eventuale. Voi critici dovreste essere in prima a battervi assieme a noi per una politica fiscale differente, per alcune norme protezionistiche necessarie e volte a tutelare le musiche e le arti. Altrimenti ogni cosa muore. Sono tutti falsi problemi. La verità è che chi fa musiche - vogliamo definirle creative? boh - qui in Italia è stritolato dal falso circuito del mainstream pop e da 'sti quattro tromboni legati ai "meravigliosi anni '70" che non fanno altro che baloccarsi con le (sia detto col sacrosanto rispetto) solite incartapecorite proposte d'oltre oceano, proposte in tutte le salse possibili e immaginabili, spesso degne e spesso no. Così muore la biodiversità ambientale, nè più nè meno della cozza di Acitrezza o dello stambecco del Cervino. quando capirete che non c'è alcuna differenza, e che il problema riguarda tutti...
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