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Francesco Cusa - Official Website - Mia recensione de: Il Grande Gatsby" di Baz Luhrmann (8)

Mia recensione de: Il Grande Gatsby" di Baz Luhrmann (8)

2013-05-23

Grande cinema americano, punto e basta. Possono tranquillamente mettersi il cuore in pace i critici ancora alla ricerca di una corrispondenza, di una contiguità non si sa bene più a che cosa: se a testo o a precedenti riadattamenti cinematografici dell'opera (in questo caso, Coppola 1974). Baz Luhrmann opera in maniera intelligente e sfoggia tutto il suo talento visivo in questa versione "pop" del celebre romanzo di Scott Fitzgerald, enfatizzando alcuni periodi salienti del libro e riadattandoli alla sua propria estetica. Ciò con sostanziale buona pace di tutti. Il film ricalca le atmosfere sfavillanti del suo precedente "Moulin Rouge", soprattutto nella prima parte dedicata allo sfarzo delle feste del misterioso Gatsby, con un riadattamento musicale contemporaneo che conferisce vitalità e calore alle ambientazioni degli anni '20. Proprio lo scardinamento dell'immaginario visivo e sonoro degli anni in cui si ambienta "Il Grande Gatsby" è il punto di forza del film (e anche qui non possiamo che rimarcare le solite insostenibili accuse censorie di chi scrive di cinema con l'abbeccedario e il pallottoliere), ed è in questo straniamento che si celebra il talento "fashion" - in senso buono - del regista. Ne risulta una specie di "soap opera" metafisica e surreale, dalla cornice visiva ammaliante, estetizzante fino allo stremo, in cui si rifrangono le emozioni senza tempo del romanzo secondo colorazioni estreme. Il limite ricercato è proprio nella rappresentazione magniloquente, nella confezione, nel cinema "che si fa guardare": è proprio questo confine estetico che si dà Luhrmann a dare paradossale vitalità alle ragioni di un riadattamento non sterile, di una rilettura contemporanea dell'opera. Lavoro ampolloso ma di sintesi dunque, riadattamento esemplificativo ma non riduttivo: alla fin fine un grande omaggio di tradizione (cos'altro era "Piccole Donne"?). Su tutto campeggia, sontuosa, l'immagine di un Di Caprio fuori dal tempo e dalle elucubrazioni analitiche del dopo-cinema.