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Francesco Cusa - Official Website - Mia recensione di "The Master" di Paul Thomas Anderson (9)

Mia recensione di "The Master" di Paul Thomas Anderson (9)

2013-01-12


The Master di Paul Thomas Anderson (9)
L'America e lo scandaglio della sua coscienza. Anima oseremmo dire, in aperto contrasto con le facili chiavi di lettura che rimandano alla proto-storia di una sorta di Ron Hubbard ante litteram. Ovvietà. Troppo sofisticato il tono e la sostanza dell'opera di un regista complesso e colto come Anderson.
L'America e la sua anima, per una narrazione priva di trama, simbolica, visionaria, metafisica. Il suo lato "corrotto", l'ombra, lo storpiamento nell'incarnato di Joaquin Phoenix, e il suo ambito spirituale, eterico, animico, nella straordinaria maschera di Philiph Seymour Hoffman: un binomio inossidabile antico come il mondo, ma peculiare, proprio di queste terre e delle vicende di questo paese. L'anima wilde di un continente, antropomorfa, intrappolata nel corpo di Freddie, e quella mistica, istrionica, sublimata nel carisma del Veggente. Il percorso è un calvario, irto di dolore, con tante stazioni di sosta. Ma è un percorso catartico, immenso. Sottostare al concetto di "guarigione", di "verità", di "impostura" è dare al corpo carsico del film implicazioni di denuncia che nei fatti sono del tutto estranei all'opera.
È confondere Reale con Realtà.
Il Maestro (senza virgolette) riconosce il suo discepolo. Il rapporto è sincero, profondo, viscerale. Questo riconoscersi nella temporalità karmica - poco importa se reale - è il leitmotiv del film ("se adesso vai via nella nostra prossima vita io sarò il tuo peggior nemico", qualcosa del genere dice il Maestro a Freddie nel minuti finali del film). Si procede per tentativi, per fallimenti e successi, in un costante scandaglio della dualità, di ciò che dilania e azzanna il cuore e l'anima della gente, e di ciò che per converso nobilita le azioni e lo spirito dei reietti. In maniera probabilmente involontaria, Anderson si è verosimilmente addentrato nel ginepraio dell'universo esoterico indossando i panni del naturalista, ma finendo col precipitare in un avvitamento a spirale verso regioni ignote della materia. Freddie "guarisce" (virgolette) grazie al Maestro, nella fuga da tutto ciò che vincola e contamina.
Come nelle migliori tradizioni il discepolo lo supera tramite l'affrancamento radicale dalla dottrina e dal "metodo", ed è sua la motocicletta che si dirige a tutto gas verso il confine dell'utopia, fuori dai vincoli delle parabole e delle modularità sperimentali. In qualche modo egli dimostra che le teorie del maestro sono il barlume di ciò che può essere sondabile in questa parvenza di vita. Tant"è che tutti nella setta temono Freddie, perché avvertono che in lui è presente, non già l'impulso dell'eresia e dell'entropia, quanto piuttosto l'onnipotenza dell'iniziato, ovvero di colui che ha già sperimentato la morte in vita ("che ti succede Freddie? Sembri invecchiato. Stai male?", ancora nel finale, quando Freddie ritorna per l'ultima volta, da risorto). Questo il maestro pare saperlo o intuirlo da sempre. Ecco perché lo accoglie immediatamente nella sua nave come un novello discepolo. Egli lo riconosce e lo teme, a tal punto da dichiararsi suo nemico nella vita futura. Cerca di "ammaestrarlo", di codificarne e correggerne le patologie, ma poi si rende conto di essere subalterno alla sua potenza, che ha davanti a sé un archetipo ancestrale.
La crisi mistica, e i problemi del maestro cominciano con l'avvento di Freddie. E anche questo è indizio non trascurabile a chi non voglia soffermarsi al significato letterale dell'opera (Poco importa quanto di ciò sia cosciente nelle intenzioni di Anderson. Ed in ogni caso se il,regista avesse voluto fare un banale film di denuncia a Scientology, non avrebbe assunto un taglio così onirico, analogico, à la Malick). L'intera vita di Freddie è onirica, con sbalzi di coscienza tormentata nello spasmo della morfologia dell'esistenza. Memoria, ricordo e contemplazione sono il reale vissuto dell'Iniziato, che entra ed esce dalla "chiesa" spogliandosi della dottrina come un Cristo. Freddie è dunque eternamente su quella spiaggia, intento a modellare i seni e i capezzoli di quella donna, effimera cone la sabbia, mentre le onde cancellano ogni traccia rappresentativa, ogni attaccamento.
Questo durante il film, ma non nell'eternità dell'ultimo fotogramma.