MIa recensione de "La Pietà" di Kim ki-duk
"IL GRANDANGOLO NO!"
recensioni cinematografiche a cura di
Francesco Cusa
"La Pietà" (9,5)
Da tre giorni sono perseguitato dai volti e dalle ambientazioni di questo sconcertante e sublime film, un rovello che lavora dentro, come un tarlo. Raramente ciò accade, perfino per certe pellicole che possono averci colpito ed entusiasmato.
Questo ultimo lavoro di Kim ki-duk è una perla nera di malsana bellezza, un perfetto strumento di tortura che, a rasoiate, si fa strada fino al cuore, scavando nel corpo pulsante come il bisturi di un demiurgo in zoccoli.
E' qualcosa di già visto questo dramma edipico, una palingenesi innestata nei mitocondri di un Tetzuo del Peloponneso. Tant'è che la narrazione di questi eterni fatti è come fuori fuoco, distorta, decentrata.
L'ambientazione della Corea del Sud fa da cornice smorta e scarna al dramma epico. Il tema della vendetta rinasce sotto i nostri occhi di mutante e con esso tutto il nostro fardello di tematiche relative all'incesto, all'omicidio, al suicidio. Kim ki-duk orchestra e dosa le timbriche di una sinfonia matematica con la maestria del cesellatore, dell'orafo; le sue smerigliature sono determinanti e finalizzate alla realizzazione di un'opera perfetta, lucida, completa.
L'esattore cinico e spietato che incontra la madre Mi-sun e si redime delle sue efferatezze, non è lo strumento squallido della risoluzione psicologica di una conflittualità qualsivoglia. Qui siamo nelle ancestrali nebbie dell'indistinto naturale, paludi nelle quali ogni tentativo di ordinamento zoologico, di analisi descrittiva e funzionale è destinata a perdersi nel limbo della chiacchera da setting. Questo film è una bella rettoscopia piazzata senza anestesie nel buco del culo del Mito occidentale, un viaggio verso le radici del male globalizzato, o se volete, del capitalismo becero. Kim ki-duk affonda il tubo siliconato senza avvertire il paziente, immette il sondino nelle viscere del sistema senza alcuna remora. La qual cosa genera subbuglio, disagio, dolore, ma soprattutto, imbarazzo. La maschere che ci restituisce il Maestro sono singolarità, buchi neri, teatro senza spazio nè proscenio, volti asiatici di asiatici a noi prossimi e al contempo lontani quanto la sonda spaziale Voyager 1.
La via di redenzione passa attraverso la violenza. Senza il significato del sacrificio non può esservi pietà. Il sangue purifica e ridona lucentezza alla vita e al senso stesso del vivere. Sull'ara di una città corrotta e grigia, si celebra dunque il rito ancestrale di purificazione, antico come il mondo. Un fiume carsico ricco di sangue e vita che continua a irrorare i vestiboli delle nostre enormi cattedrali di rimosso.
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