APPUNTI SPARSI 1
APPUNTI E PENSIERI
NOI, AVANTJAZZISTI DI OGGI NOI
…ci stiamo consumando nel riduzionismo. Ci facciamo piccini, e pensiamo piccino. Arrabbiati come bimbi senza joypad, consumiamo le gomme delle nostre macchine di terza mano a gas, con le sopracciglia inarcate. Non conosciamo la gioia perché temiamo che non ci spetti. Nella categoria pullulano gli stent dentali dopo decenni di digrignature molari. Coabitiamo malvolentieri dentro un alveo a noi familiare, ristretto, frammentato in miriadi di sottocategorie ridicole e di prodotti in offerta senza ipermercato. Senza avere la diffusione dell'acaro ci ostiniamo a guardare sotto il tappeto alla ricerca di cicche. Diffidenti come gnu alla pozza, acidi come il ph di un ottuagenario, guerreggiamo in silenzio con le armi della maldicenza e della delegittimazione. Ci stiamo logorando nella parola mentre girovaghiamo coi sandali lisi e le magliette aziendali chiazzate di aloni-stimmate: Ascella di dio che togli i peccati dal Mondo. Siamo viandanti. Elemosiniamo. Pensiamo ancora alla palafitta, all'oasi, nel disagio urbano della periferia asfaltata. Grattiamo l'euro come rappresentanti di portafogli di pelle operanti in uno stato vegano. L'obiettivo principe pare essere, ciononostante, quello del chiacchiericcio vintage, della delazione Ideale. Ci stiamo consumando nel Dileggio, anziché agitare il vessillo della Bellezza a questi quattro tamarri, volgari dell'organizzazione artistica peninsulare. Ci nascondiamo perché pensiamo al peggio, al brutto, al miserevole, non abbiamo l'ardire di allargare petto e narici: troppo esibizionismo. Siamo gobbi e rincitrulliti da decenni di isolamento. Continuiamo a pensare che ciò sia concreta evidenza, questo fantamercato del jazz, quando è tutta una presa per il culo. Ci sviliamo nel quotidiano, non siamo in grado di aprirci alla ierofania che costella ogni ambito del nostro fare, chiudiamo le porte a doppia mandata al Sacro, come vecchine impaurite dalla sera. Fuori mercato come il tallero sloveno, ci ostiniamo a battere moneta, noi pupazzetti jazz ciechi e pronti a schiuderci come la cozza al bollore del cento gradi. Noi digrignanti e poi sorridenti con l'avvento di un cono palla da leccare. Date un cono palla ad un avantjazzista italiano e lo vedrete sciolgersi come una caramella nella bocca del fu Gianfranco Funari. Questo siamo e questo stiamo diventando: bisbetici rintronati. Le ragioni del quotidiano sono frutto di questo nichilismo da accattoni. Altrimenti avremmo già preso a calci in culo molti guitti. Con le suole rinforzate della scarpa di vernice della prima comunione, nera e rilucente come il guscio di uno scarafaggio. Ma da mo'. (Francesco Cusa, jazzista)
Un sentito ringraziamento postumo al Dottor Joseph Ignace Guillotin, l'inventore di uno strumento nobile, di netta funzionalità sociale, ahimè oggi caduto in disuso. Per giusto o sbagliato che fosse - e chi siamo noi a poter dire a livello karmico se il sacrificio di innocenti non sia poi funzionale a un disegno ancora più grande, e per il singolo e per le gloriose vicende umane -, il copioso rotolare di testone finiva, volente o nolente, con l'appagare carnalmente quel viziato senso di giustizia innato in tutti noi bipedi terrestri. Insomma s'andava a casa con la pancia piena e ci si sedeva come Cristo comanda a tavola, anziché trepidare nel limbo dell'astratto, occulto, trinitario grado di giudizio processuale. Insomma non si vede un cazzo!
Mare di settembre. Sicilia. Il mare e il sole. Sono circondato da donne bionde. Stancamente bionde. Un biondiccio spento figlio del grigiore. L'est. Ucraine. Moldave. Lèttoni. Giovani. Tante donne avanti con l'età. Succhiano questo sole come spugne. Ne sottraggono parti. C'è tutta l'abnegazione del crollo di un muro, la tristezza di generazioni cresciute a forza di patate. L'itterizia curata nel salto generazionale. Non c'è fascino. Solo istinto disperato di sopravvivenza. In ogni telo da mare.
Mare di settembre. Sicilia. Sole e bellezza. Non fosse che per una piccola creatura bipede, sorta di infante autoambulante che emette frequenze da pipistrello di 20 chili. Vieni piccolino. Vieni. Fai un tuffetto dallo scoglietto. Poi arriva un'ammasso morfologico nomato Madre. Rimango impassibile tra gli urli di una specie che non è la mia.
Cerco bambola di gomma robot, siliconata a dovere, parlante e radiocomandata, con 3 "O" allocate non necessariamente nei punti desueti con le seguenti caratteristiche: FAI LE PULIZIE, CUCINA, FAI LE PULIZIE; SORRIDI, SORRIDI, FAI LE PULIZIE, CUCINA, FAI LE PULIZIE. Sonorizzata a dovere, silenziosa, con speciale pulsante ANSIMA della categoria "Silver". Astenersi specie dotate di sistema linfatico e apparato cardio circolatorio.
La Sicilia, un tempo culla degli Dei, emana ancora scampoli di Bellezza nonostante bipedi pigmentati, frutto dell’aberrazione degli ultimi decenni, continuino con l’opera entropica. Esseri ciechi e sordi, urlanti, cascame senza colpa, indefessamente attivi sotto i vessilli dell’Orda, brulicanti di vita aliena, essi sono la Voce e il Corpo di questo Canto Dissolutorio. Si rimane rapiti, ancora, ciononostante, di fronte alla bellezza di un’alba. Ci si chiede come sia ancora possibile. Poi ci si sente grati. Un sentimento alternativo e sincero pare attivarsi. Nel contrasto essere grati di vivere in qualità di controcanto, silenziosamente e senza neanche protestare. Nella dissoluzione i germi di una futura palingenesi. Così è scritto da qualche parte nell’Akasha.
Qualcosa di contiguo alla felicità assoluta è l'andare in scooter per contrade etnee. Nella notte afosa cavalcare correnti di calore, con brevi oasi di frescura durante i passaggi attraverso i giardini irrigati. Sono istanti intensi di aroma unico: il profumo dei frutti e dei fiori nell'impasto di terra lavica celebra il tripudio e la gioia dello stare al mondo. Lo scooter è una sonda lanciata nell'incommensurabile festa olfattiva della Campagna Nera.
Sono un uomo di "altri tempi" (notiamole 'ste virgolette eh?). Tempi in cui si lottava con ardore, ci si schierava, con fermezza. Non sopporto i falsi morigerati, i continenti. Quelli che non si schierano apertamente, che sorridono bonari ma che tramano nell'ombra. Adoro chi flagella le false conquiste dell'ego, chi non le manda a dire, chi è fazioso. C'è più vita e sincerità nell'essere consapevolmente faziosi e di parte, che nella rinuncia attinente al decoro. Adoro gli iconoclasti, e quelli che si schierano apertamente, a viso aperto: "contro". Li sento miei fratelli di contraddizione. Mi fido ciecamente degli indignati, di quelli che non possono tollerare le storture. Condivido l'imbarazzo dei silenti che stanno per esplodere. Detesto fondamentalmente chi contempera le ragioni dell'Opportuno. Una società corrotta e imbalsamata non merita rispetto. Per questo pattume sociale non esiste pietà, né misericordia. Anche Madama Ironia, ormai, è solo un temperino spuntato.
Come avrei voluto vivere in qualità di drammaturgo nell'Inghilterra elisabettiana, con le dita sporche perennemente di inchiostro, in un paese colmo di contraddizioni, romantico ma
ancora medievale, violento ma ambiguamente chiaroscurale, in cui ci si batteva per un'ideale trascendente. Mi sarebbe piaciuto morire giovane ma con una compagnia di deliranti visionari al mio capezzale (morire magari a causa di un duello amoroso). L'effimero che supera la Ragione e le armonie del Rinascimento italiano. Questo il teatro elisabettiano. Nessuna arte raggiunge le vette sublimi in democrazia. W le tirannie illuminate.
Io ci riprovo a leggere il tanto osannato Saramago in tutte le sue salse: da Caino al resto. Tuttavia continuo a trovare insostenibile la sua prosa ed alquanto partigiane le sue vedute. Oseremmo dire limitate. È tutto troppo "palese", come potrebbe esserlo un TG4 condotto da Curzio Maltese. il raffronto con un gigante portoghese come Pessoa appare alquanto impietoso.
Un artista vero non può essere di parte, per quanto possa prendere "parte".
La forza di Pessoa è proprio questo cimentarsi con le mutande cagate alla sfida col'Indicibile. (tutto il contrario viceversa per un pentapalluto come Borges)
Io non sopporto i jazzisti che non amano il calcio. Ma non hanno compreso che c'è un'affinità profonda? La storia del calcio e quella del jazz vanno più e meno di pari passo nell'arco di più di un secolo. Il tempo scorre velocizzato, e nell'arco di decenni si dispiegano significati e significanti che altrove necessitavano di secoli di permutazioni e cicli. Le correnti e i miti, gli artisti che segnano il periodo, si estrinsecano nel tempo breve, polverizzandosi nella mitopoiesi.
Gestualità arcaiche. Bologna, seduto sulla panchina leggo. Due "arabi", maschi, passeggiano come è tradizione in alcune regioni, mano nella mano. Passano due belle donne. Entrambi si girano ad ammirare le bellezze posteriori, in sincrono, senza abbandonare la loro stretta. Ovviamente non si può fare a meno di notare l'ibrido percepito: due uomini che camminano mano nella mano evocano l'immagine di due gay; ma poi questi ultimi rivelano tutto l'ardore del "maschio attizzato" nella torsione sincrona del colli in direzione-culi . Conclusione: l'immaginario di noi "occidentali" è totalmente fottuto. Non abbiamo più gli strumenti adatti a decifrare il mondo Reale. Siamo prigionieri di una gabbia ristretta di codici.
Seguimi!
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