La mia recensione di "Old" di M. Night Shyamalan, per Cultura Commestibile.
Il cinema di Shyamalan oscilla da sempre fra gli estremi: caricaturale/introspettivo, kitch/spirituale, descrittivo/surreale, didascalico/metafisico ecc. Di conseguenza, in ragione di questa apparente schizofrenia, egli alterna ottime opere a film scadenti. Tale “oscillazione” permea anche il suo ultimo lavoro, “Old”, che pure parte con accattivanti premesse per poi liquefarsi (apparentemente) in un minestrone rancido. Rimane però, anche nelle sue opere più scadenti, come la sensazione d’una inesprimibile folgorazione, un’inquietudine che è a sua volta figlia di una rivelazione che persiste sempre sul ciglio del divenire senza mai risolversi in una forma esplicita e conclamata di senso.
Da questa prospettiva occorre forse guardare al cinema di Shyamalan come al corpus di un’unica opera in fieri che attraversa varie fasi con l’unico intento di esplorare l’esoterico, l’invisibile, il mondo degli spiriti.
“Old” è il tassello minore che va comunque ad aggiungere un arcano minore al castello di carte di Shyamalan, e va osservato, appunto, da una visuale panottica che consenta di vincere le resistenze naturali di fronte a certe caricaturali messe in scena, e alle evidenti falle della trama.
Una cosa è certa: difficilmente ci si accosta a un film di Shyamalan con indifferenza o pigrizia, così come non si accarezza senza timore la schiena d’una tigre.
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