“Un altro giro” di Thomas Vinterberg (9), la mia recensione per Cultura Commesti
La mia recensione di: “Un altro giro” di Thomas Vinterberg (9) - per la rivista “Cultura Commestibile”.
“Un altro giro” ci regala un’altra perla di Thomas Vinterberg. Quattro amici insegnanti, fra spleen e monotonia del quotidiano, decidono di intraprendere la strada suggerito dalla ricerca dello psicologo norvegese Finn Skårderud, che consiste nel mantenere un costante livello di alcol nel sangue al fine di garantire una simbiosi col mondo e una vita priva di angosce. Film sulla depressione e sulla rinascita, sull’esclusione e l’affermazione, inno eterno al tripudio della giovinezza e al valore sublime dell’amicizia, “Un altro giro” è la versione dark de “L’Attimo fuggente” di Peter Weir. È un gioiello opaco, denso, carico di contraddizioni, pulsante di vita e di paludosi ristagni, ma prezioso come pochi altri, perché autentico e autoriale frutto della visionarietà di un regista che sa ancora scavare nel profondo delle coscienze. In questo senso siamo di fronte ad un oggetto filmico anomalo che vede implodere tutte le caratteristiche del genere, col dramma che si divora la commedia, vomita la tragedia e la trasforma in musical.
Canto del tempo perduto, attimo fuggente che si sublima e cristallizza nell’ultimo fotogramma che renderà onnipotente la catarsi della danza e commovente l’esplosione della Gioia e del tripudio di gesti che libera i fantasmi dell’angoscia nell’azzurro del cielo, l’ultima opera di Vinterberg è il più bel regalo che il cinema possa concedere allo spettatore dopo mesi e mesi di pandemia e di reclusione forzata, forse la metafora più indicata per un nuovo inizio.
Francesco Cusa
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