"APOLOGIA DI FRED BONGUSTO" un mio scritto per Sicilia Report
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APOLOGIA DI FRED BONGUSTO
Con la scomparsa di Fred Bongusto tramonta l’epoca dell’Italia dei night, della radioline a pile nella canicola estiva, delle persiane abbassate al pomeriggio, del pelosissimo oggetto del desiderio del maschio caucasico (la pelliccia triangolare), del suono delle partite a tamburello nella stanca pennichella da lido, delle polpette al sugo di mia nonna, della hit parade con la classifica dei dischi.
Fred Bongusto era un filosofo: narrava la weltanschauung del “merlo maschio”, gli ultimi fasti di un mondo in via d’estinzione. Egli bramava e temeva l’ancestrale nemesi della donna matriarcale, conosceva il suo potere, dunque ne divenne esorcista. Bongusto officiava sull’ara di Eros, celebrava alla Venere uscita dall’onda la cui bellezza è portatrice di “rabbia”, dell’ardore di Ares. Egli consola, brama ma al contempo fugge dall’oggetto del desiderio, mostra indifferenza quando corteggiato e disperazione quando abbandonato. Bongusto non si fida della donna, la sua poetica riassume l’ideale della celebre frase di Proust nelle prime pagine de “I Guermantes”: “… l’infedeltà tipica delle donne”, intesa come segno dell’irrazionalità ancestrale; teme l’ira di Leto e Niobe, della forza notturna e lunare che attiene al divino e che ordisce tranelli ai mortali. E così si finge distratto, da tombeur de femmes consumato qual era, come in “Che bella idea”, dove tutto è orchestrato dalla donna ancella che celebra il tributo all’uomo d’un tempo, al Bongusto platonico, fintamente ingenuo, ignaro, sedotto. In questa maniera Bongusto, nelle vesti di un distratto semidio, riesce a vampirizzare il demoniaco, per dirla con Carmelo Bene, a banalizzarlo per tramite del canovaccio della canzonetta, nello schema ove lo Sconcertante viene depotenziato con pillole sedanti.
Bongusto non si mette mai in discussione. È certamente consapevole dei suoi innumerevoli difetti da “uomo di mondo”, ma nel suo cosmo è sempre la donna a dover comprendere, accettare, superare, sublimare l’ineluttabile natura decadente del maschio. Dunque, l’arte adulatoria dell’aedo Bongusto, diventa parola magica che viola ogni scrigno del cuore, ogni resistenza, proprio a partire dalla posturale mostra dei suoi difetti, enunciati come manifesto del suo discorso amoroso (si ascolti “Balliamo”: “Sei grande quando dici che tu ami un incosciente”, e, enfatizzando:“più grande quanto ammetti che mi vuoi così”, e poi la stoccata: “d’accordo ho un carattere che è un po’ particolare, eppure dimmi chi ti può capire più di me”). In questa maniera Bongusto elogia l’effimero dell’istante, della follia, dell’ebrezza del momento amoroso, ben consapevole d’essere traditore del corpo, mai dello spirito: “tre minuti per convincerti che è amore…”. Il linguaggio di Bongusto è metaforico, animistico: stagioni, volti, luoghi, viaggi sono un corpus unico soggetto alle leggi della nostalgia, quella che noi proviamo confrontandoci con la visionarietà delle sue interpretazioni che rimandano sempre all’effimero, anche quando promettono eternità dell’amore. La metafora della canzoni di Bongusto, ricoperta da un accumulo di accessori, si libera nello scarto fra melodia, arrangiamento e parola, vive di sua paradossale densità nel mistero di ciò che sembra essere perenne passato. Si ascolti l’asimmetria del testo in “Questo nostro grande amore”, in cui vive l’afflato estetico di Proust: “questo è il nostro grande amore, un mese fa non era niente, ma poi io mi fermai, un abbraccio m’inventai (…) con quanta fretta mi innamorai di te (…) e ogni sera prima di dormire già vorrei svegliarmi e ritrovarti qui (ancora Proust e le sue notti tormentate e immaginifiche)”; oppure l’assurdo e misterioso finale di “Noi innamorati d’improvviso”. O ancora in: “Io non ci provo gusto (fare l’amore giusto)” - dove paiono echeggiare atmosfere à la Velvet Undergound-, che ha un testo che pare alludere a una sorta di simbiosi tra i due amanti, ma con punte di surreale e pinteriana follia: “Se vuoi, tu puoi partire. Destinazione fine. Ridiventiamo io e te”.
Oggi, ascoltare Fred Bongusto significa fare un viaggio nel passato, immergersi in un mondo de-politicizzato, nel positivismo amaro che si nutre ancora di un senso di libertà passionale e di una certa dose di anarchia del sentimento. Con la scomparsa di Fred Bongusto tramonta ancora un altro pezzettino di mondo.
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