Recensione di “MARTIN EDEN” di Pietro Marcello (8)
“MARTIN EDEN” di Pietro Marcello (8)
Era rischioso, per noi amanti del romanzo di Jack London, assistere alla visione dell’ultimo film di Pietro Marcello. Invece ci siamo emozionati e abbiamo amato questo film dalla prima all’ultima scena. Luca Marinelli è il Martin Eden che si muove fra le pieghe del romanzo in un’epoca temporale indistinta, quella di un’Italia al contempo contingente e distante in cui gli avvenimenti storici degli ultimi due secoli paiono accartocciarsi nella prospettiva del kairos; lo scoppio della guerra, gli uomini vestiti da gerarchi fascisti, i capi d’abbigliamento del primo Novecento, la tv, le automobili anni Ottanta, tutto pare addensarsi in una dimensione surreale, in frammenti di memoria onirica che rimandano a certi squarci pasoliniani, o alle ambientazioni di ”Una Giornata Particolare” di Scola. Così si giustificano i numerosi inserti di dagherrotipi e pellicole del lontano passato, che paiono fornire ulteriore dinamica alla giungla semantica che funge da ambientazione alle vicende napoletane in cui viene ricollocata la storia di Martin Eden. In questo senso è anche da interpretare il collage stilistico che caratterizza l’opera - i riferimenti al cinema americano, a quello italiano dei Sessanta con puntate verso il cinema autoriale degli anni Settanta e Ottanta -, che procede nell’ottica di rigenerare la poetica del romanzo secondo una narrazione condotta a frammenti e a strappi e “tenuta insieme” dall’ordito visionario del protagonista. Tramite la forza simbolico-evocativa delle tracce filmate che si giustappongono alla vicenda, è allora possibile vivere l’universo intimo di Martin Eden; questo procedimento è la vera trovata geniale del regista, che tramite questo espediente riesce ad aggirare il rischio di una riproposizione pedissequa dei tempi del romanzo. Da questo punto di vista, appaiono trascurabili le critiche mosse all’estetica dell’opera di Marcello, le quali, al di là del sacrosanto gradimento del gusto, sembrano sparare al bersaglio sbagliato. Pietro Marcello esprime la sua dichiarazione di intenti quasi come fosse un manifesto di estetica, mostra altresì le regole del suo gioco, che non possono essere oggetto di una critica dello “stupore”, della “sorpresa”, né tantomeno dell’imperfezione. Sarebbe come criticare la struttura dell’Ulisse” di Joyce secondo parametri neoclassici di interpretazione.
Rimangono di questo bel film, l’essenza e il profumo, e come una fluidità che mette in relazione di contiguità surreale le due opere, quella letteraria e quella cinematografica, l’una e l’altra legate da un cordone ombelicale che dà nutrimento a una delle più belle storie di sempre.
Francesco Cusa
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