"Chronicle", di Josh Trank (8,5)
Una vera sorpresa questo film del ventiseienne Trank. Per certi aspetti sembra il riflesso molesto e malato degli eroi Marvel ("grandi poteri implicano grandi responsabilità"), il risvolto mefitico e stravolto delle conseguenze dei super poteri sulle fragili psiche di teen-agers in cerca di evasione. Tre ragazzi entrano in contatto con una misteriosa forza (aliena?) che conferisce loro straordinari poteri. Ci si aspetterebbe dunque la solita solfa, con tutte le conseguenze che seguono alle iperbole di genere. Invece assistiamo ad un plot che rende il tutto molto più simile a "The Blair Witch Project". Innanzitutto la prima parte, quella della presa di coscienza dei tre ragazzi, la gradualità con la quale si ritrovano a scoprire ciò che possono fare, è da urlo. Ma anche il seguito, con l'approfondimento brutale delle vicende domestiche del povero Andrew, propedeutiche allo scatenarsi dell'orrore finale, è ben connotato grazie alla terrificante figura del padre, vero e proprio despota e tiranno. Ciò che davvero sconcerta è l'atmosfera in cui questa storia pare ambientarsi. Qualcosa che sta in bilico tra Gus Van Sant e il Lars Von Trier di "Melancholia". Il film è infatti come gravato da una pesante cappa, ombrosa, cagionevole, decadente. Le scene - bellissime - dei tre svolazzanti tra le nubi sono suggestive, ma mai ammantate di quel lucore e di quella vigoria che ti aspetteresti di ritrovare in simili pellicole. Probabilmente molto di ciò è dovuto all'uso delle tecniche di "found footage" e di particolari lenti scure sulle telecamere fluttuanti, ma rimane pur sempre uno scarto nel percepito, come una "mancanza", un'assenza di densità che rende il tutto poco palpabile e refrattario. Il film finisce con l'acquisire forza nei rivoli del dettaglio piuttosto che nella conclamazione del super potere, e questi fragili antieroi che si annientano l'un l'altro nello stridore del quotidiano, proprio nei tentativi di riscatto dello "sfigatissimo" Andrew, esprimono pienamente le piaghe del nostro tempo. La stessa natura pare piegarsi, curvarsi in uno spazio angusto, psicologico e deviato, e sulla cornice dello schermo, dal di fuori, paiono premere febbricitanti forze, pronte a permeare ogni anfratto ambientale della pellicola.
Davvero un canto nero sul significato del Dono nelle società contemporanee.
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