"IL DEBUNKER NELL’ERA DELLA SCHIUMIZZAZIONE": un mio articolo per "Sicilia Repor
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IL DEBUNKER NELL’ERA DELLA SCHIUMIZZAZIONE.
Sono tempi strani. Occorre stare attenti a come si scrive e a come si parla. È in vigore una sorta di censura dolce e proprio per ciò, perversa. Non si tratta di una vera e propria censura, giacché chiunque può scrivere quel che gli pare (o quasi), quanto in realtà di una maniera di connotare e ghettizzare il pensiero non conforme al nuovo dogma. Infatti, questa apparente “libertà” espressiva è fortemente calmierata da un contesto che ne drena le asperità tramite regole da clan condivise e non scritte da orde e tribù digitali di “debunker”. E’ una sorta di ordine tacito (nel Medioevo “ordo” indica sia la capacità di organizzazione generale che il singolo costrutto della vita spirituale), un tentativo di rendere solubile il multiforme. Certe tematiche poi, rappresentano dei leitmotiv ricorrenti: su tutte la questione della vaccinazione di massa, che pare rappresentare un vero e proprio argomento “tabù” per certe élite. Stranamente non si ottengono reazioni così forti per altre tematiche, come, ad esempio, la questione relativa alla vendita di stato degli alcolici e delle sigarette, tematiche per cui esistono statistiche certe e numeri di malattie e morti neanche lontanamente paragonabili a quelli relativi alla questione dei vaccini.
Oggi è il tempo dei cosiddetti “passive-aggressive”, di cui il “debunker” è espressione più simbolica e caratteristica. Lo scambio sui social, di solito, segue uno schema; dapprima è dicotomizzante (connotazione dell’interlocutore-non-conforme entro la categoria del “vax-no vax”, ecc.) e poi diventa conflittuale (non si usano scurrilità ma, in genere, si comincia a etichettare l’interlocutore come “complottista”). A nulla serve, ad esempio, il riportare pareri di altri medici e ricercatori, giacché questi ultimi verrebbero immediatamente bollati come eretici e incompetenti.
Questa idea scientista della scienza, un’ipertrofia che sta ammorbando la conoscenza in ogni campo, questo nuovo dogma che trasforma tutto in una “fenomenologia della causalità”, a me, personalmente, fa venire i brividi. Cito uno dei più grandi filosofi contemporanei, Peter Sloterdijk, che a sua volta cita Nietzsche. Su scienza e non scienza: - Il postulato di Nietzsche secondo il quale una cultura più evoluta dovrebbe dare all’uomo un doppio cervello o un cervello a due camere perché possa percepire, da un lato, la scienza e, dall’altro la non-scienza, si avvera in modo del tutto imprevisto. (…) In questo doppio sapere transumano, si vede la forma di sapienza che risulta vincolante per gli uomini nelle civilizzazioni biologicamente illuminate. Saggezza significa quel “modus vivendi” che rende un sapere vivibile e del quale non bisogna sapere niente per voler vivere”.
Pare inverosimile che intere categorie del sapere parcellizzato del nostro tempo (e questo è un altro problema che andrebbe esplorato, quello dello “Specialismo”), le quali dovrebbero coltivare l’essenza del dubbio ad ogni passo, possano essere così centrate sui grumi di sapere illuministico racimolati negli ultimi sputi di secolo. La brutale necessità di “comprendere” entro un alveo raziocinante l’assurdo dell’esistenza, sta generando l’orrore cosmetico di una cultura sclerotizzata entro dogmi e formule. Spesso i nuovi “Sacerdoti del Tempio” si ritrovano a spacciare l’incertezza del loro stesso operare (quella sì sacra) per dottrina della logica e fiducia-fede nel metodo-dogma, finendo così per uniformare il mistero della vita alla necessità del dettaglio e della contingenza, nel tentativo di esorcizzarlo e collocarlo nell’alveo delle fredde statistiche relative al paziente-cavia.
Nessuno, immagino, possa essere “contro i vaccini” (o la PlayStation o la giostra a calci in culo) che sono stati a rappresentano una fondamentale tappa nel progresso e nella cura di certe malattie. Tuttavia, se si cerca di stare attenti e vigili, di essere critici verso una prassi di vaccinazione coercitiva di massa (e a fronte delle negligenze palesi su altre problematiche ben più patenti), si corre il rischio di essere ghettizzati e catalogati entro la nosologia del “no-vax”.
Cito ancora Sloterdijk, e fornisco un’altra analogia, che apparentemente non pare pertinente, ma che, nella realtà, dovrebbe suscitare nel lettore squarci di visione sui possibili scenari futuri: “se ipotizziamo che verso la fine del XXI secolo sulla Terra vivrà una popolazione di 10 miliardi circa di Homo sapiens, ci troviamo di fronte a un biotanatopo che, con un tasso globale di mortalità molto civilizzato di 1,5 punti percentuali - alias un’aspettativa di vita di 75 anni estesa all’intero genere -, indica 150 milioni di morti “naturali” per annum; ciò corrisponderebbe a sette epoche di terrore nazionalsocialista o a trenta olocausto hitleriani, ovvero quattro epoche staliniane o a tre fasi di sventurate riforme maoiste. La mostruosità di queste cifre sta nel fatto che apparterranno alle statistiche di un’umanità pacificata”.
A mio avviso, tutte queste reazioni radicali sono il portato di una cultura totalitaria mascherata da falsa attitudine alla tolleranza, alla libertà espressiva. E’ facile infatti constatare che, in un discorso specifico sui vaccini, lo “scientista” possa passare a definire l’interlocutore di default come “terrapiattista”, “sciachimista”, chiosando a intervalli con il solito refrain del ”complottista”. Il filosofo e poeta Marco Guzzi ci viene in soccorso in questo senso: “questa idea del complottismo è veramente ridicola e denuncia una grande ignoranza. Dovremmo dare del complottista ad Habermas, a Rifkin, praticamente tutti quelli che ancora pensano... Il problema si complica perché c’è una vasta area di collaborazionismo”.
Cos’è dunque questo collaborazionismo e chi sono i “collaborazionisti?”.
Anche qui utilizzo un altro esercizio associativo (qui si parla di arte, ma poco cambia ai fini del nostro discorso, essendo i medesimi schemi che si riproducono a più livelli): ”chi sono le persone perbene? Sono coloro che hanno il senso comune, soprattutto il buonsenso. Che si chiedono poche cose e sempre quelle. Mentre, invece, l’arte dilania. Mette allo scoperto tutti i traumi, consci e inconsci, ravviverà tutto il dolore di sé. Ma il dolore non è sempre una cosa nefasta, è anche una cosa che apre il cervello e fa capire. Oggi c'è un'ignoranza devastante. Ci sono curatori. I critici sono pochissimi. Questi sono mossi dagli ordini della necessità che hanno avuto". (Lea Vergine)
Il limite del costrutto banale del pensiero dominante si palesa dunque in questa visione dogmatica di vita-uomo-salute, tipica di una conoscenza mediatica e protocollare che vive e si nutre di statistica e comparazione. Per fortuna la vita è ben altro, e spesso gli orizzonti possono ampliarsi frequentando arti conoscitive come lo yoga o altre discipline che non siano dopolavoristiche o ricreative. Forse dei corsi di meditazione non aziendale, potrebbero fornire nuove strade e illuminazioni a certi ricercatori e professionisti, e magari suggerire che la vita è frutto di un’immensità che nessun approccio neopositivista potrà neanche lontanamente contemplare.
Occorre dunque trovare la forza e il coraggio di ribellarsi a certe forme virali (queste sì!) figlie di un atteggiamento riduzionistico e tipiche delle modalità di certi alfieri del colonialismo del pensiero, e in definitiva dei fanatici della dicotomizzazione: bene-male, brutto-bello, ecc. Questo atteggiamento è esattamente ciò che sta attentando la biodiversità del pensiero (oramai sempre più depauperata) e si traduce nel vizio dell’automatismo della “dimostrabilità”, vizio che si riverbera e ramifica producendo danni enormi, quali, ad esempio, quelli inflitti dall’onnipotenza dell’uomo al suo ambiente.
Il medico non può essere il Detentore del Vero, il dispensatore di verità specialistiche e impenetrabili. “C’è un'ignoranza da analfabeti e un'ignoranza da dottori”, diceva Michel de Montaigne.
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