Recensione del libro di poesie di Pier Marco Turchetti. Per "Sicilia Report".
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La poesia di Pier Marco Turchetti non è poesia. E’ un “inevento”, una confessione urlata all’orecchio di un morto in una lingua “che nessuno parla”, come l’autore stesso afferma nella sua introduzione, e infatti conia il termine di“metapoetologia”.
Ecco un esempio da un frammento tratto da: “L’INEVENTO “
“s’infila l’immanenza nella scienza
che poi s’incatasta sul retro di un’edicola
(poca ora non potendo èra)
si compra un bonus trascendenza
gli universalia fanno cassa,
il nulla prende a palpebrare
(c’era d’aspettarselo, d’altronde)”
E’ palese: Pier Marco Turchetti ci sta prendendo tutti per il culo. E il senso di questo “détournement” sta tutto nello scavo del cane bastardo alla ricerca dei resti del surrealismo. La cosa dunque ci intriga e affascina, non fosse altro perché il personaggio rimane (apparentemente) serio e tenebroso.
Questi suoi quadri poetici debordano oltre l’orlo di una cornice inesistente e finiscono per rappresentare un niente che si fa parola, ma non in senso palazzeschiano, del gigioneggiare con l’onomatopea; qui siamo di fronte allo spettro muto del linguaggio che attraversa il nostro senso del poetico, seduti di fronte un sipario chiuso e che tale rimane a dispetto delle luci e del pubblico in attesa in sala.
Da: “QUINTO INEVENTO “
“Annuncio fuorimondo.
Recapito sempre monco.
Mùtilo racconto
di testimone in crollo fondo”.
Ecco un altro esempio di “presa per i fondelli”. Che ha detto? Niente e tutto. Non a caso nel libro le introduzioni all’opera sovrastano il contenuto del materiale artistico fino ad annichilirlo, tant’è che al lettore verrebbe da chiedere se il contenuto dell’opera risieda nelle dissertazioni iniziali o nelle poesie che seguono e che paiono le stelline di un disegno scolastico realizzato da uno studente disturbato che avesse come compito in classe: “Una bella giornata di sole!”.
La poesia di Turchetti è una poesia che nega la parola, e che tramite questo processo, rinasce nel paradosso di un paradosso che non può neanche più definirsi tale (Dalì con la tuta di palombaro muore asfissiato e non darà seguito alla “Storia”, secondo il microcosmo turchettiano). Egli ci rimanda a Platone, ci sta dicendo: “scrivo per negare la scrittura, giacché ogni cosa, soprattutto la poesia, è immane canto, oralità”. O meglio, non lo dice a noi lettori, lo urla nelle orecchio di un cadavere in putrefazione, affinché nulla possa essere tramandato.
In questo senso, Turchetti, “non fa scuola”: trama nell’occulto di un’Accademia popolata da fantasmi che cantano.
“Tu stai dietro
i sismi della Storia,
macchia d’inchiostro
dell’organigramma illimitato”.
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