"HUNGER GAMES" DI GARY ROSS (8)
Diffidate dalle critiche paludate scritte dai vecchi tromboni della critica cinematografica odierna, che nulla comprendono dei nuovi linguaggi e che cassano questo film "relegandolo"(virgolette) a mero scimmiottamento di videogames e giochi di ruolo (come se per quelle lande non si producessero i reali capolavori di questa epoca).
"Hunger Games" è un film importante, forse la migliore critica al concetto di "reality show" dopo "Man on the Moon". Il problema di fondo è che molta stampa anchilosata non è in grado di cogliere le microvariazioni dei nuovi codici espressivi, pronta com'è a bollare ogni prodotto che non sia aderente a quella decine di variabili della sceneggiatura di genere.
Il film di Gary Ross (già autore del bellissimo e misconosciuto "Pleasentiville") pesca a piene mani dalla trilogia dei best-sellers di Susanne Collins: ne viene fuori una pellicola avvincente, soprattutto nella prima parte, quando vengono delineate le caratteristiche dello stato di Panem e dei Dodici Distretti.
La protagonista, un'ottima Jennifer Lawrence - già ammirata in "Un gelido inverno" -, è perfetta per questo ruolo ibrido: tra Lara Crawford e Giovanna D'Arco. Il cast, stellare, si avvale perfino di un convincente Lenny Kravitz nei panni dello stilista coach. I rimandi all'attualità televisiva sono oscenamente vividi, e Ross scarnifica il cadavere del reality dando al chirurgo-presentatore Stanley Tucci un ruolo determinante: quello di vivisezionare i protagonisti sul tavolo anatomico del proscenio della diretta televisiva (nel film certamente più pacata a confronto di certe puntate del nostrano "Grande Fratello"). L'acconciatura e l'armatura dentale ostentate da Tucci ci restituiscono un cinico Joker, magari non memorabile, ma sicuramente efficace. La storia si sfilaccia un po' nel finale, perdendo quella meravigliosa tensione che prende alla gola fin dai primi momenti della caccia.
In buona sostanza, siamo di fronte ad un buon mix di fantasy e gioco di ruolo, e ciò che funziona meglio è proprio ciò che infastidisce i soloni della nostra critica, ovvero la netta demarcazione del carattere dei personaggi, ridotti a mere funzioni individuali, privi di sostanziali contraddizioni. In questo senso lo schema apparentemente riduttivo della descrizione dei caratteri e delle psicologie dei personaggi è del tutto funzionale alla miniaturizzazione del contesto di questo futuro Nord America, alla realtà simbolica del rito degli Hunger Games quali deterrente alla ribellione dei popoli. Il mantenimento dello status di emarginazione e controllo dei distretti (pensiamo alla Banlieues di Parigi, solo per citarle a mo' di esempio) necessitava di una stilizzazione del Reale, come in tutti i regimi che si rispettino. Anche da un punto di vista filologico, e di genere (pensiamo a "Nuovo Mondo" di Huxley), dunque l'operazione è perfettamente riuscita.
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