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Francesco Cusa - Official Website - Recensione dell’ultimo film di Spike Lee “BlacKkKlansman”, per il giornale “Sici

Recensione dell’ultimo film di Spike Lee “BlacKkKlansman”, per il giornale “Sici

2018-10-03

É molto bello l’ultimo film di Spike Lee “BlacKkKlansman”. Siamo nell’America dei Settanta, dalle parti di Colorado Spring e l’ispirazione è quella relativa a fatti realmente occorsi e tratti dal libro di John David Washington, il primo agente di polizia nero in città. Spike Lee ritrova lo smalto dei suoi lavori più belli e riesce ad essere graffiante pur utilizzando un tono “leggero”, quasi accarezzando la cresta alle onde dell’orrore xenofobo, in virtù del tono didascalico e diligente del “plot”. D’altronde, la natura stessa dei fatti e il carattere caricaturale dei leader della rinnovata cellula del “Ku Klux Klan” sono talmente grotteschi da conferire – di per sé -, un carattere comico alla narrazione.
Questo tono da commedia, spinge lo spettatore a meditare sui tragici fatti in maniera differente (un po’, se vogliamo, e fatte salve le debite proporzioni, è ciò che accade anche ne “Il Grande Dittatore”, uno dei capolavori di Chaplin), a fargli insomma vivere le emozioni e il pathos di quelle vicende col necessario distacco e il giusto filtro, a tutto vantaggio di una visione essenziale e meno tragica degli eventi (finale a parte, ove la celebrazione del repentino silenzio e di quei pochi secondi in cui si vede la bandiera degli Stati Uniti d’America trascolorare fino alla sua intima essenza bianca e nera, rappresenta un vero e proprio atto d’accusa alla “reductio ad absurdum” dei concetti di libertà, fraternità, uguaglianza e… felicità).
Così Spike Lee, utilizzando la “leggerezza” come depistaggio, mette il dito sull’essenza purulenta della piaga infetta dall’imago del mondo – figlia d’una psicosi globale, frutto del crimine e della civilizzazione della “modernità”-, e propone una maieutica surreale contro il “diritto naturale” teorizzato dai teologi e dai giuristi del dopo-Magellano.
C’è una bellissima scena durante il veemente discorso di Stokely Carmichael (uno dei leader del “Black Panthers”): le facce degli “adepti” paiono vagolare nella fascinazione dell’effetto ottico, come a descrivere tramite la “viseità”, il senso intimo e profondo di ciò che non può essere espresso dalle parole. Ecco, l’uso di questa sorta di contrappunto, rappresenta, a nostro avviso, la vera trovata geniale del film, allegoria manifesta che ritroviamo anche nell’appassionante contrapposizione tra la celebrazione del film “Nascita di una nazione di D.W. Griffithdel” da parte del “Ku Klux Klan” e il discorso di Jerome Turner (uno straordinario Harry Belafonte) che rievoca il drammatico linciaggio di un suo amico avvenuto nel 1917.
La furia di Spike Lee si è adesso fatta lucida consapevolezza.
Da vedere.