"TO ROME WITH LOVE", DI WOODY ALLEN(1)" "IL PRIMO UOMO", DI GIANNI AMELIO (9)
"To Rome with Love", di Woody Allen(1)"
Le ragioni di una doppia recensione sono dovute per una parte alla visione ravvicinata di questi due film, per un'altra - ben più sostanziale - in conseguenza della enorme differenza estetica e di contenuti che contraddistingue questi due lavori. Non c'è dubbio che siamo di fronte a due grandi maestri del cinema, ma nel caso di Woody Allen, dobbiamo dire di aver sofferto non poco. Non è bello essere presi in giro. Ci si sente traditi nel profondo quando nel corso del tempo si instaura un legame forte con un grande artista. Anche nel fallimento di un'opera, nel passo falso, v'è sempre questo confine decoroso, un livello basilare da non varcare. Qui non riconosciamo quasi nulla del grande regista di "Manhattan". Un film che rasenta il ridicolo, una cartolina di Roma che definir patinata è dir poco (con tanto di viglle urbano nel Prologo in una Roma che pare quella di Aldo Fabrizi e di "portiere-proletario-nonsicapiscebeneche" nell'Epilogo...che declama dalla sua casa con vista su Piazza di Spagna; una roba da far invidia a Scajola). Una indecorosa "questua" di apparizioni di attori italiani (esclusi i protagonisti), un calvario di "partecipazione partecipata" (ho provato gran pena per quel Giuliano Gemma che sta lì ad aprire la porta per un nanosecondo). Non si tratta neanche di cammei: è proprio una imbarazzante ed evidente "necessità di esserci nel film di Woody". La presenza in scena dello stanco maestro è poi infarcita di luoghi comuni, imbolsita da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Il voto striminzito è dovuto all'unica "zampata" di Allen, ovvero quella del "cantante sotto la doccia" che si esibisce in teatro: trovata esilarante. Ma è davvero l'unica perla.
"Il Primo Uomo", di Gianni Amelio (9)
Viceversa "Il Primo Uomo" si consacra come il miglior film di Gianni Amelio. Ispirato dal romanzo incompiuto di Albert Camus, "Il Primo Uomo" è ambientato nella Algeri del 1957, città dilaniata dalle tensioni indipendentistiche. Un film di estrema intensità, grazie anche alle straordinarie doti dei protagonisti: su tutti Jacques Gamblin, il bambino Nino Jouglet, e una sontuosa Catherine Sola nei panni della madre. Il sublime contrasto tra paesaggio mediterraneo ed algide sospensioni, nei lunghi pranzi speziati costellati di sguardi, raggiunge momenti di bellezza quasi insostenibile. Tutto l'orrore e il sangue della guerra civile paiono implodere ad ogni sospiro, nella salubre dignità di certe schiene dritte, nella oceanica profondità di certi sguardi, a dispetto degli anni e dei soprusi. Cinema di alto profilo, nobile, civile, nel senso più profondo del termine. In questo riadattamento di Gianni Amelio, le due "autobiografie" paiono sovrapporsi: lo scrittore e il regista sono entrambi "attori", cantori di affinità paesaggistiche, latori di un'intimità delle relazioni che sconfina nel mito. Le ante chiuse "sul mondo" dall'anziana madre, sono quanto di più poetico possa essere consegnato al finale di un film.
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