Recensione di "The Sartup" di Alessandro D'Alatri (0)
Accade, talvolta, che con pervicacia ci si costringa ad andare al cinema, forse per vincere il tedio della socialità sguaiata del sabato sera ed evitare gli scaracchi, le urla, le cogitazioni di comitive di forsennati. E così, reduce da vari viaggi, come un galeotto alla sua ora d’aria, mi trascino in multisala e propendo (ah, sciagura!) per “The Startup”, nulla sapendo, nulla sospettando, nulla imaginando. Un azzardo, un colpo di testa, una pazzia!
Le prime immagini mostrano che di cinema italiano si tratta e vengo accolto da bracciate in piscina al rallentatore e bollicine e bollicione dorate, schiume e schiumazze: ok, ci stanno dei tizi che nuotano e fanno la gara.
Il mio malessere si accentua in occasione dei primi dialoghi: non ci siamo.
Vabbè stiamo parlando della storia vera di ‘sto Matteo Achilli, il giovane “startupper” (neologismo osceno) fondatore di “Egomnia” ecc. ecc.; ma la cosa conta davvero poco, giacché il mio animo è da subito ottenebrato dalle cacofonie musicali urlate da tal Ginevra e concepite dalle fervide menti dei maestri Pivio & Aldo De Scalzi. Fantastico.
La recitazione dei protagonisti è al livello di un mix tra la recita parrocchiale e il teatro amatoriale della domenica pomeriggio, laddove queste ultime nobili attività sono da considerare preziosa maieutica corale rispetto alla imbarazzante supponenza di questa passerella di fichetti.
D’Alatri mette su un baracchino da poco nel tentativo provinciale di scimmiottare il Fincher di “The Social Network”, utilizzando una narrazione pedante, peraltro mortificata dalla qualità dei dialoghi e da una sceneggiatura davvero modesta.
La solita parabola descrive le vicende del protagonista che trova “redenzione” nel prevedibile finalone targato Ferrovie dello Stato, dopo un “avventuroso” percorso che lo porterà a sradicarsi dalla Roma agreste e bucolica in direzione di una tentacolare e “lucignolesca” Milano. Insomma, siamo alla fresca tematica della dicotomia campagna-città: da non credersi.
Ci sciroppiamo un’altra oretta di panegirico sulla Bocconi, con tanto di docente integerrimo che richiama all’ordine la truppa, e fra un susseguirsi di inquadrature da rotocalco, occhioni lacrimosi, capriccetti, musetti lunghi, faccine imbronciate, gare improvvisate di nuoto, bauscia stagionati e non, amplessi abbozzati, un pochetto di cosce e di tettine, la microstoriella dell’amichetto buono…che altro aggiungere? Forse che questa sbobba è ovviamente finanziata e prodotta dal ministero per i Beni artistici e culturali e che posso solo vergognarmi per l’obolo concesso a questa scialba operetta.
Francesco Cusa
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