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Francesco Cusa - Official Website - Recensione de LA CURA DEL BENESSERE" di Gore Verbinski (8)

Recensione de LA CURA DEL BENESSERE" di Gore Verbinski (8)

2017-03-29

LA CURA DEL BENESSERE" di Gore Verbinski (8) - MI è piaciuto molto “La Cura del Benessere” di Gore Verbinski; a dispetto delle tiepide recensioni che lo hanno accolto, l’ho trovato un film affascinante e al contempo strano. Purtroppo siamo sempre alle solite; i ”tools” di chi recensisce sono troppo spesso confinati alla storia del cinema e pochi riescono a cogliere i riferimenti ad altri microcosmi estetici paralleli. A me le ambientazioni del film hanno ricordato, ad es., quelle di “Bioshock”, un inquietante videogame uscito qualche anno fa in più episodi. E’ un viaggio indistinto nei generi, un film che rimanda al Mann delle letture di uno dei personaggi, ma anche all’iniziazione solitaria verso l’incubo di “Shutter Island”, un intreccio tra il thriller psicologico, l’horror e il racconto gotico, con lo spettro della follia nazista e del fantasma della creatura ultraumana a far da sfondo. Verbinski trova intelligentemente il contesto giusto ove collocare le vicende dell’indomabile rampante Lockhart: quello di una clinica maestosa situata nel bel mezzo delle Alpi svizzere. E qui scatta impietoso il confronto con “Youth”, il poco riuscito film di Sorrentino; non ci si faccia ingannare dalla apparente distanza dei generi: qui siamo di fronte ad una grandissima metafora, classica oserei dire, del rapporto con la caducità del vivere, ove possente si fa la surreale dimensione favolistica di Verbinski al confronto con l’affettata dialettica “giovinezza/vecchiaia” affrontata dal regista partenopeo.
La dimensione che governa “La Cura del Benessere” è quella d’una Mary Shelley in moncherini intenta a scrivere col proprio stesso sangue, così come tutto il maniacale campionario di fiale e boccette pare rimandare ad ossessioni che non trovano soluzione che nella ripetuta focalizzazione degli obiettivi, in una sorta di perenne riadattamento alchemico della trama.
Tutto, dalle suppellettili, ai macchinari, alle attrezzature mediche, sembra essere congelato in un tempo prebellico, e le melodia infinita a far da carnascialesco carillon, fornisce il perfetto suggello all’eccellente sapienza registica di Verbinski.
Le citazioni si sprecano, come numerose sono le falle nella trama, a dispetto delle quasi tre ore di lunghezza del film.
Ma è un prodotto coraggioso e visionario che merita più d’una visione.