Recensione di "Jackie" di Pablo Larrain
Non basta una splendida regia, una meravigliosa attrice ed una sontuosa colonna sonora per realizzare un altrettanto magnifico film (lo stesso dicasi per un prodotto fin troppo osannato dalla critica come è “Manchester by the sea”). Pablo Larrain è sicuramente regista intelligente, ma pecca d’eccesso di ricerca di fascinazione proprio a causa del suo spacciare la maniacale cura del particolare per scandaglio psicologico dei personaggi (del personaggio, in questo caso). Ne risulta una sorta di dramma estetizzante, abbastanza noioso ad onor del vero, costellato da rari momenti di preziosa bellezza, come nel caso dei crudi flash dell’attentato, o della disperante solitudine di Jackie allo specchio.
Certamente Natalie Portman ci regala una prova attoriale fuori dal comune, che tuttavia non riesce a smuovere le regioni carsiche del pathos dello spettatore, rimanendo messa in scena d’una sublimazione di atti estetici, in sintonia con gli impeccabili abiti di “Chanel” che “vestono” freddamente lo straziante singhiozzare di Jackie che si libera nell’intimo di toilette seriali. E difatti il film si chiude con la protagonista che osserva le vetrine popolate del ready made del suo manichino, quasi a sancire una sorta di “tirannia del tailleur”, dell’Imago di una nazione-continente, della ri-scrittura di una mitopoiesi necessaria.
“Jackie” è insomma un non-film, è una specie di prodotto vintage della memoria di Larrain, ben distante dalle grazie narrative del precedente “Neruda”.
E’ un pregevole “fake” che miscela narrazione e finzione a colpi di “handcam”, che non riesce ad emozionare più di tanto. Bella comunque la scena del dialogo “spirituale” tra Jackie e padre McSorley (il grande John Hurt recentemente scomparso). Ma sta lì come un lampo isolato nella bonaccia del Mar della Noia.
Jackie (USA, Cile 2016)
di Pablo Larrain
con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt
Voto IL GRANDANGOLO NO!: 5
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