Recensione di "Sully", du Clint Eastwood
Soave e leggero come il jet che plana sull’Hudson, algido e compassato come il carattere del comandante che opta per l’ammaraggio, freddo e secco come i ghiacci e le acque del fiume in inverno, così ci è sembrato l’ultimo film del vecchio Clint Eastwood, “Sully”, che narra delle vicende del comandante Chesley “Sully” Sullenberger a seguito del celebre ammaraggio.
Eastwood tributa un omaggio sincero e sentito alla dirittura morale di quest’uomo schivo, e lo fa in maniera ovattata, tramite una sorta di ideale “pressurizzazione” della trama, di trasposizione degli ambienti dalla cabina di pilotaggio al mondo sottostante, all’opposto brulicante di sensazionalismo, di brama, di passione.
L’intuizione di Sully non può essere calcolata da un simulatore di volo, essendo il frutto della passione di una vita , dell’esperienza di un pilota capace e responsabile, della freddezza necessaria a svolgere un lavoro che sconfina nel sublime, dell’abduzione, dell’irrazionale che irrompe nel momento topico; è questo ciò che emerge dall’inchiesta successiva, che tenterà invano di evidenziare le responsabilità dei piloti per il mancato ritorno alla pista dell’aeroporto “La1sullyla-ca-mn-0904-sneaks-sully-20160828-snap Guardia”. In questo caso è proprio il “fattore umano” a determinare il salvataggio di tutti i 155 fra passeggeri e membri dell’equipaggio, sono i “56 battiti al minuto di Sullly” a garantire il successo di un ammaraggio considerato impossibile, ma che diventa “miracoloso” e dunque reale, sacro, eroico.
La trama del film segue un interessante processo narrativo, a macchia di leopardo, con stratificazioni variabili del tempo, in un armonioso e delicato equilibrio che denota una grande sapienza registica, ove i cenni al trauma americano dell’11 settembre vengono a centellinarsi con somma parsimonia, sapientemente dosati e concentrati sul turbamento visionario di Sully del dopo l’incidente. Queste paure sono inscritte nella memoria collettiva del paese, nell’immaginario che contempla l’aereo che si schianta contro i grattacieli, e l’icona di Sully pare quasi inglobare il sentimento di un popolo traumatizzato che trova riscatto civile nel modello del comandante eroico che riesce a sfuggire all’incubo portando in salvo il cuore e il sentimento di una nazione.
Certo rimane da chiedersi come Eastwood abbia potuto, per converso, esprimere le sue preferenze elettorali per il caricaturale Trump, ma preferiamo rimanere nel dubbio e godere delle immagini che scorrono sui titoli di coda, quelle dell’incontro del “vero” Sully con tutti i passeggeri del volo, a celebrare la gioia del vivere e del riconoscersi.
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