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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di “The Visit” di M. Night Shyamalan (8,5)

Recensione di “The Visit” di M. Night Shyamalan (8,5)

2015-12-01

Per fare del buon cinema occorre molto poco: quattro attori in scena, due telecamere e un utilizzo intelligente della tecnica del “found footage”. E’ la mano del grande regista, del Polansky di “Carnage” ad esempio (anche se su differenti estetiche), che si vede anche nell’ultimo disturbante film di Shyamalan “The Visit”, film che solo una generica e superficiale visione può catalogare come “horror”. Strano percorso quello del talentuoso regista di origini indiane: dopo un esordio notevole con “Il Sesto Senso” e certe perle come “The Village” (film sottovalutato dalla critica ma in realtà opera complessa e oggetto di indagine in un saggio importante come “La Violenza Invisibile” di Slavoj Zizek), egli pare perdersi un una sorta di sterile mistica che finirà col produrre opere scialbe e prive di forza cinematografica. “The Visit” reca invece le stigmate d’una violenza simbolica assai rara. Scordatevi insomma di prendere parte ad uno spettacolo che vi lascerà il tempo per la riflessione ed il respiro della contemplazione. Shyamalan inchioda lo spettatore alla poltrona, generando fin da subito uno straniamento di prammatica, cioè contrapponendo la brillantezza dei due ragazzini alla sconcertante icona dei nonni, che paiono usciti fuori da una poesia de l’“Antologia di Spoon River”. Il film tocca svariate corde: siamo alla fiaba di “Hansel e Gretel” miscelata con atmosfere kubrickiane da “Shining”, o ancor meglio, siamo alla ricalibrazione dell’immaginario favolistico che viene qui restituito alla dimensione sua propria del Tremendo. Quel che davvero sconcerta, al di là del magnetico e pervertito rapporto che viene a instaurarsi tra regista e spettatore, risiede nel processo di teatralizzazione del “mostruoso” e di alcuni cliché del film di genere, che solo nella mani di registi visionari (Lynch su tutti) riescono a contestualizzarsi in una cornice effettivamente disturbante. Shyamalan lambisce le regioni dell’oltreumano e dell’irrazionale senza mediazioni, rendendo davvero terrificante l’esperienza della visita dei nipotini ai nonni, e lo fa con pochi espedienti: su tutti il personaggio della nonna (una incredibile Deanna Dunagan) che non mancherà di inquietare le notti degli spettatori facilmente impressionabili. E’ la maschera del Chamunda, della femmina folle che tramite la pazzia, la possessione (aliena), rende oscenamente patente il tranfert, è la sostituzione dell’icona familiare col devastante femminino, deprivato di ogni decorazione affettiva. E si sa, quando le fattezze del mostruoso si palesano, quando la pazzia fuoriesce dalle paratie e non è “preparata e risolta”, la dissonanza manifesta finisce col rendere veramente critica la “mediazione” (ogni mediazione), la ricerca della causa per effetti talmente illogici. In “The Visit”, Shyamalan apre le porte alla deiezione, all’indecoroso (le feci del nonno raccolte e custodite, i cadaveri in cantina, il rimosso insomma sotto forma di “luogo”, come in Hitchcock), e lo mostra senza filtri. Indubbiamente il suo film migliore.