"PITAGORA BATTE SCHOPENHAUER 5 a 0", UNA COMITIVA DI TURISTI TEDESCHI IN VISITA
Pitagora batte Schopenhauer 5 a 0:
La Sicilia, come è noto, è meta di viaggi organizzati in comitive, di cordate di vecchi tremanti senza timore di Dio che se ne vanno in giro per musei, templi, mostre, monumenti, in un’affannosa danza di cellulite, varici e caviglie gonfie. Lo fanno anche d’estate, quando Il sole strappa loro la pelle e produce melanomi in serie, con la caparbietà cocciuta che assume i toni della conquista, dell’infantile traguardo da valicare, del capriccetto senile ammantato d’acculturazione. I vecchi soffrono, hanno l’espressione contratta e digrignano i denti: gli occhi sbarrati sul depliant mal tradotto. Soprattutto i tedeschi (i vecchi siciliani - ammesso che facciano i turisti - col cazzo che se vanno in giro con la canicola; porte sbarate e siesta). Si sente l’autoclave dell’ipertensione che lavora a pieni regimi, il sangue pompa che è una meraviglia, plasma che preme sugli stent, sclerosi, placche, sacche dense di colesterolo, vene, venuzze e venazze delle tempie messe a dura prova, mentre ulula la carotide: una sfida al collasso, al colpo fatale. A mezzogiorno, quando un tempo andava in onda il duello della carne Montana, questi irresponsabili stanno al centro del tempio di Apollo, in una Siracusa messicana con tanto di cactus. L’aria è densa, immobile; con un barlume di insana fantasia (leggi delirio), vi si possono intarsiare (nell’aria) orpelli e ghirigori con le dita. Qualcuno lo fa, oppure è l’alzheimer che suggerisce fantasie surreali. I tedeschi soffrono, barcollano ma non mollano, prevale l’assillo della conoscenza, e dunque si resiste stoicamente. E’ la Magna Grecia, "mein Gott!", e occorre conciliare la bellezza delle vestigia elleniche col crauto e la Selva Nera: in altre parole una questione fottutamente esotica. Abbiamo poi una guida turistica che non fa una benemerita minchia, gesticola qua e là, indica capitelli a cazzo di cane, parla un po’ il tedesco, un po’ l’inglese. Quando si capisce che non è più aria (letteralmente), la colonna muove in direzione trattoria; torna spumeggiante l’allegria del “belo-italia-manciare-buono”, bisbigliato monasticamente con tanto di “smack” mimato fra le dita alla bocca. La truppa muove verso il lato consunto delle colonne, ultima rogna da superare prima del ristoro, in un trionfo di cappellini, cappellacci, parasole e gote rosse venate d’azzurrognoli ematomi, miniatiruzzazioni blu-cobalto d’una qualche trombosi in atto. Pago di cotanto ardire, ecco il drappello approcciare le flosce tende della trattoria, - primo, secondo, frutta e contorno,- mentre il sole spacca quel che resta dell’ombra nella sventurata postazione ad angolo dei locali, che finisce col fiaccare il respiro corto dei più massicci. E’ un’intossicazione da gita, una sfida sciocca quella del “conoscere a tutti i costi”, pagando l’indispensabile senza essere il Winckelmann; ed infatti a trionfare è sempre Sua Eccellenza il Menu turistico (esagamma dell'I Ching: Il Ristagno). Decido di scattare loro una foto. Mi risponde una selva di dentiere gialle e una coreografia di grandi mani frutto del lavoro nella catena produttiva della Rurh, palme e dita d'acciaio protese in un saluto che, sì diciamolo, ricorda smaccatamente quello nazista. “Cheeeeeeseeeee!”, fa eco il Coro-Wagneriano-Dissonante-Tranne-Uno; un pensionato vichingo giace riverso sul tavolo, probabilmente morto da eroe, o comunque fiaccato da un collasso. E’ la vittoria dell’Ellade, di Pitagora, di Empedocle, ma anche di Rossini e di certa tonalità, del Mediterraneo e dell’azzurro, contro il grigio topo di certi interni berlinesi.
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