Recensione di "Black Sea" di Kevin Macdonald (8)
Un grande classico claustrofobico del filone “film dentro ai sommergibili”, di cui ricordiamo un non recentissimo e pregevole “Caccia a Ottobre Rosso” di John Mc Tiernan. Trama scarna ed efficace, ritmo coinvolgente, “Black Sea” non è il classico filmetto “blockbuster”: tutt’altro. La sua fascinazione è legata alle ambientazioni subacquee, alla mastodontica precarietà della Cosa-Macchina, che è casa e tomba, rifugio e trappola, non certo agli scarni effetti speciali, o ai prevedibili colpi di scena.
Il microcosmo dentro al sommergibile (l’equipaggio) è composto da una collettività disomogenea (russi e americani), divisa nella lingua e nella cultura, ma unita dalla straordinaria competenza che serve a governare l’obsoleta e mitologica Macchina. L’obiettivo è quello di rintracciare un enorme tesoro custodito all’interno di un altro sommergibile tedesco, affondato durante la seconda guerra mondiale. Va da sé che tutti i problemi cominciano quando gli equilibri vengono a spezzarsi in seguito alle psicosi individuali e quando la realtà atomizzata dei soggetti si impone e prende il sopravvento.
L’inabissarsi della “ Cosa” è il nucleo del film, il principio della sua fascinazione. Non è dunque importante tanto il plot di Black Sea, quanto il fatto che gli eventi si svolgano in un determinato luogo: la profondità, il buio degli abissi, l’angustia degli spazi (ricordiamo una simile ambientazione in “Airport 77” di Jerry Jameson, dove il tema era quello del recupero dell’aeromobile precipitato nel fondale oceanico).
Preferiamo di gran lunga questo filone di cinema avventuroso che riconcilia lo spettatore con la dimensione del rischio, dell’azzardo, della sfida, alla vulgata dominante dell’indagine introspettiva, stucchevolmente psicologica (quando non si hanno strumenti e mezzi di grande rilievo e spessore registico e intellettuale).
Il bello di “Black Sea” sta tutto nella sua dimensione scarna e “classica” del racconto, con quei bei salti di scena a riassumere implicitamente quanto è accaduto, senza troppi fronzoli.
Jude Law (Robinson) è il capitano perfetto (anche da un punto di vista strettamente fisiognomico) che non esita a sacrificare il necessario per raggiungere il suo obiettivo, ciò in perfetto accordo con la tradizione del romanzo ottocentesco. Desta poco interesse la tematica dello sfruttamento capitalistico, che rimane là sullo sfondo, schiacciata dalla dimensione del fantastico, dalla sfida ultima dell’uomo contro l’ignoto.
Black Sea (USA 2015)
di Kevin Macdonald
con Jude Law, Scoot McNairy, Tobias Menzies, Grigoriy Dobrygin.
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