Recensione di "Meraviglioso Boccaccio" dei Fratelli Taviani (6)
Il manierismo dei Fratelli Taviani è una limpida riserva autoriale italiana in questi tempi di vacche magre. Non è poco. Il confronto cinematografico con il film “Il Decameron” di Pasolini, inevitabile, denota un approccio più didascalico al testo, con l’eccezione dell’ampio spazio introduttivo riservato alla cornice della Firenze vessata dalla peste. Il cinema dei fratelli Taviani ha il grosso pregio-difetto di non “mutare” nel tempo: diciamo che invecchia con loro. Il taglio delle inquadrature, la grana della pellicola sembrano essere gli stessi di “Kaos” o de “La masseria delle allodole”, in una riproposizione piatta (in senso buono) della vita e delle opere dell’uomo. Tutto scorre in maniera placida; perfino l’evento efferato viene assorbito dalla neutralità “soffice” della trasposizione filmica.
Ed è per questo che, a differenza che in Pasolini, ogni quadro boccaccesco – il tragico e il comico – viene inglobato nell’alveo di un canto tenue, come la nenia cantata con un filo di voce dall’ottuagenario. Forse è proprio ciò, per converso, a rendere palpabile la mefitica incombenza della peste, pregevole spettro aleggiante nelle frammentarie scene iniziali (su tutte quella del marito seppellito vivo assieme ai corpi della moglie e della figlia), scarne come quelle di certo cinema documentaristico degli anni settanta.
A massacrare la pellicola concorrono due fattori complementari: la presa diretta che mostra impietosamente l’inadeguatezza di molte prove attoriali e la pallida carismaticità delle nostre maschere cinematografiche; in altre parole, la peste che attanaglia il nostro cinema, ed è forse inconsciamente a questa che i due registi fanno riferimento nel continuo metaforico gioco tra passato e attualità. Siamo distanti comunque anni luce dalla carnascialità picaresca di matrice pasoliniana e dal meraviglioso (quello s!) “Boccaccio 70” dei Monicelli, De Sica, Visconti e Fellini. Dell’opera rivoluzionaria del Boccaccio rimane solo lo stilema, grazie soprattutto ai sublimi squarci della campagna toscana, del resto ben illustrati da mani sapienti. Poco altro, se non la fascinazione per la fissità bucolica e quasi neoclassica dell’opera dei Taviani che pare congelare in un passato remoto perfino le ultime istanze innovative insite nel Decamerone, e cioè quelle relative alla precarietà della condizione umana, della caducità del tutto, della tirannia della mutazione.
Maraviglioso Boccaccio (It. 2015)
di Paolo e Vittorio Taviani
con Lello Arena, Paola Cortellesi, Carolina Crescentini, Flavio Parenti..
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