Mio articolo per Cultura Commestibile n.97, per la rubrica "Il Cattivissimo". "i
ll gelato, da che mondo è mondo, è il cono. Non ci sono discussioni. Diffidate sempre da chi lo ordina nella cialda o ancor peggio in "coppetta di plastica".
Quelli che lo prendono nella coppetta di plastica appartengono alla categoria dei frigidi, dei diplomatici, dei burocrati. Di solito è gente che ha problemi di stomaco in seguito a forti traumi occorsi in età adolescenziale. Somatizzazioni al plesso solare che hanno avuto la disgrazia d'esser poi tradotte in diete specifiche, chiaramente a seguito di minuziosissimi test allergologici che hanno finito col determinare il problema in maniera sistematica. Strutturale. La gioia del gelato - e mi sovviene una straordinaria e coloratissima copertina d'un Topolino d'annata, con Qui, Quo, Qua, l'anguria, la banana e il cono gelato, nella assolata estate dei Settanta - diventa così sfida alla deglutizione, mitopoiesi dell'Intolleranza (con la "I" maiuscola). Di solito è poi gente che prende i gusti più strambi. Cerca la soia, il gelato al basilico, al sesamo e miele, al gelsomino e ordina porzioni minutissime (di regola un solo gusto). Non è questa la sede per discutere delle eccelse alternative al gusto tradizionale. Qui si analizza semmai il processo traumatico funzionale alla negazione dell'archetipo-gelato: un bel cono cremoso che ha da sempre fatto gioia e acquolina in gola d'ogni brufoloso moccioso. Questa minoranza rumorosa finirà per costituirsi parte civile e avrà come obiettivo ultimo quella della radiazione del concetto di "cremosità". Consumeremo gelati panna, cioccolato e crema in baracchine abusive, guardati in cagnesco come portatori mefitici di colesterolo, marchiati dalle stimmate della golosità.
Vita, passione e morte del gaudente caucasico. Sarà il canto del cigno degli epicurei, e il trionfo dell'evo contemporaneo che avanza sotto mentite spoglie.
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