...E ORA PARLIAMO DI KEVIN", DI LYNNE RAMSAY (8.5)
Raramente un film mette alla prova le nostre certezze e l'ineluttabile scala personale dei nostri valori di riferimento. E' il caso di questa allucinante opera di Lynne Ramsay, che sembra partorita dalla mente del giovane Polanski. Tratto dal romanzo "We need to talk about Kevin" di Lionel Shriver il film vede protagonista una sublime Tilda Swinton nei panni di una madre anaffettiva che non riesce ad entrare in simbiosi con il figlio. in uno scenario sempre più inquietante, reso palpitante dal continuo gioco di flashback, si delineano i contorni del dramma. Kevin e la madre entrano in una sorta di dipendenza malata, e noi veniamo presi dall'angoscia e dallo sconcerto fin dai primi sguardi di quella creatura. Il crescente gioco manipolatorio di Kevin che avviluppa tutta la famiglia - grazie anche alle acquiescenze di un padre infantile (il grande John C. Reilly) - trova terreno fertile negli imbarazzi del non detto, nei silenzi della rabbia non espressa.
Sarebbe un grosso errore cogliere in quest'opera una generica denuncia contro le stragi e il malessere esistenziale. E' piuttosto un film che fa leva sui reali tabù del nostro tempo: amore, odio, dolore, sofferenza, follia, orrore (memorabile la scena della festa di Hallowen) paiono essere sfaccettature dello stesso prisma, tutto si pone su un piano indistinto, incolore. Ma rispetto, ad es., al "Funny Games" di Haneke, qui il fulcro più che sulla irrazionalità della violenza pare incentrarsi sul significato del sacrificio, sulla capacità di sublimare l'orrore, di accettarlo espiando una colpa senza tempo: aliena.
La catarsi finale passa attraverso le stimmate, in un paradossale processo di purificazione che implica il sacrificio di innocenti.
"Parlare di Kevin" diventa possibile solo dopo aver varcato la soglia dell'Inferno ed esserne usciti con una speranza in fondo al cuore.
Ciò che imprigiona questo film e non lo fa volare su vette altissime al pari di un "Rosemary's Baby", è forse proprio questo porre l'accento sul dettaglio scarnificato, didascalicamente, come a cercare di rendere il solco ancora più scavato dal solco che verrà. Ciononostante un piccolo capolavoro.
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