Mia recensione di “Maps to the Stars" di David Cronenberg (8)
Film complesso, pieno di rimandi simbolici, da rivedere molte volte e con l’ausilio di differenti fonti. “Maps to the Stars”, ultima sconcertante fatica di David Cronenberg, è il suo film più “lynchiano”.
I fatti si svolgono in una Hollywood decadente, priva di fascino, mediocre. L’ambientazione hollywoodiana è del resto il luogo deputato alla messa in scena del cinema come metafora, “ready made” di esistenze sempre più virtuali. Cinema che qui ritorna sotto forma di persecuzione, di morte. Frames di vecchi successi continuano ossessivamente a popolare le tv di ville sontuose, mentre le madri defunte appaiono sotto forme suadenti di antica bellezza, spettri affascinanti e tentacolari.
Il tema didascalico è l’incesto. Quello allegorico quello della Nemesi, della vendetta, della legge del Karma. Divinità ancestrali abitano i corpi destrutturati degli abitanti di questo pianeta, vere e proprie larve possedute e mosse da finalità grottesche, autoreferenziali, maniacali.
In questo senso, tutto il cinema di Cronenberg – a cominciare dal paradigmatico “eXistenZ” – tratta di tematiche extrasensoriali, di incroci tra virtuale e surreale, di corpi-involucro. Perfino nel recente “Cosmopolis” la limousine – un carro funebre simbolico – è il luogo metafisico in cui si celebrano i destini del mondo, la Wall Street ombrosa e cospiratrice di De Lillo.
Come dicevamo, qui è ancora una volta Lynch, il fuoco (“Fuoco cammina con me”), a determinare la costante purificatrice, nell’ingiuria rimossa, scomoda che si fa Angelo dello Sterminio. Il rituale del matrimonio incestuoso, rito antico, ancestrale, si conclama nell’ordinario contemporaneo, fatto di psicologi-santoni ed attori bambini in cerca di orientamenti e mappature (La famiglia implosa necessita dell’atto catartico: poi occorre appiccare il fuoco, dare alle fiamme).
La sensazione, in noi spettatori, in chi recensisce, è quella di non avere gli strumenti giusti: paradossalmente, la mappa di riferimento, la cornice, lo stesso fondamento del film (ce l’avevamo in capolavori quali “Moebius” di Kim ki-Duk, e parzialmente nel concetto di Bhrama per il cinema di Lynch – crf. allo splendido saggio di Manzocco) .
In “Maps to the stars” ci ritroviamo dunque a brancolare nel buio, mentre i solidi riferimenti che paiono enunciarsi e costituirsi fin dal principio (il titolo) ed anche alla fine (i versi di Paul Éluard nella poesia “Liberty”),finiscono col rivelarsi depistaggi piuttosto che leitmotiv. Nel vorticoso mutare dei significati del film, che presenta una trama incerta, apparentemente claudicante (viene anche in mente – per analogia – l’ambizioso film di Coppola “Un’altra giovinezza”, e dunque l’opera di Mircea Eliade), lo spettatore è spaesato, come il videogiocatore privo di mappa in “Dark Souls”, e non sa pensare se tutto questo delirio è opera della ricostruzione della mente di Benjamin (il ragazzino star del cinema che si finge adulto e vede i fantasmi dei bambini morti), oppure di quella di una straordinaria Julianne Moore, alle prese con la nevrosi e le persecuzioni della madre morta. Di certo sappiamo che solo loro due riescono a vedere i fantasmi. Che sia questa una delle possibili chiavi di lettura? Di una base embrionale per una rinnovata visione?
Maps to the Stars
Un film di David Cronenberg. Con Julianne Moore, Mia Wasikowska, John Cusack, Robert Pattinson, Olivia Williams.
Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 111 min. – Canada, USA 2014. – Adler Entertainment uscita mercoledì 21 maggio 2014. - VM 14.
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