Mio articolo per Cultura Commestibile n.77, per la rubrica: IL "CATTIVISSIMO": F
Firenze
Eccomi a Firenze. Per un non fiorentino è come essere impotenti di fronte a Nicole Kidman. I miei amici fiorentini sono pazzi. Si ubriacano e vanno in giro parlando una sorta di italiano-esperanto, in un bisticcio fonetico costante che trova pace solo nella morte della lettera scritta. Paradossalmente Venezia è più “aperta”(nella stagnazione saltano quantomeno le raganelle). Qui vi è una finta dinamica. Il concetto di velocità è insipido, come il pane toscano. Tutto si muove nei binari ternari della cantica. Perfino il turista pare cedere ad una qualche inflessione. In questa città sono accadute troppe cose. Enormi cose. Arcane. Misteriose. Un tale concentramento di bellezza, secoli orsono…non è fatto razionale. Il mio collo si torce, ora a destra, ora a manca. Squarci di luce, ombre sulle case, sulle strade. Poi improvvisamente piove. Temo Renzo Auditore. Lo sento calare dai tetti, incappucciato, mentre sibila il suo drappo e sul mio collo cala lo stiletto. La città ha un’atmosfera irreale, quasi sospesa. Perfino il traffico ha un che di asettico. Caldo. Ora splende il sole. Spifferi di vento dalle vie ombrose. L’orologio d’un qualche campanile segna un’ora qualsiasi nella giornata senza calendario. Mi aspetto un cerusico da un momento all’altro. Invece ecco un parcheggiatore abusivo. E’ un fatto importante; pensavo fossero solo in Sicilia e nel napoletano. Miraggi. Passa una ragazza bellissima. I suoi capelli biondi, per un istante sospeso, fanno da controcanto alla bandiera gigliata che sventola, impertinente, fuori dal bar. Falso prospettico. Un giglio viola e dorato. Colori nobili che rimandano agli antichi traffici di sete, stoffe e spezie. Silenzio. Poi il rombo di una moto che sfreccia a tutta velocità. E’ ferma nello squarcio assolato di Via Roma, come un puntino eternamente orbitante nella fissità del buco nero. Lì, alla fine della strada. Penso al povero motociclista, col suo casco da astronauta. Mi verrebbe pure da piangere, non fossi un giocatore d’azzardo alle prese con la depravata numerazione delle vie in numeri rossi e numeri blu. Punto ovviamente sul rosso ma perdo ad ogni mano. La logica che governa questa progressione è opera oscura. Ogni uscio è un’apertura verso la spirale di un portale. Esce il mio numero rosso ed eccomi dentro ad un negozio di scarpe. Mi sorride il Brunelleschi. Dovrei indossare dunque quelle pantofole papali? Va bene, obbedisco. Assaporo la potenza dei Borgia ed i miei occhi si fanno crudeli, a fessura. Sibilo che è un furto, ma pago. Cinquantasette euro per un paio di pantofole. Berrò il sangue di questa città nel furore della fiorentina cotta alla brace. Ne spolperò la carcassa fino all’osso. Sarò il cannibale al servizio dei Medici. Nella mia testa, come un mantra, ossessivo, senza fine: “Firenze la città dell'arte, va in culo a chi arriva e a chi parte”.
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