Mio articolo per la rivista "Cultura Commestibile" - "Provviste per l'apocalisse
Supermercato. Oggi sono di ottimo umore, una di quelle giornate che riescono spumeggianti per arcani e inesplicabili giochi dell'esistenza. Sono in fila con una bottiglia d'acqua e un pezzo di parmigiano. Faccio cenno all'ottuagenaria carica come una beduina di Provviste per l'Apocalisse, mimo come a dire, "passo eh? ho solo...hehehe", e lo faccio con quel tocco di brio, col sorriso ampio e confortante di chi sa d'avere un'intesa simbiotica con l'Altro, in questa spumeggiante, bellissima, armoniosa giornata di novembre. E che mi combina la vecchiarda? Ostruisce la mia pacifica avanzata verso il radioso meriggio, impalla la mia fragranza, mi costringe a ritrarre le alucce già semiaperte per spiccare il volo. Con un grugnito inforca il carrello a rimorchio e sterza bloccando il traffico pedonale verso l'unica cassa domenicale aperta: la numero 7. Comincia un calvario. Estrazioni di prodotti in scatola, pani, biscotti d'ogni foggia, palette, pentolini, prodotti per l'igiene dentale, caramelle, sali, tranci di carne di bestie, liquori, frutta secca, tonno Conad, sacchi di patate, caciotte, confezioni extra di tic e tac, pacchi di spaghettini numero zero virgola zero, zuppe del Casaro, minestroni della Valle degli Orchi. A niente valgono i maldestri tentativi d'assistenza. Grugniti su grugniti che occorre decifrare in questa Stele di Rosetta deambulante e centenaria: penso intenda comunicare all'homo sapiens sapiens che intende fare da sola.
Minuti di agonia che sembrano dilatare il concetto di ora. Lo scatto di ogni lancetta è martirio e sacrificio di un innocente, lì fuori, da qualche parte. La cassa sembra essere il territorio del rilascio di provviste da parte di un cargo nel campo profughi. Ora è il momento di cacciare fuori la grana, ma ciò che dilania sarà il dopo, il terribile momento dell'insaccamento della dispensa di Pantagruele. Di più. Ciò che graffia l'anima lasciando un solco poderoso è il senso di colpa imminente ed immanente relativo al subdolo quesito: chi aiuterà la vecchia a trasportare i sacchi? Giacché qua, amici miei, non si vede ombra di parentame e, viste le condizioni, dubitiamo fortissimamente possa essere munita di autovettura, la trisavola. Di peggio. Si insinua un terzo elemento, terrificante. La nonna ha bisogno di contare i punti e di raffrontarli con la carta apposita. Parrebbe essere debitrice d'un corredo da tavola, o di un set di piatti che intenderebbe reclamare adesso. Sono sul punto di mollare, ma la cena con gli amici implica il parmigiano. Pianto i piedi a terra e fingo d'essere una miniaturizzazione del Colosso di Rodi. Bello, stabile, poggiato sulle cosce. Al posto delle fiaccole, forma di parmigiano nella mano destra, bottiglione d'acqua di due litri alla sinistra. Respiro. Recito l'OM ed alcuni mantra segreti che solo io conosco e di cui non è lecito riferire in questa sede. Socchiudo gli occhi e studio la vecchia comparandola alla statutaria indiana in un raffronto che rievoca la maschera di Chamunda. Attorno a me solo ombre. Scorgo un ragazzone, che potrebbe essere la personificazione di Shakyamuni nell'Atto della Velocizzazione. Deduco trattarsi di messa in busta rapida e solidale. Ma non sono più interessato a ciò che mi circonda, al mondo, al contingente. Sono istanti eterni, infiniti, memorabili. Sento vibrare il parmigiano che è in me. Lo sento divenir "mano" e miscelarsi alle purissime fonti Guizza alla mia destra. Non c'è trambusto. Non c'è affanno. Tutto è posato. Sorrido placido come il Buddha. La mia lingua tocca il palato superiore. La nonnina è in me. Io sono la vecchiarda. Io e la vecchiarda siamo la mia lingua. Lei mi bacia senza dentiera essendo io la sua dentiera. E' amore. Totale. Senza forma. Io e lei. Soli nell'universo. Soli splendenti nell'universo. Io amo quel che resta di quella donna. Fai pure maledetta nonna, prenditi tutto il tempo che ti necessita. Io ho tutta l'eternità fra le mie mani.
Francesco Cusa. (Bologna nov 2013)
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